Nella storia dell’umanità - ed in questo la nostra storia nazionale non fa certo difetto... - non sono mai mancati i complotti, le cospirazioni; la segretezza nell’agire, del resto, è una modalità naturale, perché punta sul fattore sorpresa, qualcosa che abbiamo nel DNA sin da quando eravamo cacciatori-raccoglitori. Ma, proprio per sua natura, una cospirazione mantiene il carattere di segretezza fintanto che non viene messa in atto, e comunque in modo inversamente proporzionale al numero dei cospiratori; quanti più sono le persone a conoscenza del complotto, tanto più è facile che (prima o poi) la notizia venga fuori.
Quest’ultima è quasi una legge matematica, a cui non si sfugge. Ragion per cui, anche la più raffinata delle cospirazioni (seppure tutto dovesse andare esattamente secondo i piani dei cospiratori, il che considerandone la natura umana e la notevole quantità di variabili, è assai improbabile), ineluttabilmente finisce per trapelare.
Per questa ragione, i complotti assai ramificati ed intrecciati, che prevedono un gran numero di persone più o meno al corrente dello stesso, sono per lo più frutto dell’immaginazione di chi se ne ritiene vittima. E, ovviamente, il mondo moderno, con la sua crescente complessità, ha portato con sé il proliferare dei “complottismi”; quanto più gli ingranaggi che sovrintendono alla vita sociale si fanno numerosi e complicati, tanto più diventa difficile afferrarne i nessi, le articolazioni, e quindi trovano facile alimento le ricostruzioni immaginifiche.
Con ciò, chiaramente, non si vuole negare l’esistenza di operazioni “coperte”, portate a compimento nella più assoluta segretezza. Anzi, sicuramente esse si sono moltiplicate. Ma sono quasi sempre circoscritte ad ambiti “chiusi” (come può essere ad esempio una struttura militare), e sono di portata circoscritta e limitata. E ciò nonostante, benché negate ufficialmente, spesso vengono comunque confusamente alla luce.
Purtuttavia, nella mente dei “complottisti”, la mancanza di qualsiasi evidenza del complotto finisce con l’essere essa stessa prova della sua esistenza, in base al sillogismo che, essendo ciò “prova” di segretezza, per conseguenza attesterebbe la sussistenza di quel che si vuol nascondere: il complotto, appunto. Un classico ormai inossidabile è quello del (finto) sbarco sulla Luna. O, per stare ai nostri giorni, l’ormai famoso Qanon, nato in ambienti dell’estrema destra statunitense e poi diffusosi anche in Europa, che ipotizza una trama segreta organizzata da poteri occulti, in collusione con reti di pedofilia internazionali, e finalizzata al dominio mondiale. Queste teorie complottistiche spesso si basano su una distorta interpretazione di fatti reali, e/o sulla messa in relazione di eventi senza alcun effettivo collegamento, e tendono ad essere assai “flessibili”, adattandosi sia al mutare degli eventi, sia al mutare degli adepti (ad esempio, in base alla loro collocazione geopolitica).
Nella realtà, però, le cose funzionano diversamente. Il più delle volte, ciò che appare come una macchinazione, ordita segretamente da gruppi di misteriosi cospiratori, è in effetti l’esito di un’altra caratteristica spiccatamente umana, e che potremmo definire come “opportunismo”. In ogni evento, e particolarmente negli eventi che abbiano caratteristiche extra-ordinarie, si celano delle opportunità; e talvolta taluni le scorgono e le colgono.
É il kairos (καιρός), il “momento giusto o opportuno”. Un esempio da manuale del saper cogliere l’opportunità è la Rivoluzione d’Ottobre, e lo è doppiamente: lo Stato Maggiore tedesco coglie l’opportunità per indebolire l’esercito zarista, e mette Lenin su un treno diretto in Russia, i bolscevichi colgono l’occasione della guerra e dello sbandamento dell’esercito, e scatenano la rivoluzione. Né i tedeschi avevano pianificato prima l’idea di inviare Lenin, né il partito bolscevico prevedeva la I guerra mondiale. Entrambe si sono trovati di fronte ad una opportunità, ne hanno compreso la potenzialità e - avendone i mezzi intellettuali e materiali - l’hanno colta. Semplicemente.
In un certo senso, per tutti noi, il kairos è “hic et nunc”, qui ed ora. Sia pure nel ruolo di osservatori, infatti, abbiamo la possibilità di vedere come si dispiega una delle più straordinarie prove della capacità di cogliere l’opportunità. Perchè è precisamente quel che sta accadendo.
Da almeno tre lustri, è in atto una accelerazione dei processi di trasformazione della società, dettata ad un tempo dalla innovazione tecnologica (che non è mai ‘neutra’), e dalla spinta “ristrutturatrice” del grande capitale globale. Questo processo, però, nonostante il suo progredire, era ritenuto ancora troppo lento, perchè troppe erano le resistenze (sociali, culturali, politiche) che vi si opponevano. Occorreva qualcosa che consentisse di superare le resistenze, di accelerare il processo. Occorreva una opportunità per farlo. E l’opportunità è arrivata, sulle ali di un pipistrello.
Quando gli USA si preparavano ad invadere l’Iraq (la prima guerra del Golfo è del 1991, trent’anni fa...), al Pentagono elaborarono la strategia denominata Shock and awe (shock e sgomento): “Shock and awe sono azioni che generano paure, pericoli e distruzione incomprensibili per la popolazione (...). La natura, sotto forma di tornado, uragani, terremoti, inondazioni, incendi incontrollati, carestie ed epidemie, può generare shock and awe.”
Si tratta in effetti della sistematizzazione teorica, e dell’ampliamento pratico, di quanto fecero i nazisti a Guernica, e poi a Coventry, e gli Alleati fecero a decine di città tedesche, ed infine a Hiroshima e Nagasaki.
Nell’ambito della dottrina militare, l’idea era precisamente quella di spezzare la resistenza del nemico distruggendo le città e la popolazione civile. Ma, come spesso accade, ciò che viene sperimentato in ambito militare, ha successivamente delle ricadute anche in ambito civile.
Come ha ben raccontato nei suoi saggi la scrittrice canadese Naomi Klein (Shock economy, e soprattutto Shock politics), i tempi moderni hanno portato al rovesciamento dell’aforisma di Von Clausewitz: oggi è la politica ad essere la continuazione della guerra con altri mezzi. E quindi, per dirla con Foucault, “quando anche si scrivesse la storia della pace e delle sue istituzioni, non si scriverebbe mai nient’altro che la storia della guerra”1. E nella “pace”, nella lotta politica, si sono quindi affermate le ipotesi strategiche nate in ambito militare.
Lo shock, il trauma emotivo, e la conseguente paura, sono divenute parte dell’armamentario della guerra globale. Che oggi si dispiega con altri mezzi, e su altri terreni, che non quello del conflitto armato. Ed il “nemico” contro cui si mettono in campo, non è più, semplicemente, lo stato avverso, la nazione ostile, ma chiunque si frapponga al raggiungimento degli obiettivi.
Shock and awe + kairos. Il mezzo e l’opportunità.
Secondo il World Economic Forum, la pandemia di Covid-19 è “il più grande esperimento psicologico” di tutti i tempi2. Nessuno (tranne alcuni inascoltati scienziati) l’aveva prevista, nessuno l’ha programmata. É arrivata come conseguenza, probabile ma casuale, di uno “spillover”, il passaggio di un virus dall’animale all’uomo. A sua volta conseguenza di una antropizzazione selvaggia del pianeta. Ma ha offerto una opportunità straordinaria, senza precedenti. La pandemia è il kairos.
La risposta alla pandemia è la strategia dello shock and awe, è il terrorismo mediatico, è la propalazione del panico tra la popolazione, con l’obiettivo di imprimere una accelerazione irreversibile verso un orwelliano “1984” su scala globale.
Il meccanismo si è in gran parte innescato automaticamente, senza necessità di specifici interventi, proprio perchè l’evento-panico ha investito anche i comunicatori ed i decisori politici statuali (“la natura (...) può generare shock and awe...). Ma, su questo humus fertile, sono arrivati gli interventi - spesso semplicemente omissivi - degli strateghi della ristrutturazione globale. Del resto, esattamente come per un multistrato, interessi diversi, su diversi livelli, si sovrappongono a formare un blocco coeso e forte. Perchè ovviamente il potere è sempre seducente, e quanto più è completo e “facile”, tanto più affascina chi lo può esercitare. Che si tratti di un governatore locale, di un gruppo di scienziati o del governo di una nazione, non foss’altro perchè così diventa più semplice portare a termine il proprio compito “nell’interesse generale”, la tentazione di cogliere l’opportunità è irresistibile.
In questo quadro, persino le incongruenze, le regole prive di senso, assumono una loro effettiva valenza “strategica”. Magari nascono per una effettiva improvvisazione, per una mancanza di criterio, per una purtroppo diffusa incapacità dei decisori di comprendere appieno l’impatto delle proprie scelte sulla vita delle persone, ma se permangono, se non vengono corrette, non è per semplice sciatteria. L’imposizione di regole del tutto irragionevoli ha infatti un valore “formativo”: serve a spezzare la capacità di resistenza, ad annichilire la capacità di pensiero autonomo, critico. “Educa” all’obbedienza ancor più che l’imposizione di regole comprensibili e condivisibili. Induce una sorta di “sindrome Full Metal Jacket”.
L’imperfezione non è un errore, ma una sofisticazione.
Lo scenario è quello della globalizzazione del terzo millennio. Lo schema non è più quello del dominio del modello “occidentale” a guida USA, che delega la produzione alle “tigri asiatiche”. L’ascesa della Cina - del suo modello capitalistico-totalitario - ed il parallelo indebolirsi dell’egemonia americana sta riscrivendo la geografia politica del pianeta. Potenze regionali, sino a ieri sostanzialmente vassalle, si muovono in totale autonomia. La Russia torna ad avere ambizioni (e capacità) quantomeno da media potenza globale. L’Europa oscilla tra la fedeltà atlantica e la volontà rendersene almeno parzialmente autonoma. Gli USA si dibattono in una crisi che è, contemporaneamente, interna ed internazionale.
In questo scenario, quelli che potremmo definire “i cartelli economico-finanziari” mondiali, che si muovono in una prospettiva sovranazionale, e considerano gli stati come un parassita il suo ospite (cioè finché è utile), hanno necessità di procedere ad una rapida ristrutturazione socio-politica, tale da rendere il proprio sostanziale dominio ancora più stretto e pervasivo. Hanno gli strumenti per farlo. Hanno la volontà di farlo. Sulla loro strada hanno incontrato il kairos perfetto, perchè non solo è l’opportunità, ma è esso stesso capace di generare shock e sgomento. Il frutto matura di sua sponte, senza bisogno di interventi esterni.
Stiamo disegnando da soli la nostra “distopica prigione”.
1 Michel Foucault, Bisogna difendere la società.
2 Sul tema, cfr Coronavirus: lo spettacolo di un’epidemia che non ha avuto luogo.