Dopo un anno, che ha fatto della scuola il centro dell’attenzione di molti, senza tuttavia parlare troppo di istruzione e, soprattutto, di educazione; dopo un anno difficile per la cultura durante il quale tuttavia per la cultura si è fatto più di quanto si è (forse) visto, ecco l’anno di Dante. Se ne parla, o meglio, le città direttamente coinvolte ne parlano da molto, con accurati progetti di celebrazione, ma in molti angoli d’Italia penso che non ci siano ancora le idee molto chiare in merito a che cosa si deve ricordare. Dopo un bellissimo concerto al Quirinale che ha aperto ufficialmente le celebrazioni alla presenza del Capo dello Stato, ecco che siamo già da settembre 2020 nell’anno dantesco. Cioè il ricordo della morte del sommo poeta Dante Alighieri, avvenuta nel 1321, e dei settecento anni della Commedia, ufficialmente terminata sempre nel 1321, poco prima della morte dell’autore.
E per la quale è di certo noto e ricordato in tutto il mondo. In molti Paesi esteri si studia l’italiano per comprendere bene la Commedia e i suoi risvolti sottili, che altrimenti rischierebbero di sfuggire anche con la migliore traduzione. Cerchiamo di capirne il perché.
La Commedia è un’opera scritta da un poeta in esilio dalla sua amata città, Firenze, per motivi politici. Penso sia importante leggerla proprio in questo 2021 durante il quale ci dev’essere un riscatto da un periodo difficile e a volte buio: la massima opera italiana mondiale nasce nella difficoltà dell’abbandono, della solitudine, con il senso di tradimento dei propri ideali e del proprio credo politico, lui che era stato priore della sua città, cioè la massima carica cittadina. Dante prova lo sconforto e ambienta allora il suo massimo lavoro in un mondo fantastico, emblema di come dagli inferi si può, comunque, risalire verso la luce paradisiaca.
La Commedia, iniziata nel 1304, è ambientata nel 1300, anno in cui il papa Bonifacio VIII indice il Giubileo della cristianità. Anno difficile il 1300, per la paura, non nuova, del cambio di secolo, di un’imminente fine del mondo, ma che doveva assumere il simbolo della rinascita con il pellegrinaggio a Roma per ricevere cent’anni d’indulgenza plenaria (il perdono di tutti i peccati). Cogliendo quell’occasione, Dante si immagina unico essere umano a scendere da vivo negli inferi, spettatore di tutte le paure e tutti i tipi di punizione per ogni mancanza commessa in vita, anche se in realtà, ad esempio, Bonifacio VIII verrà condannato all’inferno da Dante mentre era ancora vivo.
Soltanto attraversando ogni difficoltà e guardando in faccia il male umano, Dante potrà riaffiorare in superficie, passare ancora qualche tribolazione nel Purgatorio per poi assurgere alla visione di Dio e dei santi, quella luce che lui vedrà ancora da lontano mentre la sua musa ispiratrice, Beatrice, morta alcuni anni prima, ne poteva già godere direttamente.
Un lavoro che l’autore chiama Commedia, perché in realtà è una storia che inizia in modo drammatico, in una selva oscura tra le belve feroci, ma si concluderà bene, potendo lui godere della vita che i cospiratori fiorentini gli avrebbero altrimenti tolto, avendolo condannato a morte, e grazie alla benevolenza dei suoi benefattori. Soprattutto i della Scala di Verona e i da Polenta di Ravenna per i quali sarà ambasciatore a Venezia. Proprio tornando da un viaggio in laguna, Dante si ammalò e morirà a Ravenna dov’è sepolto tuttora.
Circondato da solida fama, anche grazie all’intenso lavoro letterario, Dante verrà ricordato per la sua opera maggiore in volgare italiano, comprensibile da tutti, ma non per tutti. Leggerla, infatti, significava avere un buon bagaglio di conoscenze storiche, geografiche, letterarie e politiche che rendono la Commedia un capolavoro ancora oggi, ancora attuale e capace di impartire molti insegnamenti. L’occasione dell’importante anniversario auspico sia modo per approfondire lo studio e la conoscenza del nostro smisurato bagaglio culturale italiano, invidiato da tutto il mondo, e che non deve scadere dietro scelte burocratiche appiattenti, spesso in nome di un europeismo frainteso.