I fanatici li riconosci subito, se vuoi: li trovi in ogni ambito, che sia religioso, filosofico, politico ma anche artistico, psicologico, esoterico, sociologico. È un genere sociale che classifica gli altri in quanto autoclassificante: o sei dei loro o sei il demonio.
I colori per i fanatici non esistono: o è tutto bianco o è tutto nero. Il forse non lo concepiscono: o è “sì” o è “no”. Il dubbio (quale meravigliosa creazione della mente umana, fonte della curiosità e dell’approfondimento, della libertà e dell’apertura!) è buono solo se altrui, perché indizio di un pertugio in cui intrufolarsi subdolamente, con un sorriso che in realtà nasconde lunghi canini atti ad azzannar la preda nel momento propizio. La disgrazia è sempre un indizio, anzi una vera e propria prova che suffraga la correttezza delle proprie tesi, delle proprie credenze e la dimostrazione dell’errore di chi pensa e agisce in modo diverso.
Il fanatico non molla mai la propria preda. In un crescendo di continui e asfissianti assalti durante i quali spesso ricorre agli insulti, alle parole scritte in lettere maiuscole a reclamar violentemente la dimostrazione delle proprie certezze, attende pazientemente l'attacco finale, affidandosi all’idea che prima o poi la vittima esausta crolli per sfinimento. Perché tutti, prima o poi, hanno il loro momento di sconforto, l'evento che porta la disperazione nella propria vita. Il fanatico attende questo momento altrui, quasi con desiderio, perché sa che quello è proprio il momento di entrare in scena con il proprio falso fare consolatorio: infatti, illudere di nuove speranze il prossimo con ricette ammiccanti e semplici, quasi basiche direi, è ciò che gli riesce meglio. Più complesso è il momento vissuto dalla vittima, più sarà mellifluo il suo intervento.
Con il fanatico qualunque ragionamento è inutile perché non è il buon senso né il pensiero ad essere il faro delle proprie idee, sentimenti e azioni ma lo è il dogma. Il dogma in quanto tale non richiede né accetta spiegazioni, lo devi prendere per buono così come è. Il dogma ti semplifica la vita, ti evita qualunque perdita di tempo e di sforzo sprecato dietro al dubbio. Tutto sommato la psiche umana è abbastanza prevedibile: niente è più facile che accettare una limitazione della libertà e dell’autonomia in cambio della sicurezza e la risposta unica da non mettere mai in discussione rappresenta il grado più alto della sicurezza possibile. Il fanatico rinuncia quindi a se stesso nell’ambito di tutto ciò che riguarda il libero pensiero in favore di qualcun altro, sostituito dal guru prescelto per rappresentarlo, qualcuno che a volte ha visto una volta nella vita o che spesso neanche conosce, se non solo per nome, fama o popolarità.
Quando ha avuto modo di conoscerlo di persona, lo ha spesso incontrato affrontando sacrifici logistici ed economici non indifferenti, attirato magneticamente dal di lui carisma da cui è stato letteralmente travolto e conquistato. In questo modo il fanatico sgomina ogni ritrosia interiore rivolta all’ammissione della propria inferiorità. Il fanatico, infatti, attribuisce tout court al proprio guru un’autorevolezza assoluta e indiscutibile. A volte lo imita non solo nell’espressione fisica e vocale, negli argomenti e nei vocaboli scelti ma addirittura nel modo di vestire. Spesso si verifica la formula matematica per cui tanto è maggiore l’imitazione del modello, tanto maggiore è la scalata di posizione e di credibilità all’interno della realtà venutasi a creare tra gli altri fanatici sottoposti alla volontà del guru. Il fanatico, riconoscendo l’assoluta superiorità del proprio capo, impara in fretta anche tutto ciò che è forma, immagine e gerarchia. Anzi, minori sono i dubbi formali e sostanziali, maggiore è il riconoscimento che il fanatico riceve da parte degli altri fanatici a lui collegati.
Il fanatico, per citare un noto film, ha già scelto se assumere la pastiglia rossa o la blu, anzi spesso ricorda quel momento come quello fatidico, relativo all’ultima scelta da lui compiuta durante la vecchia vita, ancora dominata dai dubbi e dalle incertezze. Noi, dall’esterno, possiamo valutare la scelta tra le due opposte “pastiglie” come quella tra una vita illusoria, vincolata, priva di dubbi ma apparentemente tranquillizzante rispetto ad un’esistenza tesa alla ricerca della libertà e quindi sempre sul filo del baratro tra luce e tenebra. Il fanatico ricorda invece quel momento esattamente all’opposto di come facciamo noi. La realtà è invertita. La non-libertà diventa per lui libertà. La vera libertà, per il fanatico, si acquisisce solo nel momento in cui la propria vita cade sotto l’egida della presunta serenità ed eliminazione delle incertezze.
Quando diedi il via all’Avanguardia del Metateismo, il movimento artistico che lanciai qualche anno fa, il pericolo era quello di aver aggiunto un altro –ismo a tutti quelli già esistenti. Si è detto e parlato molto della fine degli –ismi del XXI secolo, soprattutto per due motivi: il bisogno di individualismo crescente dell’essere umano moderno (non più disposto a condividere nulla, continuamente volto alla ricerca della valorizzazione della sua immagine, della sua vita) e la paura che un altro, un nuovo -ismo rappresentasse, come in tanti casi precedenti, una deriva del pensiero in termini assolutistici e ideologici.
Il Metateismo è nato invece proprio per opporsi a questo e per combattere il fanatismo in ogni campo, in ogni disciplina, in ogni disposizione d’animo. Il Metateismo è nato come disposizione al dubbio, alla riflessione, al pensiero, al sentimento. In qualche modo è una riconquista del Romanticismo in sintonia con l’Illuminismo, è un afflato di Rinascimento che deve tornare con forza al centro della nostra società se vogliamo cambiare davvero in meglio le cose. È nato per non ridurci ad esseri unilateralizzati e unitaleralizzanti, omologati e soverchiati da uno dei due opposti che fanno da limite ad ogni idea. In termini espliciti ho preso spunto dai massimi estremi ideologici possibili, quelli che tranciano a metà la vita umana e il senso stesso della sua esistenza, e cioè il Teismo e l’Ateismo con un evidente gioco di parole, anteponendo a i due termini antitetici il suffisso greco “meta”, indicante l’andare oltre le due posizioni antinomiche del “credo ciecamente” e del “non credo altrettanto ciecamente”. Da una parte abbiamo la fede assoluta, dall’altra l’altrettanto assolutistica non accettazione di qualunque ipotesi non alla portata dei miei sensi. Due posizioni estreme e inconciliabili, eppure molto affini tra loro: infatti, anche nel rifiuto assoluto di ciò a cui non credo si assume una posizione oltranzista e incapace di dialogo. Entrambe queste posizioni non ammettono discussioni, dubbi e ragionamenti. Un rapporto di esplicito odio ma di occulta affinità scorre tra queste due posizioni opposte.
Questo pensiero che hegelianamente va oltre tesi e antitesi per raggiungere una sintesi è per sua natura contro ogni dogma. L’arte e la cultura, umanisticamente, hanno bisogno della scienza, dell'economia e del sociale e viceversa.
Non c'è valore più alto della libertà per l'essere umano e la libertà, nel suo continuo divenire e metamorfosarsi nei diversi periodi storici, si ottiene solo e soltanto andando al di là dei dogmi.
Solo attraverso la libertà possiamo rispettare o, meglio ancora, amare il prossimo: artisticamente, filosoficamente, politicamente, religiosamente e soprattutto eticamente.
Non c'è dogma che valga una sola idea o un solo sentimento.
Non c'è dogma che valga la vita di un solo essere umano.
Neanche quella di un fanatico.