Quale visione hanno i russi di Napoleone Bonaparte? La domanda parrebbe retorica: il Nemico che violò i sacri confini della Patria, l’invasore, un precursore di Hitler: l’invasione francese del 1812 e il grande incendio di Mosca furono i traumi più grandi della storia russa prima dell’invasione nazista. Invece la visione russa di Bonaparte è assai più complessa, e riflette un rapporto che lascia trasparire una certa ammirazione per la figura dell’Imperatore.
Napoleone è al centro delle opere dei tre massimi autori della letteratura russa: Puškin, Tolstoj e Dostoevskij. Aleksandr Puškin, considerato il “Dante” della letteratura e della lingua russe, era contemporaneo di Napoleone e vide in prima persona l’invasione della sua terra: in quel momento la propaganda zarista rappresentava Napoleone semplicemente come “l’anticristo”. Puškin va oltre: vede il titano. Il giovane poeta russo, profondamente francesizzato come tutta la crema della società russa ottocentesca, vede in lui soprattutto il titano. Da buon romantico non può restare indifferente a questa figura gigantesca, che ha sfidato la Divinità ed è finita, come il titano Prometeo, incatenata ad uno scoglio nell’Oceano.
Nella lirica Napoleone composta alla morte del corso, Puškin chiama Napoleone un “grande uomo” dal “destino prodigioso”. Soprattutto dice che ha lasciato al mondo “l’idea eterna di libertà”: Napoleone, rimpianto dopo la svolta reazionaria dello zar Alessandro, era colui che malgrado tutto aveva portato ad una Russia ancora feudale gli ideali della Rivoluzione francese che da lì a poco ispireranno la rivolta dei decabristi.
Nell’ode al mare così scrive Puškin:
Là si è spento Napoleone ...
Un altro genio è galoppato via da noi,
Un altro dominatore delle nostre menti.
È scomparso, pianto dalla libertà.
Evgenij Onegin, protagonista del capolavoro di Puškin, ha un busto di Napoleone nel suo studio, segno di ammirazione per il Grande Nemico.
Tolstoj e Dostoevskij apparentemente prendono una posizione “antinapoleonica”, ma se si gratta si nota, dietro la critica, il profondo fascino di Napoleone sulla gioventù russa.
Guerra e pace di Tolstoj è certamente l’opera russa più importante a trattare di Napoleone. E subito notiamo come i due protagonisti maschili, Pierre Bezuchov e Andrej Bolkonskij, siano dei “fan” dell’Imperatore che pure è già un nemico: in questo rassomigliano molto a Puškin. Nella descrizione della battaglia di Austerlitz sembra che persino l’antinapoleonico Tolstoj soggiaccia al fascino dell’Imperatore che, come un deus ex machina, levandosi il guanto dalla “bella mano” realizzi il piano geniale della sua vittoria. E quando Andrej ferito si trova faccia a faccia con Napoleone lo vede sì piccolo e meschino a confronto di quel “cielo immenso” ma riconosce “il suo eroe”: il nemico, quello che le dame chiamavano “anticristo” è comunque “il suo eroe”. Tolstoj riconosce una forza più grande di Napoleone, loda il vecchio Kutuzov come espressione genuina della vittoria del popolo russo sull’invasore francese, ma non riesce a non nascondere che quell’uomo ha magnetizzato pure lui con il suo gigantismo.
Per ultimo Dostoevskij, che tratta indirettamente di Napoleone nel suo Delitto e castigo. Tra i tre scrittori trattati Dostoevskij, ex socialista pentito convertito all’ortodossia più rigorosa, è quello più vicino ai valori zaristi che, a differenza degli altri due, non mette in dubbio: e infatti, Napoleone torna ad essere un “anticristo” metaforico. Napoleone è il modello di superuomo cui tutto è concesso, il titano che “fa del bene” anche spargendo sangue umano preso ad esempio dal giovane Raskolnikov, il protagonista del romanzo. Chi è Raskolnikov? È il simbolo di quei giovani russi anarchici, nichilisti o socialisti tra i quali vi fu pure Dostoevskij prima del trauma dell’esperienza carceraria. E lo stesso Dostoevskij, come il suo antieroe, aveva sentito il fascino superomistico di Napoleone prima di abbandonarlo per tornare a Cristo e allo Zar.
L’esperienza napoleonica prefigura quella russa del Novecento: i bolscevichi saranno i nuovi giacobini e un bonapartismo ben più feroce e senza i “lati positivi” dell’originale si avrà nello stalinismo. Lo stesso Stalin, pur trovandosi in una situazione simile a quella dello zar Alessandro nel 1812, respingerà ogni analogia tra Napoleone e Hitler, definendo il primo “un leone di montagna” e il secondo “un gatto spelacchiato”. L’ex seminarista georgiano divenuto uno dei tiranni più spietati della storia sentiva, come Raskolnikov, il fascino del grande nemico divenuto grande modello da imitare.