La mente non è in grado di tollerare il troppo. La stimolazione, per essere utile ed efficace all’apprendimento, non deve oltrepassare una certa soglia.
(Marcella Taricco, We don’t need no education, Mimesis, 2020)
Vi presento l’iperstimolazione.
Giornate piene, scadenze, attività programmate di ogni tipo. Non importa l’età, la cultura, il livello economico, l’iperstimolazione ingloba e soffoca la giornata, invade la persona, sin dalla più tenera età.
Un esempio per tutti: il neonato che dorme. Un tempo si faceva silenzio, “il sonno del bambino è sacro”, si diceva. Oggi no: perfino i flash colpiscono il neonato, non certo abituato alla luce, tantomeno a quella intensa.
Questa situazione ha invaso anche la scuola, che oggi si presenta come un luogo – che sia reale o virtuale poco importa – di stimolazione, di accavallamento continuo di contenuti, di sovrapposizioni di compiti e scadenze, di immagini, parole, stimoli sempre nuovi. E soprattutto in grandi quantità. Già, perché la scuola oggi non punta al ragionamento, all’approfondimento, all’esame analitico di fatti, alla sintesi successiva, all’elaborazione di un’idea autonoma.
Tutto questo, che renderebbe l’uomo attivo, consapevole e partecipe della propria vita, viene messo in scacco dalla quantità di dati da immagazzinare, da memorizzare, da scorrere rapidamente.
Oggi l’uomo viene programmato e plasmato alla passività, ad essere un contenitore di informazioni, un contenitore passivo, che non elabora, che non ragiona, che non pensa in maniera personale ed autonoma. Quindi, alla fine, un uomo che non protesta, che non è più capace di dire la sua, di contestare se non è d’accordo, di non accettare uno status quo che non condivide.
La scuola sembra seguire questo principio in maniera evidente. Il bambino o il ragazzo, essendo subissati dai dati, dalle informazioni in arrivo, non riescono ad elaborare una posizione autonoma, o perlomeno faticano molto a compiere un’operazione di elaborazione personale, di presa di distanza. Una posizione critica.
I libri di testo sono emblematici al riguardo: essi si presentano grandi, pesanti, con pagine lucide sulle quali è difficile scrivere, pieni di riquadri, di rimandi ad altri contenuti, presenti nel libro stesso o anche digitali, sovraffollati di caratteri, di colori in contrasto, carichi di informazioni aggiuntive, non necessarie, ripetitive, non pertinenti, di indicazioni operative, di inviti al fare, ad eseguire.
Che il mezzo sia cartaceo o digitale, poco importa: l’effetto è l’intasamento di dati che affollano la mente in crescita.
Il risultato? Le difficoltà nell’apprendimento in genere, soprattutto i cosiddetti Disturbi selettivi dell’apprendimento, i DSA, disturbi sempre più invasivi e in continua e inesorabile crescita.
La mia ipotesi, che sostengo puntualmente nel libro, con numerosi esempi concreti e visivamente immediati, è che i disturbi dell’apprendimento siano la conseguenza della situazione descritta.
L’attività di sintesi dei contenuti non viene fatta a priori, ma è lasciata in mano allo studente, che difficilmente è in grado di selezionare, scegliere, valutare, schematizzare, quindi alla fine imparare. Quello che manca è l’assunzione di responsabilità: sta alla scuola e alla didattica operare una selezione dei contenuti rilevanti da trasmettere, permettere un’elaborazione mentale, una riflessione personale. Ma per fare tutto questo occorre che si riduca l’attuale iperstimolazione.
Ci vuole responsabilità e coraggio per essere liberi soggetti autonomi. E se si è subissati dai dati, non si ha la forza di rialzarsi. Quindi occorre ridurre la stimolazione e lasciare spazio al pensiero critico.
Se questo non viene fatto… forza ragazzi, fatelo voi!