All'appuntamento ci sono proprio tutti. Da quell'Otello, vigile motociclista inflessibile, al Prof. Dott. Guido Tersilli della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue. E anche Oreste, di cognome Jacovacci, romano de Roma ed eroe della Grande Guerra suo malgrado. Per non parlare del bulletto di Trastevere ma americano per passione, Nando Mericoni, alias Santi Bailor, che, dopo aver distrutto l'ennesimo piatto di “maccaroni”, si è presentato con la mitica Harley Davidson WLA 750 tirata a lucido. Sono tutti lì, in via Druso 45, a Roma, i campioni di un'italianità leggendaria, un po' sbruffoni e un po' vigliacchi, spesso esuberanti e sempre donnaioli. In quella casa, davanti alle terme di Caracalla, ci sono nati e cresciuti, insieme a tanti altri fratelli che l'Albertone nazionale sfornava continuamente, sdrammatizzando sullo schermo i nostri lati peggiori e nello stesso tempo assolvendoci da quei peccati, non sempre veniali. Eppure lui, Alberto Sordi, era un cattolico fervente e ogni mattina, prima di sfoderare davanti alla macchina da presa il suo consueto cinismo e mettere il dito nella piaga dei nostri difetti, si inginocchiava davanti all'immagine di una Madonna che custodiva in una piccola grotta nel giardino della sua abitazione. Piccoli misteri di un protagonista del Novecento, attore di professione, ma interprete per vocazione della commedia della vita.
Ora quella villa in mezzo al verde è diventata un museo e in questi mesi, in occasione del centenario della nascita di Sordi, ospita una mostra che ripercorre non solo la sua carriera artistica, dall'avanspettacolo alla regia cinematografica, ma ci racconta anche di lui, dei suoi gusti, del suo comportamento e del suo mondo fuori dagli schermi.
Quasi un evento perché Sordi, nonostante il faccione aperto e sorridente, è sempre stato geloso della sua dimensione privata e la porta di quella casa, dove ha abitato dal 1958 insieme alle due sorelle Aurelia e Savina, si apriva solo per gli amici e i più stretti collaboratori. Eppure proprio lui ha voluto ospitare finalmente tutti gli italiani, quasi fossero la sua famiglia, regalando loro questo ultimo ciack. Certo, non è il Colosseo, ma il pubblico sopporta le lunghe code e visita oggi quelle stanze con lo stesso rispetto e attenzione dovuti a un monumento storico.
Eccolo, dunque, Albertone nelle foto di famiglia con le amate sorelle, il fratello e i suoi amici a quattro zampe. Ecco i suoi numerosi premi, la cyclette e gli attrezzi per la ginnastica che usava volentieri nel tempo libero. Ecco anche il pianoforte che suonava lui stesso quando invitava gli amici. Perché al piano terra della villa, pagata 10 milioni di lire in contanti nel 1954, Sordi aveva “costruito” il suo teatro personale, con i soffitti di stucco che richiamano le pellicole cinematografiche, il fondale del palcoscenico dipinto dal pittore futurista Gino Severini, un proiettore e i camerini, tutto professionale, come poteva essere a Cinecittà o al teatro Argentina e al Brancaccio. Luogo di feste e serate, le luci del teatro personale dell'attore si spensero definitivamente nel 1972, quando morì l'amata sorella Savina. Perché Sordi era così, incline all'allegria, ma anche alla tristezza, come nei suoi film, che ci hanno fatto ridere e piangere, ci hanno divertito e commosso nello stesso tempo.
Camminando in quelle stanze, dal salotto alla camera da letto, arredate con gusto classico e un po' barocco, conosciamo anche l'anima del collezionista che covava sotto la cenere. “Se non avessi fatto l'attore sarei stato un antiquario”, ha ammesso lui stesso in varie occasioni. Anche se poi il sacro fuoco dell'esibizione prendeva di nuovo il sopravvento in altre parti della casa, tra cui il bagno, dove, in mezzo a luci da camerino, una vera e propria poltrona da barbiere si staglia davanti a uno specchio, simbolo kitsch di un'ironia sorridente che applicava a se stesso, oltre che agli altri.
Così, infatti, erano bonariamente beffardi i suoi personaggi, a cominciare da quel compagnuccio della parrocchietta, caricatura di un giovane dell'ambiente cattolico, boy scout assillante e furbo come una volpe, e il “confidente” Mario Pio (“Pronto, chi parla, qui parlo io”), precursore delle linee telefoniche “amiche”, confessionali laici, tanto in voga negli ultimi decenni del secolo scorso. Sono alcune delle voci dei protagonisti di programmi radiofonici che fecero entrare Sordi nelle case degli italiani subito dopo il conflitto mondiale. La mostra, prodotta da Cor, Creare Organizzare Realizzare, e voluta dalla Fondazione Museo Alberto Sordi, ce li ricorda tutti, insieme a quelli cinematografici, grazie a un viaggio che unisce immagini, filmati e parole impressi nella memoria di milioni di persone. I tre curatori, Alessandro Nicosia, Vincenzo Mollica e Gloria Satta ci accompagnano in quella singolare galleria di “caratteri” del nostro tempo attraverso gli esordi, i fiaschi e infine quel successo che dal 1954, con I Vitelloni, rese popolare l'attore romano, fino a trasformarlo in mito. Fu un giovane tenace, Sordi, ostinatamente fermo nella sua volontà di calcare i palcoscenici, nonostante le sonore bocciature e quell'accento romano che gli chiudeva molte strade. Ed è stato un professionista attento al mondo che cambiava, sollecito e zelante nel proporci pregi, e soprattutto difetti, dei suoi, come dei nostri giorni.
Così il critico Maurizio Porro: “Oggi non c'è un Alberto Sordi, non potrebbe esistere, non c'è più alcun attore che si prenda la responsabilità, in complicità coi registi, di rappresentare l'italiano medio nelle sue funzioni private di marito-scapolo-seduttore, oppure pubbliche di vigile-moralista-commissario-medico della mutua-tassinaro. Sordi è stato un grande protagonista del cinema perché la sua storia si fa cultura attraverso un rincorrersi di temi e valori, di ambiguità e amoralità, di grandi finzioni e piccole pietas...”.
Ma se l'uomo restò sempre fedele al cinema, la stessa cosa non successe con le donne. “Ad ogni uomo che nasce il destino assegna una donna; la felicità sta nel riuscire ad evitarla per tutta la vita”. Lui la pensava così, come questo detto anonimo riprodotto su una targa appesa nel suo studio. D'altronde, a chi gli chiedeva perché non si fosse mai sposato, lui rispondeva che non voleva mettersi un'estranea in casa e quando la fidanzata di turno provava ad “incastrarlo”, lei si trovava puntualmente di fronte ad un addio. L'unico legame duraturo, in gioventù, fu con Andreina Pagnani, 14 anni più grande lui. Ma nella sua vita ci sono stati miriadi di flirt e conquiste: attrici e attricette, cantanti e ballerine, annunciatrici e modelle. Non a caso amava le crociere, perché in nave si viaggia lentamente e c'è tempo e modo per incontri e amicizie. Insomma un cucador, oppure un mandrillo, per dirla all' italiana. “Tutta la vita con una donna sola? Io ne ho 20 e con le altre 19 che ci faccio? Venti, ma che dico? Trenta....”. Lo dice Sordi nel film Lo Scapolo, nei panni del seduttore incallito Paolo Anselmi, parte che sembrava calzargli a pennello. In realtà almeno in un'occasione avrebbe ammesso la sua passione per Silvana Mangano: “Nessuna donna mi ha attratto come lei”. Ma quell'amore fu platonico perché - ha raccontato lui - non avrebbe mai osato insidiare la moglie del suo amico e produttore Dino De Laurentis.
Comunque sicuramente fu innamorato di Roma, che definiva “un misterioso stato d'animo, un'atmosfera, una condizione sentimentale più che una città”. Non la tradì mai: “Ho girato tutto il mondo, ma non ho mai visto un posto più bello”. E sulle pagine de Il Messaggero seguiva gli avvenimenti di cronaca, non solo come lettore, ma anche come collaboratore, intervenendo nelle varie polemiche e combattendo la sua personale battaglia per trasformare in area pedonale l'intero centro storico. Chissà cosa penserebbe della Roma di adesso, più che mai sporca, disordinata e piena di auto. Chissà se alla sindaca Raggi ripeterebbe la frase riservata al cuoco di un ristorante che dopo una cena stile nouvelle cousine chiedeva a lui, amante di “maccaroni” e spaghetti al pomodoro, cosa ne pensava delle sue portate. “Ahò”, gli rispose, “n'avessi azzeccata una!”.