Abbiamo chiacchierato con Virginia Bianchi, fondatrice dell’omonima Virginia Bianchi Gallery, prima galleria d’arte digitale.
Il digitale, così amato, così odiato, di fatto occupa una grandissima parte della nostra vita, soprattutto in un momento storico come il medesimo che ci costringe a “frequentare” sempre più piattaforme online.
Cosa accade quando il digitale incontra l’arte? La storia ce lo insegna. Vediamo però come nel contemporaneo italico, giovani curatori, o meglio appassionati ricercatori si muovono in un ambito ancora tutto da scoprire e da costruire.
La Virginia Bianchi Gallery è la prima galleria d’arte digitale italiana. Ci racconti come è nata, la sua mission e come è fruibile dagli utenti?
VBG è una galleria, per ora fruibile solo digitalmente, nata a settembre 2020. Dopo svariati anni all’estero, sono tornata in Italia portando con me ciò che ho imparato vivendo il mondo dell’arte londinese: un’arte contemporanea fuori dagli schemi, innovativa e all’avanguardia, che non si vede molto spesso nel mondo culturale del nostro Paese.
La mission di VBG è quella di supportare artisti che lavorano con i new media, di più difficile commerciabilità e che per questo vengono difficilmente inclusi nel mondo dell’arte commerciale. In più, spero che VBG contribuisca a una lenta ma continua formazione e sensibilizzazione del pubblico e dei collezionisti a questo nuovo medium, specialmente qui in Italia, dove il digitale è ancora un mondo per la maggior parte inesplorato.
Per ora la galleria e le mostre sono fruibili solamente attraverso il sito della Galleria ma speriamo di riuscire ad organizzare qualche progetto dal vivo nel 2021.
Ci puoi raccontare l’ultimo progetto di Léa Porré terminato il 30 Dicembre e una piccola anticipazione sul prossimo con Christiane Peschek?
Dear One, la mostra di Léa Porré che abbiamo concluso qualche settimana fa, è una narrazione in tre atti basata sul concetto del Sacrificial King, una figura che Léa utilizza per reinterpretare l’esecuzione di Luigi XVI nel 1793.
Léa Porré è un’artista che lavora prevalentemente con il digitale: la sua pratica si concentra sempre su una ridefinizione della storia della Francia, suo Paese natale, attraverso un approfondito processo di ricerca storica che si distanzia, però, dagli studi tradizionali che analizzano la storia nella sua linearità. Attraverso connessioni tra elementi mitologici e spirituali appartenenti a diverse culture e periodi storici, Léa crea panorami digitali che vanno a sovvertire la nostra stessa conoscenza degli eventi, portando a una completa rilettura trans-storica del passato.
Dear One in particolare ci porta a riscoprire la figura di Luigi XVI come martire, come vittima sacrificale per l’inaugurazione di una nuova era per la storia della Francia, il tutto realizzato con immagini in cgi e gif dall’estetica pixelata alla Windows ’95.
Il 9 gennaio abbiamo inaugurato una presentazione digitale di alcuni lavori di Mattia Barbieri insieme a Superstudiolo, di Bergamo, che si concluderà il 23, mentre il 4 febbraio avrà inizio la personale di Christiane Peschek. Per adesso non posso ancora rivelare nulla, se non che sarà una mostra incentrata sul rapporto tra uomo e spiritualità nell’era digitale, estremamente coerente con la ricerca attuale di Christiane.
Come si svolge la tua ricerca in campo digital? Ti informi prevalentemente sui social? Fai indagini più classiche, ti confronti con altri curatori? Come conosci ed entri in contatto con gli artisti che selezioni?
Sì, faccio scouting per artisti (e curatori!) principalmente su Instagram: al momento è uno dei pochi mezzi che posso usare per entrare in contatto con artisti che non vivono in Italia. Sto portando avanti un attento lavoro di ricerca, sono estremamente curiosa di sapere dove si nascondano gli artisti italiani che lavorano con i new media; chissà se sono tutti scappati all’estero o se almeno qualcuno è rimasto qui in Italia!
In più, il mondo dell’arte digitale è estremamente ristretto e di nicchia, cosa che ovviamente ha lati negativi ma anche positivi: curatori, artisti, galleristi, ci si sostiene a vicenda. Ci si sente accomunati dalla stessa passione, dalla stessa missione e visione di un futuro dove l’arte digitale avrà sempre più importanza nel mondo dell’arte, e questo facilita il networking.
Come racconteresti l’arte digitale a qualcuno che ancora non apprezza o non conosce il campo di ricerca?
Questo è uno dei problemi principali con cui mi sto scontrando, specialmente in Italia: l’arte digitale è ancora un campo inesplorato dalla maggior parte del pubblico. Questo perché spesso risponde a un’estetica diversa da quella che ci si aspetterebbe, e richiede un’attenzione maggiore a causa dei contenuti complessi e non sempre immediati. Infine, l’arte digitale è inevitabilmente mediata da uno schermo, cosa che a quanto pare ne rende difficile il suo riconoscimento come medium artistico alla pari di altri.
Quello che dico sempre, però, è che il virtuale è un mondo di libertà sia artistica che curatoriale: non si hanno costrizioni di alcun genere. Su una pagina web si può dare sfogo alla propria fantasia e creare vere e proprie esperienze artistiche dove il pubblico è chiamato a interagire direttamente con le opere e con lo spazio espositivo.
In più, l’arte digitale è ciò che mette in connessione la nostra sensibilità con la tecnologia. Ad oggi, la tecnologia è parte integrante delle nostre vite e lo sarà sempre di più ogni anno che passa: l’arte digitale è la nostra occasione per approfondire e venire a termini con un mondo che in molti ancora non conoscono abbastanza.
Cosa pensi dell’attuale sistema dell’arte? E come vedi posizionata l’arte digitale all’interno di quest’ultimo?
Come molti altri, ho una relazione complicata con il sistema dell’arte e i suoi contrasti, ma credo che alla fin fine mi affascini più di quanto riesca ad ammettere altrimenti non avrei aperto una galleria! È un mondo estremamente complesso, dominato da contrasti e problematiche che diventano ancora più aspre quando si tratta di dover commercializzare un medium immateriale come il digitale: non si può fare altro che scendere a compromessi e mediare attraverso la vendita di opere fisiche. Credo che ci sia ancora moltissima strada da fare prima che opere digitali vengano vendute – o anche solo accettate - a fiere e case d’asta. Il primo passo è lavorare duramente e creare, tassello dopo tassello, un ‘sistema dell’arte digitale’ all’interno del quale supportare gli artisti, sperimentare e sensibilizzare sempre di più il pubblico ai new media.
Ci racconti come nasce il tuo interesse verso l’arte e la tua formazione?
Mi sono innamorata dell’arte attraverso l’arte digitale, cosa estremamente anormale, di solito il processo è inverso. Nel 2018 mi sono trasferita a Londra e ho frequentato l’MA in Cultural and Creative Industries al King’s College. Al tempo stesso, mi è stata data la possibilità di lavorare per otto mesi all’Annka Kultys Gallery, ad Hackney, una galleria d’arte specializzata in digitale. Lì è iniziato tutto: i primi giorni non capivo nulla di tutti quei video che avevo intorno, ma la convivenza forzata mi ha reso sempre più affascinata da questo nuovo mondo.
Secondo te, come la pandemia da Covid-19 ha cambiato e cambierà l’intero scenario culturale?
La pandemia ha sicuramente riportato il mondo dell’arte a una dimensione più locale: i galleristi hanno scoperto che le videochiamate sono uno strumento estremamente utile, e non è necessario essere costantemente in viaggio! In più, moltissime realtà hanno abbracciato, con più o meno successo, il digitale, nel tentativo di portare avanti il proprio programma di mostre: esempio magistrale è Koenig Gallery, che ha inaugurato da poco un’App dove si possono visitare le mostre fisiche della galleria come se si fosse all’interno di un videogioco. Per ultimo ma non per importanza, sono le collaborazioni locali tra gallerie: tanti esempi, tra cui “Platform: New York” e “Platform: London” di David Zwirner e, nel panorama italiano, “Gallery to Gallery”, un percorso guidato tra sei gallerie del centro di Bologna. Spero profondamente che questi cambiamenti siano penetrati abbastanza a fondo da non venire dimenticati una volta terminata la crisi Covid.
In un piccolo tweet dicci perché seguire la Virginia Bianchi Gallery.
Perché abbiamo grandi sogni e niente da perdere.