Hansken, l’elefantessa. Conoscere la sua vicenda non è un rimedio per la vita, ma sterza l’umore. Perché Hansken, nata nel 1630 nell’isola che chiamavamo Ceylon, olandese d’adozione e di nome - in italiano faceva Giannina - era versatile, di maniere squisite e sopportava con stile la sequela di seccature che la condizione di star esotica le imponeva.
Alla metà del 1600 essere un elefante, abitare ad Amsterdam, poi viaggiare per il continente europeo a mo’ di fenomeno da fiera era davvero inusitato.
Fino a che punto Hansken fosse una straordinaria attrazione ce lo spiega lo zoologo Paolo Agnelli, conservatore della collezione mammiferi del Museo di Storia Naturale di Firenze, sede la ‘Specola’: “In Europa erano davvero in pochi ad aver sentito parlare di elefanti. Chi era potuto andare in Africa o in India? I più nemmeno ipotizzavano che potesse esistere un animale di quelle dimensioni, con quella proboscide. Un animale veramente da fantascienza, come se ora, da un momento all’altro, qui arrivasse un marziano”.
Il fatto è che Hansken è tuttora una figura di spicco del panorama mondiale, il suo cranio andrà ad Amsterdam a un’esposizione su Rembrandt, solo che non appartiene più a un ambito circense ma alla scienza. Da rara è diventata unica. Se fu una bellezza, i ritratti che le fecero Rembrandt (1637 circa), appunto, e Stefano della Bella (1665) lo testimoniano, adesso è un “tipo”. Il tipo dell’elefante indiano, Elephas maximus.
Che significa ce lo spiega ancora Paolo Agnelli: “Chi non è addetto ai lavori, pensi che a Parigi, al Bureau international des poids et mesures è custodito il metro ufficiale. Se vuoi sapere quanto è lungo un metro quello è il riferimento per l’umanità. Puoi andare lì con il tuo e confrontarlo. Il tipo di una specie animale, e anche di una pianta, è la stessa cosa: il riferimento internazionale per quella specie. La nostra elefantessa è per il mondo il riferimento di come è fatto un elefante. S’immagina l’importanza di questo reperto?”.
Era stato descritto da Linneo, vero?
Sì, nel 1758, ma la questione è un po’ complessa. Ai tempi di Linneo ancora non si era capito che esistevano un elefante indiano e un elefante africano. Linneo fece un lavoro fantastico che è ancora alla base della zoologia, dette un nome e distinse molte delle specie allora conosciute. Definì l’elefante Elephas maximus e prese come riferimento un feto che è ancora depositato in alcol al Museo di Storia Naturale di Stoccolma. Con l’avvento della genetica anche in campo zoologico, i tecnici del museo hanno potuto indagare il DNA del feto e si sono accorti che il piccolo non era un Elephas maximus ma una Loxodonta africana, cioè un elefante africano di cui esisteva già il tipo.
Allora sono andati a controllare il testo originale di Linneo dove, oltre, alla descrizione di questo celebre feto, c’era anche quella di un fantomatico scheletro di cui si erano perse le tracce. Linneo non lo aveva osservato direttamente ma ne aveva ripreso la descrizione dai diari di un naturalista inglese, John Ray, che era stato a Firenze, l’aveva visto agli Uffizi e descritto minuziosamente nel 1665. Prima di fare qualsiasi altra cosa per elevare a tipo un nuovo reperto di elefante indiano, bisognava cercare questo scheletro. Enrico Cappellini, un collega di Copenaghen che stava lavorando col Museo di Stoccolma e che è stato studente da noi, si ricordava di aver visto alla Specola uno scheletro di elefante e ci ha telefonato.
È iniziata allora una ricerca scrupolosa, esaltante e forsennata nei nostri archivi e all’Archivio di Stato e nella letteratura scientifica storica, ma alla fine nel 2013 siamo riusciti a dimostrare che lo scheletro custodito nel salone scheletri è quello che John Ray vide esposto agli Uffizi, e che arrivò qui da noi nel 1775 alla fondazione del museo, che allora si chiamava Regio Museo di Fisica e Storia Naturale.
Il primo risultato fondamentale di questo lavoro è che Hansken è diventato ufficialmente il Tipo dell’elefante indiano. Misure, registri, torna tutto e lo abbiamo pubblicato su una rivista prestigiosa. Il secondo risultato è che proprio questo elefante era quello divenuto famosissimo nell’Europa del 1600. Se la genetica ci dice che viene da Ceylon, la storia ci racconta che era stato inviato via nave in Olanda a un ricco collezionista al quale piaceva tenere animali vivi nei suoi giardini.
Come mai è a Firenze?
L’elefantessa fece il giro dell’Europa perché, dopo essere passata per un paio di proprietari, finì nelle mani di una persona che aveva uno di quei serragli ambulanti che andavano di moda e che si arricchiva mettendo in mostra Hansken. Pare che fosse molto docile, sapeva sbandierare, tirare di scherma, alzare la zampa e compiere altri esercizi che all’epoca apparivano veramente sorprendenti. Esiste un disegno del XVII secolo con tutti gli esercizi che faceva.
Nel 1655 venne a Firenze, fu alloggiata nella Loggia de’ Lanzi, chiusa da delle staccionate, con la gente che andava a vederla e le dava da mangiare. E a Firenze morì per cause imprecisate nel novembre dello stesso anno.
I Lorena stavano raccogliendo reperti per una nuova collezione naturalistica e così il corpo di Hansken fu acquistato dal Granduca per essere esposto agli Uffizi. Le cronache raccontano che la gigantesca carcassa fu issata su un carro trainato da otto paia di buoi e, secondo alcuni, portata a Boboli. Uno specialista olandese, lo storico Michiel Roscam Abbing, che lo sta studiando sostiene invece che fu portato lungo l’Arno a valle della città, presso l’odierno torrino di Santa Rosa dove si depositavano le carogne e i rifiuti della macellazione che non potevano essere usati per l’alimentazione, e mi sembra una soluzione più logica e probabile. Un’impresa enorme, comunque: fu preparato e ripulito tutto lo scheletro, mentre la spessa pelle venne conciata e montata su una sorta di manichino di legno. Entrambi i reperti furono esposti agli Uffizi. Nei vecchi cataloghi del museo si riporta che poi la pelle fu buttata, a circa metà ’800, perché troppo rovinata, probabilmente non era stata conciata nel modo migliore.
Nel 2013, quindi, poco dopo i lavori di restauro e di apertura al pubblico del Salone scheletri, è arrivata questa bellissima scoperta. Per un museo il possesso di un tipo è sempre una cosa molta importante. Ne abbiamo tantissimi: di insetti, di anfibi, di rettili, di uccelli e di altri mammiferi di piccole dimensioni, ma il tipo di un elefante è un bel fiore all’occhiello.
Come avere una Gioconda…
E a proposito di Gioconda: ci sarà una mostra su Rembrandt al Rembrandt Museum di Amsterdam, prevista dai primi di maggio al 25 luglio, e noi concederemo in prestito il cranio del nostro esemplare che sarà esposto insieme al disegno di Hansken dell’artista. Per poterlo esporre nel modo corretto c’era bisogno di definire esattamente il sostegno necessario. Non si può separare quel cranio, da secoli sostenuto dal telaio che sorregge lo scheletro, e poggiarlo a terra perché cambierebbero le forze gravitazionali e le ossa rischierebbero di deformarsi. C’era bisogno di realizzare un supporto adeguato per cui nei giorni scorsi (a metà dicembre n.d.r.), con le accortezze e le preoccupazioni del caso, abbiamo estratto il cranio, messo a nudo e scansionato in tre dimensioni il supporto interno e inviato i file in Olanda dove, questa struttura di sostegno verrà ricostruita, magari usando una stampante 3D.
Quando lo spedite?
Noi siamo pronti per la spedizione, insieme alla ditta che si occuperà del trasporto, ma occorrerà seguire l’evolversi dell’attuale pandemia.
In ogni caso, Hansken è ancora una volta al centro della scena.
Per mettere in risalto l’importanza del nostro reperto e per pubblicizzare la mostra olandese abbiamo fatto realizzare una copia esatta del cranio che metteremo in evidenza sullo scheletro quando il salone tornerà visitabile alla fine degli attuali lavori di ristrutturazione. Su un pannello racconteremo che il cranio originale è in esposizione ad Amsterdam accanto al disegno di Rembrandt.
Una volta tornato a casa l’originale, la copia sarà inviata nelle altre città dove farà tappa l’esposizione su Hansken e Rembrandt.
Alla Specola conservate qualche altro tipo che va menzionato?
Abbiamo molti altri tipi animali. Esemplari preziosi perché permettono di capire se realmente un nuovo esemplare appartiene a una nuova specie o se è uguale al tipo di quella già conosciuta.
In questo lavoro di classificazione delle specie la genetica oggi ci aiuta moltissimo. Possiamo prelevare un campione di tessuto, ad esempio, da un pipistrello (si tratta di specie sempre più rare e protette) e quello ci basta per capire di che specie si tratti. Possiamo allora rimandare via l’animale vivo e vegeto senza doverlo ‘smontare’ come si faceva una volta.
Come doveva fare all’epoca Linneo al quale però dobbiamo la base della conoscenza delle specie viventi. E solo quando c’è questa conoscenza si può lavorare sulla conservazione, prima non si può fare niente.