Ti sorprende per quel suo essere sdrucciola, cioè con l’accento tirato all’indietro, il più possibile indietro, appoggiato sulla terzultima sillaba. Ilare. Ilare. Ilare.
Imponiti di pronunciare la parola ad alta voce: ìlare. In quell’aggettivo breve come un soffio, con sole tre sillabe, la terzultima è anche la prima. Oltre non puoi retrocedere. Ilare condivide questa caratteristica con esile, che si pronuncia èsile e che significa ‘sottile’, ‘minuto’, ‘delicato’. E con umile, che si pronuncia ùmile e che è sinonimo di ‘semplice’, ‘modesto’, ‘rispettoso’.
Ebbene, l’ilarità possiamo immaginarla così: un’emozione esile, snella e delicata, da custodire con cura, consapevoli della sua fragilità. E insieme un’emozione umile, di una semplicità disarmante, capace di sgorgare dal cuore, frutto una immensa serenità interiore.
Ilare, ovvero propizio
L’aggettivo ilare è un prestito latino: il suo antenato era hilaris ai tempi della Roma antica (sempre con l’accento sulla i). In greco antico un aggettivo parente stretto della parola latina era hilaròs, con l’accento sulla o finale, che voleva dire ‘lieto’, ‘gaio’, ‘allegro’.
Condividono la stessa radice del verbo greco hilaskomai, che significava ‘rendo propizio’, ‘rendo benevolo’, ‘cerco di placare’, ‘cerco di accattivarmi’, ‘rendo lieto’. Ebbene, è come se per essere ilari, ancora oggi, dovessimo chiamare in causa gli dei, cercando di placarli con i nostri sacrifici e le nostre suppliche. È come se la nostra allegria dipendesse dal volere altrui e fossimo costretti a ottenere il benestare dei cieli per poter ardire alla contentezza. È come se la volta celeste fosse la causa che genera le nostre risate, la nostra spensieratezza, la nostra gaiezza più intima.
La luce della serenità
In greco antico, un’altra parola che significava ilare era phaidròs, che come primo significato aveva ‘lucente’, ‘splendente’, ‘raggiante’. Nell’antichità Eschilo, autore di tragedie, vissuto tra il VI e il V secolo avanti Cristo, aveva usato questo aggettivo per definire il sole. Solo successivamente, per traslato, la parola in greco aveva assunto il significato di lieto, gaio e sereno. La serenità è infatti limpidezza, trasparenza, chiarezza. Per essere sereni, abbiamo bisogno della luce. Con la luce si moltiplica in noi la serenità e quindi riusciamo a essere più ilari.
Sorridente, quindi bello
Terzo modo di dire ilare in greco antico era pericharès, che voleva dire ‘pieno di gioia’, ‘contentissimo’, ‘oltremodo felice’. In questo aggettivo possiamo ritrovare la radice del verbo chairo, che significava ‘mi compiaccio’, ‘godo’, ‘sono felice’. È la stessa radice di charis, che vuol dire allo stesso tempo grazia e bellezza, incanto e leggiadria ma che porta con le tracce della gioia e della letizia. Da questa prospettiva, l’ilarità è una manifestazione lieve del fascino. È il simbolo della bellezza che porti dentro e che ti rende felice. Chi è ilare è di buon umore ma è come se divenisse di bell’umore. In questo, la parola che ormai abbiamo cominciato a trattare da amica (e che amica ci è per davvero) conferma uno dei principi della classicità secondo cui ciò che è buono è anche bello. Quando sorridi, piaci. Quando sorridi, sei bella (e bello).
Tra i tanti significati di ilare in italiano abbiamo proprio quello di piacevole alla vista. Un oggetto può essere ilare quando è bello o leggiadro. Un colore lo puoi definire ilare quando è vivace o brillante. Un paesaggio è ilare quando appare ameno e ridente. Quando è divertente, uno spettacolo diventa ilare. Il cielo è ilare quando è sereno. E una stagione mite può essere definita ilare. Così, consultando i dizionari e le fonti letterarie, scopriamo le diverse accezioni di questo aggettivo.
Quando le anche diventano ilari
Giuseppe Ungaretti, nella poesia Silenzio in Liguria, contenuta nella raccolta Sentimento del tempo (1933), definisce ilari le anche di una donna, prima di regalarci una delle più belle definizioni dell’amore: quiete accesa.
Scade flessuosa la pianura d’acqua.
Nelle tue urne il sole
ancora segreto si bagna.
Una carnagione lieve trascorre.
Ed ella apre improvvisa ai seni
la grande mitezza degli occhi.
L’ombra sommersa delle rocce muore.
Dolce sbocciata dalle anche ilari,
il vero amore è una quiete accesa,
e la godo diffusa
dall’ala alabastrina
d’una mattina immobile.
Ebbene l’ilarità è anche questo, divertimento, spensieratezza, allegria e capacità di inciampare su un dettaglio, illuminarlo di luce, trasformarlo con la potenza della bellezza e renderlo immortale perché memorabile.