La Storia non può essere qualcosa da manipolare a seconda delle convenienze (esercizio in cui molti eccellono), ma soprattutto cercando di attualizzarla e giudicarla alla luce del modo di pensare di oggi.
Ci sono, comunque, revisionismi e revisionismi. Come insegna quello, ad esempio, condotto da una certa destra, che relativizza le colpe del nazismo nel genocidio degli ebrei, contestando i numeri dell'olocausto e persino l'esistenza dei campi di sterminio nella accezione di oggi, cercando di farli passare come semplici nodi di snodo dei convogli ferroviari che, non si sa bene perché, percorrevano l'Europa degli anni della Seconda guerra mondiale carichi di israeliti, rom, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti che non sarebbero mai tornati a casa.
Ma c'è un altro revisionismo che si sta facendo strada e che attecchisce, applicando i criteri di giudizio dei nostri giorni a fatti e persone che sono vissuti in epoche differenti, sia dal punto di vista storico che sociale.
Per questo merita una riflessione approfondita quanto accaduto a San Francisco dove una commissione scolastica, composta da una dozzina di persone, tra studenti e professori, ma nessuno storico, ha deciso che dovrà cambiare l'intitolazione di circa un terzo degli istituti d'istruzione locali perché, a detta di questo organismo, celebrano personaggi i cui comportamenti oggi sono da censurare.
E non si tratta di nomi di personaggi di secondo piano, ma di altissimo profilo (per la Storia, soprattutto quella degli Stati Uniti), a partire da George Washington, Thomas Jefferson e James Madison, rispettivamente, primo, secondo e terzo presidente.
La loro colpa?
Quella di avere avuto al loro servizio degli schiavi, una pratica che all'epoca era assolutamente normale e che certo a quel tempo non scatenava dibattiti o querelle. Si dirà che la schiavitù resta la sopraffazione dell'uomo sull'uomo, ma nel '700 - parliamo di quel periodo - era una pratica assolutamente normale che non sempre si traduceva nell'esercizio della violenza. Allo stesso modo, quindi, con la sensibilità di oggi, si dovrebbero mettere all'indice - e voglio ricorrere ad un paradosso - quegli stessi che, nominati dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, fecero da giudici ai gerarchi nazisti, a Norimberga, alla luce di una visione del diritto che, sino a quel momento, apparteneva ai singoli Stati e non alle alleanze militari.
Washington, Jefferson e Madison avevano degli schiavi per il solo motivo che, all'epoca, l'economia era in gran parte agricola e gli schiavi usati alla stregua di macchine. La condanna di oggi quindi sarebbe stata improponibile a quell'epoca e lo sarebbe stata sino a quando l'abolizionismo uscì dal ristretto alveo dei circoli intellettuali per diventare movimento politico.
Ripeto, la schiavitù è un peccato contro ogni regola, da condannare sempre e comunque, ma la coscienza della sua aberrazione è maturata molto tempo dopo, dalla seconda metà dell'800.
Il colpo di spugna all'intitolazione di 44 scuole di San Francisco ha riguardato persino Abraham Lincoln, colui che guidò il Nord nella Guerra civile americana - che fu generata dall'antischiavismo e dal corollario economico che il movimento ebbe - e che per questo fu assassinato da un fanatico del Sud. Qual è l'accusa che gli viene mossa? Quella di avere autorizzato l'esecuzione di 38 nativi americani che, nel 1862, avevano attaccato un gruppo di coloni, uccidendone molti. Ci sarebbe da chiedere se mai Lincoln si sarebbe potuto comportare diversamente, facendo valere le sue prerogative presidenziali, ma forse non si considera che quell'episodio accadde in piena guerra, quando lui doveva tenere uniti gli Stati del Nord e, di conseguenza, una grazia accordata a persone che un tribunale aveva ritenuto colpevole di una strage di civili avrebbe causato proteste che certo avrebbero nuociuto all'andamento della guerra, ma prima ancora degli arruolamenti.
Ma la furia revisionista guarda ai fatti enucleandoli dal contesto storico e per questo arriva a decisioni che sono quanto meno singolari. Come quella che è stata adottata verso Thomas Edison, l'uomo che ha regalato l'uso civile dell’elettricità e che è stato messo sotto accusa per avere sottoposto degli animali ad esperimenti di elettrocuzione.
La cosa che dovrebbe fare riflettere è che Edison è stato "condannato" all'oblio storico per gli esperimenti fatti su Topsy "un elefante da circo molto popolare all'epoca", secondo la motivazione contenuta nel relativo fascicolo della commissione di San Francisco.