C'era ancora Obama e le Acli trentine volevano organizzare a Rovereto un dibattito sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e mi chiesero un intervento pro-TTIP; accettai. Credo infatti che la globalizzazione e i vari accordi continentali o d'area (o tentativi di) siano in ultima analisi più convenienti che sconvenienti.
Prima d'addentarmi sul tema faccio una premessa-esempio per comprendere come andrò a valutare anche il TTIP: la lotta alla miseria e alla fame si basò sulla constatazione (anni ‘70-‘80) che la Terra era in grado di sfamare 10 mld di persone: mezzo mld degli allora 4,5 mld però non aveva accesso al cibo. Il problema era quindi la distribuzione e non la produzione. La distribuzione necessitava della conservazione e, quindi, della plastica e della “catena del freddo” per il pesce. Ciò fu possibile negli anni '90 sino ad oggi. Il risultato è che abbiamo ridotto drasticamente gli affamati (piatto della bilancia di sinistra) ma nel contempo abbiamo riempito terra ed acqua di PVC (piatto della bilancia di destra). Probabilmente i due piatti della bilancia oggi si equivalgono (soprattutto se teniamo presente che il PVC entra nella catena alimentare) ma in prospettiva – prossimi 50 anni - quello di sinistra sarà più pesante perchè avremmo certamente scoperto come conservare i cibi con materiali ecocompatibili e a basso costo e a distribuirlo con minor dispendio di energia.
La buona notizia è che tra un paio di generazioni la popolazione mondiale inizierà finalmente a decrescere e sarà allora più facile raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile conciliando ambiente e riduzione della fame. L'attenzione all'ambiente non riguarderà solo l'Europa ma sarà una conditio sine qua non per lo sviluppo anche degli altri continenti.
Quindi, come da premessa-esempio per tentar di comprendere questi accordi servono alcune cose:
- una visione mondo e non statuale;
- interpretare non l'oggi ma il domani di medio lungo periodo;
- fare i conti con la realtà (+PVC – fame) e non con le ideologie o la desiderata;
- fare i conti con i fallimenti politici: abbiamo perso un secolo con gli idrocarburi invece di concentrarci su rinnovabili e biologico.
Svolgimento: del TTIP non se ne parla più ed è arenato non tanto per le proteste europee ma per la politica isolazionista di Trump. Tratto l'argomento in queste pagine in quanto a Washington c'è un nuovo inquilino – Biden e vi sono nuovi equilibri transnazionali e un suo predecessore (Obama) che lo obbligherà a riaprire il cassetto TTIP. L'accordo, infatti, abbatte in modo bilaterale tra USA ed Unione Europea dazi, dogane e barriere che, politicamente, sono state rafforzate da Donald Trump come accaduto per l'acciaio dell'Ilva. Il TTIP andrebbe quindi ad aumentare i rapporti commerciali atlantici con ricadute positive in termini di fatturato ed occupazione.
I contrari all'accordo hanno buone ragioni se la loro vision è statuale, tant'è che i sovranisti nostrani ne hanno fatto una bandiera, ma non è così se affrontano il tema come cittadini europei. L'Europa è una penisola terminale di Eurasia.
Ciò che più viene criticato del TTIP è la segretezza con cui la Commissione stava portando avanti gli accordi; il Parlamento Europeo veniva a conoscere gli step di accordo solo a posteriori. La “clausola di riservatezza” avviene in tutti i contratti anche nell'acquisto di casa propria.
La parte più controversa è certamente l'ISDS (Investor State Dispute Settlement). Le aziende potrebbero, qualora le legislazioni degli enti governativi (comune – regione - stato) del Paese dove investono, creare mancati guadagni, ricorre a tribunali terzi e non a quelli del Paese dove si è investito. L'Italia, per esempio, se condannata, potrebbe trovarsi nella condizione di risarcire l'azienda straniera. Questa lettura è coerente se ci mettiamo dalla parte del cittadino che chiede che venga salvaguardata la sua salute e l'ambiente in cui vive. Nel contempo, però, chiede anche lavoro e occupazione stabile. Entrambi, sia il cittadino italiano che le holding straniere chiedono allo Stato italiano una giustizia celere che non abbia tempi biblici. Se questa vi fosse e se il potere giudiziario, non solo in Italia, decidesse di essere riformato probabilmente si riuscirebbe a trovare un accordo che tuteli sia i cittadini che gli investitori senza ricorrere a tribunali terzi.
Quando si parla di TTIP vi è un'alzata di scudi a tutela dell'agroalimentare italiano. I nostri prodotti, infatti, sono l'eccellenza e non v'è paragone con l'agroalimentare a stelle e strisce. Però anche qui vanno ascoltate le associazioni di categoria come Confagricoltura. Le parole del suo presidente Guidi vanno poste esattamente nei piatti della nostra bilancia: “L'accordo USA-UE è un obiettivo da perseguire, ma non a qualsiasi costo”. Le trattative vanno riprese e nel cercare di abbattere il più possibile le barriere per favorire l'export cerchiamo di tutelare al massimo i nostri Doc e Dop da contraffazioni come peraltro avvenuto nell'intesa UE-Canada. La Ministra Bellanova nel favorire il CETA (accordo di libero scambio tra UE-Canada) ha indicato la via contro la contraffazione del “Made in Italy”.
Da queste poche righe emerge, forse, che il piatto della bilancia del “No al TTIP” prevale, ancor oggi, sul piatto del “sì”. Però la realtà ci dice che, indipendentemente dalle nostre contrattazioni o stalli, il mondo va avanti e a metà novembre 2020 è stato siglato il mega accordo in Asia: la Cina e altri 14 Paesi hanno firmato un'intesa che vale quasi un terzo del Pil mondiale. Parliamo del RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership). Bloomberg lo definisce il "più grande" accordo commerciale al mondo e il Financial Times usa l'intera storia come metro di paragone.
Quando a Rovereto dissi “sì al TTIP” accennai che dentro il nuovo accordo ci stanno quasi un terzo della popolazione mondiale (2,2 miliardi di persone a fronte delle 850 mln del TTIP) e una fetta altrettanto grande della ricchezza del globo (26mila e 200 miliardi di dollari). Ecco perchè Biden sarà costretto a riaprire quel cassetto chiuso ermeticamente da Trump.