Scoperti o coperti?
Quanto si devono vedere?
Sono soggetti al genere o alla tradizione comportamentale?
La vita s'imposta a basamento del petto e da esso occhieggia lo speculare punto di fuga polmonare che chiamiamo capezzolo. Zona erogena ed espressione apicale della corazza, il capezzolo è luogo del corpo e punto nevralgico dell'impatto tra il pudore e la sua sopraffazione, tra il piacere e la sua termica.
Lo stile esercita, su questa traccia epidermica, un esercizio di misura tra luce e ombra.
La sensualità di questa forma concentrica evoca perimetri scoscesi quanto verticali che si esprimono con fierezza e sfrontatezza nell'energica esperienza del corpo come semantica di un contatto con il cuore e di fatto grafica dei sensi.
La moda li ha resi centrali nel dialogo tra tatto e sguardo, società e socialità.
Un nome su tutti: Yves Saint Laurent. Il genio, di origini algerine, li ha liberati dalle tenebre, nel 1968, attraverso il “Nude Look” e posti in relazione alle correnti atmosferiche della chimica del piacere già nel 1966, sotto lo “Smoking”.
Incorniciati ad omaggio all'armonia della bellezza del corpo femminile li ha lasciati intuire dalle giacche portate a pelle o attraverso le trasparenze del voile di seta.
Nel 1971 ci ha mostrato i suoi capezzoli, a luce piena, ritratti dall'occhio deificante del fotografo francese Jeanloup Sieff che lo ha immortalato nudo per la sua prima essenza maschile.
Il capezzolo e la sua grafica sono ossessione dell'eros e centro nevralgico del decorativismo corporeo, legato al ruolo, nelle società tribali di fascia equatoriale: dall'Africa al Sud-Est Asiatico, sino all'America Latina, luoghi dove la fisicità si esprime attraverso la nudità.
La tradizione del costume etnico nella sua atavica longevità fa del capezzolo un organo centrale dell'impaginato culturale e sociale del proprio sistema di vita. Decorato con piercing e pigmentato diviene parte rilevante dell'ordine sociale.
Quanto di tutto questo sia confluito nella moda e nei suoi corsi e ricorsi lo vediamo prepotentemente manifesto, nel Vecchio Continente, con l'Orientalismo di fine '800, e l'avvento, a Parigi, nel 1909, dei Balletti Russi di Sergej Djagilev, ufficializzatisi con tale denominazione nel 1911.
In questo universo artistico emerge la liberazione di un eros dichiarato nella sensualità anatomica ed atletica dei danzatori russi giunti nella capitale francese.
La capacità di elevazione e le movenze selvagge, quanto estreme, indotte dalle coreografie, si univano ai costumi di Léon Bakst: espressioni formali dell'abdicazione da ogni costrizione strutturale del corpo in favore di una rivelazione epidermica delle parti. Coreografi e ballerini quali Fokine, Nižinskij, Balanchine, hanno esaltato l'umano in ogni suo aspetto artistico, dinamico e primordiale.
L'influenza della nascente psicanalisi (S. Freud, 1895), e l'emersione del concetto di inconscio, imprimono un'ulteriore svolta al principio di percezione fisica. L'onirico, il sogno, le parti sottese del pensiero, divengono centrali nella conoscenza dei comportamenti del singolo e della società e si riversano nell'espressione “Surrealista” dell'arte. I suoi principali interpreti, da Salvador Dalì a Jean Cocteau, ritrovano nella partizione del corpo la loro macro coscienza immaginativa legata ai percorsi più estremi del sentimento umano.
Dagli occhi agli orecchi, dal naso alla bocca, sino ai capezzoli, ogni parte si declama nella sua singolarità.
La moda dell'epoca diviene ricettrice di questa comunicativa dell'arte, attraverso la grandezza espressiva di un’italiana in terra di Francia: Elsa Schiaparelli.
Il suo apporto alle correnti delle avanguardie artistiche, e le sue celebri collaborazioni con i protagonisti del Movimento Surrealista, sono divenuti patrimonio della Maison Schiaparelli che ancora oggi ne tratta i temi. La sognante suddivisione anatomica va dagli arti inferiori a quelli superiori, dal volto al busto e naturalmente a quanto concorre alla loro fisionomia come, ad esempio, i capezzoli.
Realizzati sotto forma di bottoni, macro orecchini ornati da piercing, o acquarellati su candide camice e scolpiti in auree figure che corazzano il busto femminile di preziosi seni tracotanti di fertilità, i capezzoli sono uno dei temi allegorici delle creazioni dell'americano Daniel Rosberry, direttore creativo della Maison di Place Vendôme, ed emergono rigogliosi per la Primavera-Estate 2021 e nei gioielli “Body Part” così come nella haute couture, di questa stagione, e nel prêt-à-porter della prossima.
La portabilità del capezzolo, e la sua centralità nei progetti più audaci, si misura con l'omaggio che gli dedica lo scultore francese César e che campeggia centrale alla corte di Azzedine Alaïa, in Rue de la Verrerie, a Parigi. Un seno gigante, in bronzo dorato, degli anni '60, omaggio alla donna, e ai suoi tratti più peculiari, da sempre imprescindibile nella moda del couturier tunisino.
Così come è ancora oggi centrale, nell'immaginario collettivo, il petto tornito di Joséphine Baker, prima artista e ballerina di colore della storia, a cui si è liberamente ispirata la moda, emulandone le curve svestite attraverso le iconiche modelle che l'hanno a loro volta incarnata: una su tutte Naomi Campbell.
Dall'esotismo di questa icona della danza alle reminiscenze puntute della “Madre Africa”, reinterpretate da Saint Laurent, nella collezione denominata Bambara (dalle sculture di una comunità del Mali), per la Primavera-Estate del 1967, dove la silhouette si accentua in seni conici, sviluppatissimi, su modelli in rafia, perle e pietre dure.
Sempre dal n. 5 di Avenue Marceau giunge il torso scolpito, in cuoio dorato, della modella Veruschka, per l'Autunno-Inverno 1969, realizzato da Claude Lalanne, come busto diviso in due parti, tra seni e ventre, per due abiti da sera, in georgette di seta blu e nera, creati dal cantore della “Rive Gauche”.
Nel 1983 è Jean Paul Gaultier ad omaggiare il seno femminile lanciando le “Corset Conique”. Ispirandosi anch'esso all'Africa, evolve la costruzione verso il “Bullet Bra” (reggiseno proiettile con coppe profonde, ed impunturato circolarmente, nato nel 1939 ed esploso negli anni '50) che lo porterà alla realizzazione di uno dei più importanti connubi della storia della moda: quello con la pop star Madonna.
Nel 1986, Veronica Louise Ciccone veste i panni di una ballerina di peep-show nel video del brano Open Your Heart, per la regia di Jean-Baptiste Mondino. La costumista, Marlene Stewart, realizza per la “Material Girl” un body nero di satin lucido, con coppe a cono e aurei capezzoli puntuti, culminanti in fluttuanti nappe dorate.
La scelta di questo look stimola Gaultier, a proporsi come ideatore dell'immagine di Madonna per il Blonde Ambition Tour, del 1990.
Visto quanto da lui sviluppato nelle sue collezioni, e l'ammirazione per la cantante americana, l'enfant terrible della moda francese realizza per lei più di 1500 bozzetti, tra cui le declinazioni dell'iconico bustier (che vestirà, in seguito, anche la boule del suo profumo “Femme”) e sarà presente nel video di Vogue e in numerose altre uscite della star.
Sempre Madonna appare come nuova Marilyn, fotografata da Steven Meisel, sulla copertina del n. 486, di Vogue Italia, del febbraio 1991, in body di voile nude di Gianfranco Ferré, ricamato ad arte sulle parti più intime, ad emulazione di un’odalisca contemporanea dai preziosi capezzoli esaltati da perle, pietre e cristalli.
Nostro è il tempo dove i suggerimenti anatomici o le dichiarazioni sfrontate testimoniano di approdi sociali e dinamiche esperienziali, tra poetica e politica, atti a determinare la fuoriuscita dal ruolo e dal genere.
Nella rotondità del capezzolo s'impagina la protuberanza “mammellare” femminile e la fascia muscolare del pettorale maschile e ogni parte gioca un ruolo nell'ammissibilità alla luce del sole.
Con la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta l'uomo e la donna si sono lasciati penetrare dagli squarci nell'abbigliamento, dalle rotture e dalle lacerazioni nell'immagine.
Tagli all'americana di gilet, body e abiti da sera, così come canotte stile vogatore, imperanti negli anni '80, e ritornate oggi prepotentemente alla ribalta così come la maglieria tramata a rete, dove il capezzolo occhieggia in funzione del vedo e non vedo.
Negli anni '90 il petto diviene monogrammato, di trasparente intimo, da Tom Ford, per Gucci, mentre celebre rimane l'uscita, per Chanel, della modella Stella Tennant (Primavera-Estate 1996), in micro bikini, le cui coppe assumono la proporzione di coriandoli della dimensione dei capezzoli, riportanti il logo della Maison di Rue Cambon.
Per dirla all'inglese l'estetica del “nipple” si dichiara trafitta, nel suo essere feticcio, dal piercing, ma anche forata e perforata da buchi, oblò, che ne mostrano l'aspetto o lo moltiplicano.
Decorativa quanto feticista ci appare nelle grafiche naïf di Walter Van Beirendonck (Scuola di Anversa) che la imprime sui muscoli, giustapposti o reali, in una struttura sovrumana che si racconta in un rafforzato, quanto testosteronico, tracciato neo-fiabesco che dall'eccesso guarda ad un mondo senza confini.
Oggi il belga Ludovic de Saint Sernin disegna un uomo che incornicia il suo petto, e i di lui capezzoli, tra tagli di maglia metallica, jersey, o trasparenze di varia natura, a regalar loro la luce del sole, o della luna: protagonisti di un decorativismo che viene dal corpo e dalla sua traccia anatomica, in mostra come atto dovuto alla parità che l'eros declama tra lui e lei.
Questi astri nascenti della moda vedono nell'efebica beltà la forza di un turbamento epocale e stimolano il turgore della punta del pettorale per esaltarne la liberazione da ogni sopruso ancestrale.
La fashion designer, di origini albanesi, Nensi Dojaka (tra i finalisti del prestigioso LVMH Prize 2021), propone, attraverso il “Nude Look”, una seconda pelle velata che esalta il corpo femminile, e la sua anatomia, porzionandolo in stratificazioni geometriche (dal cerchio al triangolo, dal quadrato al trapezio), che rivelano e raccontano, tra sotterfugi e rifugi epidermici, di quanto della pelle si può o non si può esprimere: capezzoli inclusi.
L'irlandese JW Anderson, li propone, al maschile, attraverso le stampe ispirate all'immaginario omosessuale e ruvido di Tom of Finland o dell'artista Pol Anglada, mentre al femminile ne traccia il perimetro (Primavera-Estate 2020) attraverso un prezioso ornamento di cristalli, sorta di rigido quanto basculante tubolare tribale, dal carattere primitivista e dalla forma ad otto, nel quale inscrivere seni dall'evocativo decoro floreale.
Il tema del capezzolo è in divenire in un tempo in cui sono crollate le inibizioni e uomo e donna si identificano, sempre più, in un atteggiamento divulgativo dell'identità e nel sentimento di viversi sbottonati, oltre la misura del passato, nei reciproci paesaggi.
Memori di come le trasparenze e le rivelazioni dell'arte ci abbiano raccontato di questa parte anatomica guardiamo alla Giuditta, di Gustav Klimt, nella sua doppia redazione. Il turgore dei suoi capezzoli e l'eros fenomenico del suo busto fiero di tracotante voluttà sono il medium di una vanità conquistata, che oggi è per lei, come per lui, una sorta di Eden paritario dei sensi.
Questo piacere assoluto si è disvelato nei passaggi della storia e nelle trame dello stile. Dai Balletti Russi, coevi a Klimt, al Nude Look di Saint Laurent, sino alle espressioni irriverenti di Gaultier e Van Beirendonck e all'approccio alla genitalità di Gianni Versace (da cui ci giunge l'ostensione del pettorale più vitaminico degli anni '90).
Oggi l'approccio al tema è rilassato e la partita si gioca tra identificazione e superamento di genere, bisogni narrativi e azzeramento del concetto di eccesso, surclassanti il palcoscenico del pudore.
A tale proposito, in questo aprile 2021, l'edizione portoghese di Vogue, propone due capezzoli censurati, con due piccole croci, in copertina, come segno provocatorio che rimanda alla libertà di espressione.
Il capezzolo, da sempre punto di fuga dello sguardo umano, è divenuto il punto di svolta di un presente che guarda al domani attraverso il piacere del corpo oltre ogni convenzione.