Marina Benedetti insegna “Storia del Cristianesimo” presso l’Università degli Studi di Milano. Si occupa di eresie, soprattutto al femminile, e di inquisizione medievale, di cui ha pubblicato numerosi processi (tra cui Milano 1330. I processi inquisitoriali contro le devote e i devoti di Guglielma, Milano 1999). Ha studiato anche i Valdesi attraverso la conservazione e la trasmissione dei documenti medievali nel dibattito religioso del XVII secolo. È curatrice di una Storia del Cristianesimo, II: L’età medievale (sec. VIII-XV), (Roma 2020) e in co-curatela Francesco da Assisi. Storia, arte, mito, (Roma 2019). È in pubblicazione Contro frate Bernardino da Siena. Processo al maestro Amedeo Landi (Milano 1437-1447), (Milano 2021).
Quali esperienze, incontri, letture, l’hanno spinta a interessarsi così profondamente alla storia del cristianesimo nel suo versante ereticale?
In realtà, sono state circostanze casuali. Una proposta di tesi su Guglielma perché era l’unica possibilità di studiare un processo inquisitoriale (l’archivio del Tribunale dell’Inquisizione milanese è andato distrutto…) e una frase sibillina di Grado Giovanni Merlo, il mio relatore e il più grande specialista di eresie medievali, che mi disse: “Vuoi studiare Guglielma? Ce la puoi fare…”. Non sapeva ancora che mi piacciono le sfide. Le mie letture sono sempre state prioritariamente le fonti e, in seguito, gli studi: il confronto storiografico è sempre venuto dopo che l’analisi mi aveva fornito piste di ricerca da percorrere anche sul versante femminile: Dolcino da Novara e accanto Margherita, di cui pochissimo si conosceva, e da lì le predicatrici itineranti…
Ha scritto del silenzio come dimensione storica.
Mi è piaciuto molto riflettere su ciò che sembra un paradosso. Spesso si dimentica che è sopravvissuta solo una parte ridotta della documentazione prodotta, tanta è stata distrutta o perduta. Il passato è circondato da silenzio da cui spuntano vette o isole o arcipelaghi documentari. Bisogna ascoltare il silenzio – “ascoltare con gli occhi” – mentre si leggono le testimonianze del passato. Forme diverse di silenzio sollecitano differenti qualità di ascolto. Non si possono studiare individui – uomini o donne – che addirittura sono finiti sul rogo se non si ascolta. In questo mare di silenzio, può capitare che delle inaspettate maree documentarie facciano emergere qualcosa: è il caso dei processi contro il maestro d’abaco Amedeo Landi provocato dalla predicazione di Bernardino da Siena a Milano. Predicazione e Inquisizione si collegano, santità ed eresia si intrecciano. E questo è affascinante!
Da Paolo di Tarso, ad Ambrogio, al Diritto Canonico, c’è tutta una tradizione che vede con sospetto, limita o vieta la parola alle donne. Esiste forse un filo rosso che collega questo passato al presente silenzio di molte donne sulle violenze domestiche, sulle molestie, sugli stupri?
Il discorso è complesso. Da un lato c’è il silenzio delle donne (I Cor. 14,34; I Tim. 2, 11-15) che agevolmente si trasforma in silenzio sulle donne che devono tacere – “Stai zitta!” è l’espressione che a lungo ha sintetizzato questo atteggiamento – e in più di loro non si deve parlare. Questi passaggi sono molto chiari per le eretiche medievali. Ignorare, gettare addosso il silenzio, è già una forma di violenza, tutto il resto – la delegittimazione, la denigrazione, l’alterazione dell’identità, l’isolamento sociale – è una conseguenza quasi implicita verso chi non dovrebbe nemmeno osare esistere. Mi paiono evidenti le analogie con un presente femminicida.
Nel suo Condannate al Silenzio. Le eretiche medievali, Mimesis Edizioni, si sottolinea come, con l’invenzione delle streghe - e a Milano e in Lombardia ne abbiamo feroci esempi di persecuzione con Carlo e Federigo Borromeo - le donne siano costrette a parlare, anche con la tortura: cos’era cambiato?
Le streghe sono state prima inventate e poi bruciate. Il metareale (il sabba) si fa drammaticamente reale (con il rogo). Le parole danno ‘vita’ al fenomeno stregonesco e nel contempo conducono alla morte donne che, nel tentativo di salvarsi, aderiscono all’orizzonte mentale imposto dai giudici. A meno che non crediamo che si possa – realmente – recarsi in volo dal demonio per congiungersi con lui e che questa sia – addirittura – una forma di libertà…
Sempre nel testo sopra citato, oltre a monografie di donne “eretiche” medievali e a Giovanna D’Arco, focalizzandosi su Milano, è presentata la figura di Guglielma, la religiosa morta in odore di santità, e arsa al rogo dopo il processo del 1300: forse questo inesorabile accanimento degli inquisitori era dovuto al doppio crimine di essere sia eterodossa che donna?
La figura di Guglielma è affascinante e complessa, anche perché gli atti processuali incompleti – come spesso accade – non permettono una ricostruzione lineare. Potrebbe stupire, ma i roghi erano meno frequenti di quanto si possa pensare. In più, Guglielma era già morta quando si svolse il processo e si emise la condanna. A ciò si aggiunga che muore santa e nel 1300 ‘rinasce’ eretica. Evidentemente rappresentava una santità ‘scomoda’ e il suo culto era considerato concorrenziale. I frati Predicatori – e inquisitori – agiscono per controllare il fenomeno della santità laicale utilizzando lo strumento dell’eresia. Santità ed eresia sono due aspetti complementari di una stessa realtà. Negli stessi anni abbiamo anche il caso di Armanno Pungilupo a Ferrara con caratteristiche molto simili. Se Guglielma era sepolta nel cimitero dell’abbazia cisterciense di Chiaravalle, Armanno lo era nella cattedrale di Ferrara.
Come studiosa e docente di “Storia del Cristianesimo”, si è occupata della Chiesa Valdese: che ruolo hanno avuto in passato e quale ruolo vi hanno oggi le donne?
Io mi sono occupata soprattutto delle donne valdesi prima dell’adesione alla Riforma quando le predicatrici affrontavano i pericoli della vita on the road per diffondere il Vangelo in un’itineranza apostolica che era scelta pauperistica. Costoro diventeranno ‘donne di strada’ con un significato diverso quando l’espressione “donnicciole cariche di peccati”, oltre ad essere monito apocalittico, diventerà immagine di degradazione morale. Da qui la creazione del sabba e la prima rappresentazione di una strega che – non a caso – è valdese. Questo è l’esito dell’intervento degli uomini di chiesa, ma – a dire il vero – nemmeno le fonti interne al mondo valdese mostravano grande attenzione all’esperienza religiosa femminile. Oggi è diverso, le donne nella Chiesa valdese non sono marginali, tutt’altro. Ma io preferisco rimanere nel passato che ci ‘parla’ molto di più del presente di quanto si possa immaginare, anche nel rispetto di una distanza che non possiamo attualizzare senza forzature. Il passato ci parla sempre, nonostante il silenzio e in virtù del nostro ascolto.