La recente inaugurazione nel Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro a Roma della mostra De Romanis. L’arte incontra i sogni era stata già annunciata da tempo ma gli organizzatori sono stati costretti a rinviarla causa pandemia.
L’arte del maestro di Velletri è una perfetta unità tra ispirazione, contenuto e stile, conseguenze di una straordinaria maturità umana, spirituale e tecnica dell’artista, che nel suo operare è inoltre guidato da un equilibrio innato e da una fervida ragione che ordina tutto in armonia. Nel suo vivere e dipingere conosce infatti la misura delle cose, quella mistica di chi sa contemplare il mare, la terra e il cielo per riportarlo nelle tele e comunicarlo con un prezioso linguaggio universale. Nelle opere sa espandere la vasta gamma della sua poetica, elegiaca e lirica, con un linguaggio che, se da una parte rende arduo classificarlo in maniera univoca, dall’altra esalta la superiore libertà di un artista intellettuale e trascendentale.
De Romanis occupa una posizione di spicco nella pittura del secondo Novecento e dei primi venti anni del presente secolo, annoverando un lungo percorso con tappe molto significative e lusinghieri riconoscimenti della critica. Dopo innumerevoli mostre allestite in oltre cinquant’anni di attività, partendo dalle iniziali esposizioni in importanti sedi di Roma si è esteso ad altre città d’Italia, d’Europa e ad altri continenti e nazioni, come l’Australia, gli Stati Uniti d’America, l’Egitto e l’Indonesia, ora espone a Roma, nel prestigioso Complesso monumentale di San Salvatore in Lauro. L’evento accompagna il visitatore alla scoperta, o alla riscoperta, di questo artista così raro, originale e della sua intensa visione della bellezza, andando per periodi o temi che comprendono opere realizzate in diverse fasi dell’attività di uno dei creatori più puri della storia dell’arte contemporanea, dove il colore della sua tavolozza rende possibile la visione dei sogni. Nella mostra attuale il maestro espone quarantuno opere pittoriche e due sculture in ceramica che permettono di seguire totalmente la straordinaria evoluzione e ammirare tutte le fasi della sua produzione artistica, in particolare quella più recente.
La “pittura colta”
Nella primavera del 1986 il critico d’arte Italo Mussa cura a De Romanis una mostra nella Sala delle Lapidi del cinquecentesco Palazzo Comunale di Velletri, delineando la sua arte nella corrente della “pittura colta”, in una posizione di spicco per l’originalità inconfondibile e per la maestria di assorbire il “bello” in profondità.
Già in quella data il nostro artista si esprimeva con nuove iconografie neometafisiche e neosurrealiste, senza ricorrere ai trucchi della citazione tout court. Coltivando in modo esasperato lo sguardo interiore egli è pervenuto infatti a una pittura “scavata nell’abisso” (per usare una espressione poetica di Ungaretti) della memoria estetica. Le profonde e turbolenti sfumature figurali-astratte svelano in modo più speculare il cuore conflittuale dell’arte. Opere significative di quel periodo sono Intreccio irreale (1985), Dialogo (1986), Quasi la fine (1986), In Deposizione (1986). In Metamorfosi, del 1987, Agostino armonizza la propria dimensione con quella del mito. Il mito, infatti, si lega all’immaginario dei luoghi, allo scavo della memoria, all’evocazione immaginifica, vivendo attraverso le forme della natura e dell’architettura, offrendo lo spunto per una critica rilettura dell’inquietudine dell’uomo occidentale contemporaneo, agognante un tempo decostruito perduto.
L’abside della chiesa di San Giuseppe Artigiano
Nel 1987 De Romanis ottiene un’importante commessa dal Vaticano, quella di realizzare due grandi dipinti dal titolo Vecchia e Nuova Alleanza (olio su tela, cm 300x315) per l’abside della chiesa di San Giuseppe Artigiano in Roma. Benedetti da Giovanni Paolo II, esprimono il tema dell’alleanza, rendendo il presbiterio punto di riferimento del cammino di fede e punto di irradiazione per una comprensione più profonda del disegno di Dio sull’uomo. In queste due tele Agostino De Romanis, ha raffigurato, senza fare nomi, il destino che incombe sull’uomo, ricorrendo ad un’astrazione immaginale con forti accenti cromatici. La simbologia, più implicita che esplicita, è visionaria. Essa non descrive singoli episodi, è piuttosto un insieme simbolista, dove non c’è alcuna interruzione tra le figure e il contesto.
Le Fabulae e i sogni
Il critico d’arte e saggista Domenico Guzzi ha esplorato come pochi il tessuto dell’arte di Agostino (nonché di Giorgio de Chirico), riallacciando i fili di una continuità di ricerca espressiva e Fabulae è il significativo titolo di una monografia del 1991 dedicata al nostro artista. La fabula è infatti il miracolo che trasforma la realtà in irrealtà nel momento stesso della narrazione, è il prodigio di creare fantasticamente, è il regno dell’invenzione senza riserve, è il luogo ove tutto si giustifica. E, analogamente alla narrazione della memoria di un sogno, il tempo che questo separa dallo stato di veglia filtra e amplifica, simula e abbellisce.
Indonesia: miti, leggende e sogni
Nella produzione dell’artista veliterno i riferimenti esotici diventano intensi in coincidenza con i viaggi in Indonesia: i paesaggi, le isole, le risaie, i volti e i colori presenti nei suoi olii parlano dell’ampio registro di un’anima capace di contenere i meditativi silenzi delle preghiere sul fiume Kalimantan, dei vulcani di Semeru, Java e Lombok, della giocosità della gente dell’isola di Giava, delle vaste risaie sotto vento dell’isola di Bali. L’Indonesia per Agostino è più di un interesse culturale e artistico, molto più di un fascino ancestrale, è un amore nato con le sue lunghe permanenze in quel posto incantato e restato intatto a distanza di circa quaranta anni, anzi consolidato ed arricchito da esperienze indimenticabili: “viaggi” reali e della fantasia in ambienti che custodiscono l’incorruttibilità dei sentimenti e che sembrano collocati in una dimensione atemporale.
Immergersi in tale mondo, originario ed innocente, ha suscitato nel pittore una emozione incantevole, rigenerante e durevole, una svolta fatale della sua vita. Tutto ciò ha fatto sorgere una nuova vena artistica e creativa, pressoché inesauribile con innumerevoli opere che stupiscono per la bellezza di composizioni paesaggistiche e figurazioni sublimi e poetiche, di toccanti colori e tonalità profonde e diffuse, di struggenti atmosfere, di suggestioni archeologiche, come in Eroi e miti (1990), Rosso della terra e del cielo (2000), Sorge una vita dalla terra e dal mare (2001), Elevazione (2002), Nel giardino degli incanti (1990, trittico), In riposo (2007, trittico).
Nelle opere del ciclo dedicato all’Indonesia si captano contestualmente l’incanto della mutevole bellezza ed armonia dell’infinito e le delicate ricchezze cromatiche dalle calibrate sfumature. Tuttavia negli elementi naturali accumunati dai colori rosso, azzurro, verde, giallo che sono il suo universo, rifugio ed asilo, il Maestro inserisce figure arcane, ermetiche, misteriose capaci di trasfigurarli. Si tratta di strani elementi naturali come L’ombra della palma (2002), Il re contempla l’ultima palma (2006), di conturbanti figure femminili come Donna protetta dal fuoco (2003), di mitici uccelli come in Desiderio di volo (2006) e Trame occulte della terra (2002). Nell’opera I fiori della vita nel ramo rosso (2008), con l’immagine supina del volto che lascia incerti nel decidere se è un risveglio od una resurrezione, l’artista ha voluto esprimere la consapevolezza che la vita è ineluttabilmente legata alla morte, avvalorata dalla mutazione dei teschi in fiore che germogliano sul ramo rosso, simbolo inconfondibile di vita.
Le mostre recenti
Nel 2012, Vittorio Sgarbi cura alla Camera dei Deputati la mostra De Romanis. Il pensiero dipinto, la forza mistica del mondo orientale.
L’11 novembre 2012 viene inaugurata alla Fondazione di Roma Capitale “Elsa Morante” la mostra Agostino De Romanis: All’origine delle cose, curata da Roberto Luciani e dedicata al ciclo che vede l’Aritmosofia e il significato esoterico dei numeri i protagonisti principali delle opere.
Nell’inverno del 2016, viene allestita nel Complesso Monumentale di Santa Maria dell’Orto in Trastevere a Roma, la mostra De Romanis a Santa Maria dell’Orto, curata da Roberto Luciani (catalogo “dei Merangoli”).
Nel prestigioso Museo Archeologico di Anzio, che ha dato i natali agli imperatori Caligola e Nerone, si è associato all’esposizione di capolavori di arte antica la ricerca e la verifica dell’arte contemporanea con la mostra Agostino De Romanis per Anzio Imperiale, inaugurata il 14 aprile 2019 e curata da Roberto Luciani.
La mostra nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro
Una straordinaria antologica di Agostino De Romanis attualmente allestita nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro in Roma, sede dei Musei di San Salvatore in Lauro e della storica Fondazione Pio Sodalizio dei Piceni, attiva nell’Urbe sin dal Seicento. La mostra dal titolo De Romanis l’arte incontra i sogni, curata da Roberto Luciani, espone opere datate prevalentemente tra il 2010 e il 2020, privilegiano tuttavia la produzione più recente. L’evento risulta essere l’apice professionale di un uomo che da oltre cinquant’anni vive la sua esperienza di artista dentro linguaggi e tematiche tra le più rigorose e ardite.
Tra le opere esposte troviamo A cavallo di suggestioni (2017), dove compare un cavaliere in sella al destriero lanciato nella corsa: ognuno di noi può identificarsi in tale fantastico personaggio, quando riesce a ritrarsi dai pesi esistenziali e può così abbandonarsi alla ricerca di suggestioni che trasfigurano l’esistenza; Su e giù per i cieli (2017), dove lungo il sentiero di un astro, su cui sono approdati uscendo fuori dalla “gravità” del nostro mondo, due gruppi di cavalieri che si rincorrono, dimentichi di ogni ambascia e sicuri di poter oltrepassare ogni limite. Nell’opera La Fabula è sogno (2017), è lo stesso artista che chiarisce sulla tela con eccelsa grafia il significato:
La Fabula è immaginazione, è trasgressione, è abisso e labirinto. La Fabula è sogno.
Tutti i dipinti esposti effondono un misto di sintesi delle precedenti esperienze e di estraniamento, che tuttavia rivelano ancora l’intatta facoltà di empatia e la volontà di inabissamento nella contemporanea condizione umana dell’artista.