Aprile 2020, Perth. Australia Occidentale. Gli scienziati del Western Australian Museum1 stanno esplorando le profondità marine al largo di Ningaloo a bordo della nave da ricerca Falkor dello Schmidt Ocean Institute2, un ente filantropico senza scopo di lucro istituito da Eric e Wendy Schmidt nel 2009. Falkor, l'unica nave di ricerca filantropica marittima attiva al mondo per tutto l'anno, che trae il suo nome dal Drago della Fortuna presente nella versione cinematografica de La storia infinita di Michael Ende, è dotata di un sistema robotico sottomarino all'avanguardia, ROV SuBastian che spingendosi fino a 4.500 metri di profondità viene utilizzato per esplorare visivamente e raccogliere campioni da aree marine mai sondate prima da poter poi mettere gratuitamente a disposizione della comunità scientifica internazionale e di un pubblico più esteso.
Ed è proprio nel corso di tali esplorazioni che gli scienziati hanno scoperto trenta nuove specie marine e hanno avvistato sulla via del ritorno, a circa 630 metri sotto la superficie, una eccezionale creatura: uno sifonoforo gigante le cui dimensioni sono paragonabili ad un palazzo di undici piani, ove l’anello esterno ha un diametro di 15 metri e la lunghezza complessiva dovrebbe aggirarsi attorno ai 47 metri. I sifonofori sono un ordine di idrozoi, invertebrati marini appartenenti al phylum degli Cnidaria. Vivono in colonie, comunemente lunghe fino ad un massimo di un metro - la specie più nota è la Physalia physalis, nota anche come “caravella portoghese”, lunga circa 20 centimetri - e quando un membro della colonia cattura una preda, condivide con tutto il resto della colonia i nutrimenti che ne trae. Questo aspetto è interessante poiché invece di crescere come un singolo corpo, come praticamente ogni altro animale, piccoli sifonofori individuali si clonano migliaia di volte in diversi tipi di corpi specializzati, tutti uniti per lavorare in gruppo, come afferma Stefan Siebert – biologo marino della Brown University. “L'intero aspetto sembra un animale, ma sono molte migliaia di individui che formano un'entità ad un livello superiore”. Inoltre, pur non potendone stimare con certezza l’età, poiché la vita nelle profondità marine cresce molto lentamente vista la temperatura che è di solo qualche grado sopra lo zero, questa creatura potrebbe anche avere decine, o magari centinaia, di anni.
Per noi ricercatori della scienza della complessità, quali riflessioni può stimolare questo tipo di evento? Nel momento in cui il termine “complesso” nella sua profondità etimologica – dal participio passato del verbo latino complector – ci invita ad un “intrecciare”, “abbracciare”, “comprendere”, “tenere assieme”, come questo evento potrebbe sincronicamente aiutarci a riflettere sulla crisi attuale che stiamo vivendo?
Innanzitutto è interessante osservare, prendendo come riferimento la Physalia, che viene spesso confusa con una medusa, quando in realtà si tratta di una colonia costituita da diversi tipi di polipi, denominati idrozoi, reciprocamente dipendenti per la sopravvivenza e contenuti in una sorta di sacca galleggiante. Ogni idrozoo ha un proprio compito: i dattilozoidi che formano tentacoli lunghi fino a 50 metri sono incaricati di ricercare e catturare il cibo, i gastrozoidi di metabolizzarlo e i gonozoidi si devono occupare della riproduzione. Ogni mansione viene eseguita da un certo numero di idrozoi e il successo di ciascuno dipende dalla buona riuscita delle attività svolte da tutti gli altri. La Physalia non reagisce all’attività del singolo idrozoo ma alle situazioni che riguardano tutto o la maggior parte del sistema, come la cattura di un pesce per cibarsi o l’interazione con il vento per spostarsi. Il coordinamento di ogni entità del sistema consente alla Physalia di agire come un unico organismo anziché come una colonia frammentata di idrozoi.
In secondo luogo, tale evento si svolge nelle acque oceaniche. Come ben sappiamo, Diego Frigoli – fondatore e ideatore del pensiero ecobiopsicologico – spesso ci ricorda il tema del mare quale “culla della vita” che ha la stessa composizione del plasma sanguigno e quest’ultimo, come parte liquida del sangue, rimanda al concetto di emozione (emo-agere = agire sul sangue), osservando come, nella dimensione psicoanalitica, nei momenti di maggior crisi di emotività irrisolta, compaiono nella psiche immagini oniriche relative al mare e all’acqua che nella loro manifestazione più o meno trasparente è fonte di forti emozioni per il sognatore. La nostra coscienza non sa che le specie viventi cominciarono ad esplorare la terra ferma a partire dal mare, ma il nostro “corpo” ricorda molto bene le emozioni filogenetiche di questa esperienza ancestrale di cambiamento e dunque, nei momenti di maggior tensione emotiva, l’inconscio propone alla coscienza in forma simbolica l’esigenza di un cambiamento psicologico, usando come linguaggio un’immagine plastica tratta dai ricordi ancestrali seppelliti nel corpo (Frigoli, 2016).
Inoltre, è interessante riportare i commenti della Dr.ssa Nerida Wilson della Western Australian Museum: “È stato come osservare ‘un UFO a spirale’ sospeso nell’acqua”, come a dire che lo stupore della scoperta australiana è stata sia la dimensione del predatore, la più lunga mai rilevata, quanto anche lo strano movimento a spirale registrato dagli scienziati. La spirale racchiude in sé il significato di dinamismo, di sviluppo ed espansione attraverso il suo movimento creativo centrifugo, dal suo centro alla manifestazione fisica verso l'esterno – così come di regressione e contrazione, se percorsa in senso inverso verso nella sua involuzione centripeta – richiamando il flusso del tempo con i suoi vari cicli di cambiamento. La spirale può essere intesa come espressione del processo di individuazione che C.G. Jung descrive come dispiegamento del nocciolo dell’essenza che sta al di là dell’Io individuale. Ne Il segreto del fiore d’oro egli parla di “superamento” ossia di un innalzamento del livello della coscienza che avviene quando nell’orizzonte del paziente compare un qualsiasi interesse più elevato e più ampio, il “problema insolubile” perde tutta la sua urgenza grazie a questo ampliamento di vedute, il problema non viene risolto in modo logico, non viene rimosso o reso inconscio, ma appare semplicemente sotto un’altra luce, diventando realmente diverso. Jung riconosceva nella spirale un simbolo di rivivificazione della vita, nonché del processo stesso di individuazione attraverso il quale la psiche umana riesce progressivamente a superare la barriera limitante l’egoicità, finendo per assurgere a una dimensione della vita non più ad impronta personale ma collettiva.
Sarebbe possibile “leggere” questa scoperta, chiaramente avvenuta su un piano reale, come espressione sottile di un possibile movimento spiralico a livello collettivo per andare oltre la crisi contingente? In questa difficile epoca che stiamo vivendo, sembra emergere la necessità di un cambiamento a livello globale, ove l’immagine del “mare” concorda con la nostra necessità emotiva di rinascita simbolica.
“Il nostro pianeta è profondamente interconnesso e ciò che accade nelle profondità oceaniche ha un impatto sulla vita terrestre - e viceversa. Questa ricerca è vitale per far progredire la nostra comprensione di tale connessione e proteggere questi fragili ecosistemi. I canyon di Ningaloo sono solo una delle tante meraviglie sottomarine che stiamo per scoprire che possono aiutarci a capire meglio il nostro pianeta", queste le parole di Wendy Schmidt, co-fondatore del Schmidt Ocean Institute che possiamo appoggiare e rinforzare ricordando la necessità per l’umanità di divenire sempre più consapevole del proprio senso di appartenenza ad una comunità di ordine più generale, quella costituita dalla Vita, nonché della potenziale capacità di formare reti caratterizzate da ruoli diversi con differente operatività, ma integrate da finalità comuni, che si connettono in un “network”, reale o virtuale, orientato a realizzare obiettivi di interesse comune, condividendo le risorse, le informazioni e le competenze necessarie senza alcun vincolo gerarchico di subordinazione.
Noi tutti siamo membri della “famiglia terrestre” costituita dall’ecologia e in quanto tali dovremmo comportarci come fanno gli altri membri di questa famiglia – piante, animali, microorganismi – che formano quella vasta rete di relazioni che indichiamo con l’espressione la “rete della vita”. Questa rete vivente globale si è dischiusa, evoluta e diversificata per miliardi di anni senza mai rompersi. Come membri della comunità globale degli esseri viventi, è necessario che anche l’uomo si comporti in modo tale da non interferire con il significato essenziale dettato dalla sostenibilità ecologica. Dato che la vita umana comprende la dimensione biologica, cognitiva e quella sociale, i diritti umani dovrebbero declinarsi rispettando tutte e tre queste dimensioni. La dimensione biologica include il diritto a un ambiente sano e alimenti sicuri, il diritto umano nella sfera della dimensione cognitiva comprende il diritto di accedere all’istruzione e alla conoscenza, nonché alla libertà di opinione ed espressione, mentre per quanto riguarda la dimensione sociale, seguendo le parole del primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” andando a sancire il diritto fondamentale alla libertà e sicurezza personale.
La ricerca attuale di una cultura moderna che sia sempre più rispettosa delle relazioni con la rete della vita comporta una inevitabile trasformazione della realtà sociale che deve essere sempre più in grado di accedere consapevolmente agli aspetti archetipici che costituiscono i fondamenti del fenomeno “vita”. Questa consapevolezza implica che la vita non venga considerata soltanto nella sua visione concreta e sistemica di analisi delle relazioni che vincolano fra loro i processi specifici e la struttura stessa dei fenomeni sociali e naturali che ne costituiscono la base, ma anche dalla possibilità di intuire le origini stesse della creatività archetipica insita nel fenomeno della vita.
Questo approccio comporta la ricerca di quella spiritualità che è comune a tutti gli esseri viventi, che li alimenta e li mantiene in vita. In altre parole, per realizzare questo risveglio della mente globale si tratta di determinare un nuovo orientamento della coscienza per poter permettere il passaggio dell’umanità intera verso una società a più alta sinergia tale da condividere con il resto del mondo vivente, non soltanto le molecole della vita, ma anche i concetti e le metafore che si incarnano nel nostro corpo e nel nostro cervello. Questa nozione di spiritualità dettata dalla conoscenza della rete globale della vita può avvenire in parallelo allo sviluppo della nozione di una mente incarnata nel corpo come l’ambito delle scienze cognitive e psicologiche oggi sostengono.
In questa prospettiva, l’ecobiopsicologia, quale disciplina che si inserisce nel panorama delle scienze della complessità, nel mettere in relazione oikos, la dimora ambientale dell’uomo, bios, la storia biologica del corpo dell’uomo e psiché, la dimensione più vasta della mente umana sino al suo massimo sviluppo dettato dall’autocoscienza, rappresenta la nuova prospettiva spirituale, individuale e collettiva di relazione dell’uomo con il Tutto. Potrebbe diventare il moderno paradigma scientifico per recuperare la totalità della coscienza umana, grazie ad un uomo non più estraneo alla conoscenza delle regole della Natura e delle sue funzioni, arrivando a comprendere la crisi attuale nella sua “complessità” secondo una logica descrittiva non più “lineare” ma “circolare” capace di integrare la conoscenza razionale con il valore irrazionale dell’empatia ed una fondata consapevolezza dell’essenziale interazione ed interdipendenza di tutti i fenomeni: fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali.
Note
1 [Western Australian Museum] è la principale organizzazione culturale dello Stato, che ospita la collezione scientifica e culturale del Western Australian. Per oltre 120 anni il Museo ha reso accessibile il patrimonio naturale e sociale dello Stato attraverso ricerche, mostre e programmi pubblici.
2 Schmidt Ocean Institute istituito nel 2009 da Eric e Wendy Schmidt per promuovere la ricerca oceanografica attraverso lo sviluppo di tecnologie innovative, la condivisione aperta di informazioni e un'ampia comunicazione sulla salute degli oceani.
Bibliografia
Capra F., Luisi P. L. (2014). Vita e Natura. Una visione sistemica. Sansepolcro: Aboca.
Biedermann H., (1991). Enciclopedia dei simboli. Milano: Garzanti.
Frigoli D. (2016). Il linguaggio dell’anima. Fondamenti di Ecobiopsicologia. Roma: Edizioni Magi.
Jung C.G., Wilhelm R., (2011) Il segreto del fiore d’oro. Torino: Bollati Boringhieri.
Schmidt Ocean Institute. (2020). New Species Discovered During Exploration of Abyssal Deep-Sea Canyons off Ningaloo.