Abbiamo chiacchierato con Nicolò Masiero Sgrinzatto - giovane artista ora in mostra con una personale alla Galleria Ramo di Como, un’esposizione che coinvolge i sensi e che come titolo ha scelto una parola di origine dialettale. Sospesi così tra tradizione e un futuro tutto da scoprire.
“Questa mostra è come una sagra”: così recita parte del testo di Federica Mutti curatrice della tua personale Tórbio alla Galleria Ramo di Como. Questo sunto introduce ad una dimensione sinestetica dell’esperienza che avrà il visitatore. Tórbio è una mostra da vedere e ascoltare? Toccare? Ci racconti come nasce, di cosa si tratta e la scelta del nome dialettale di “torbido”?
Tórbio nasce in riferimento al contesto delle sagre e delle feste popolari, manifestazioni che sono fucine dei più disparati stimoli visivo-uditivi e teatro di performance uniche. L’ambiente ‘sagresco’ è per antonomasia un luogo inquieto, polveroso, imprevedibile e dinamico, in contrasto alla sua suddivisone e organizzazione parcellizzata e paratattica. Musica liscio e omonimo ballo collidono con tech-house di dubbio gusto e edonistiche performance di alcuni dei presenti, il rumore frenetico di un generatore di corrente si coagula con gli sbuffi ritmati provenienti dall’impianto tecnico-meccanico delle giostre. Per i palati fini, la polvere si mescola con fritti e mandorle pralinate. Sono dei mash-up tanto rozzi e balordi quanto sofisticati.
Affascinato da questo mondo ho tentato di raccogliere, digerire, ri-orientare e rigettare nuovamente questi stimoli. Avendo esperito (ed esperendo) per la maggior parte sagre nell’area della bassa padovana, pescare dal vocabolario locale è stato istintivo e naturale.
Da artista come valuti i tuoi anni da studente? Quanto è importante la formazione per un percorso di studio artistico?
È indubbiamente importante ma, a mio parere, non determinante. Trovo decisivo un bagaglio extra-accademico di esperienze, fallimenti, privilegi e circostanze varie. Facendo uno slalom tra pregi e difetti, valuto positivamente il periodo studentesco, nonostante abbia passato quegli anni un po’ in sordina, soprattutto a livello di produzione. Ho preferito immedesimarmi nella figura della spugna, cercando di assorbire il più possibile senza pedanti distinguo, limitandomi a stendere delle bozze. Da qualche anno ho iniziato a strizzarmi, spremermi e mescolarmi.
Hai dei riferimenti per la tua pratica artistica? Artisti che stimi? Che ti hanno in qualche modo influenzato?
Certamente! Alberto Grifi per l’uso di mezzi poveri o tecniche a basso costo come possibilità per rovesciare gerarchie sociali, visive, di linguaggio o di settore. Interno3 per la malia dell’errore e dell’imprevisto. Reazioni, equilibri precari, mobilità e incertezze nei lavori e nelle macchine di Gilberto Zorio. Riccardo Balli per la ricerca capillare, il saccheggio ed i caleidoscopici remix sonico-letterari. Namsal Siedlecki per studio e sperimentazione sulla materia ed i suoi passaggi di stato. Lawrence Carroll... non buttava via nemmeno la polvere!
Cosa pensi del cosiddetto sistema dell’arte?
Credo di non possedere ancora l’esperienza necessaria per un giudizio completo su sistema e statuto dell’arte. Tuttavia penso occorra una presa di posizione nei confronti dell’ingranaggio del consenso estetico e dell’obbedienza creativa. Sottrarsi dall’appiattimento imposto dallo smaniante pensiero e dalla pratica del tutto subito - tutto ora, attivando un processo di defaticamento artistico per maturare la propria ricerca, ribaltando così la tendenza a semplificare, livellare e polarizzare il gradimento estetico.
Come hai trascorso i mesi di lockdown? Quanto ha influenzato la tua produzione l’attuale pandemia globale e come pensi sia cambiata o cambierà la fruizione dell’arte?
Durante il lockdown sono tornato in campagna dai miei genitori. Barcamenandomi tra smart working e lavoro in sede presso il laboratorio di effetti speciali per il cinema con cui collaboro, ho avuto comunque più tempo a disposizione per allestire lo studio dove tutt’ora opero e dedicarmi ai materiali con maggiore attenzione. Non vorrei risultare aprioristico e riduttivo, ma nel periodo di confinamento c’è stata una massiccia produzione marcatamente bulimica di contenuti digitali e comunicazioni virtuali: nel post-pandemia non credo che questo sostituirà la sensazione più asettica e fisica di fruizione dell’arte. La preoccupazione maggiore è il rafforzamento del colosso e l’annullamento del piccolo, del periferico.
Se dovessi raccontare a qualcuno che non ti conosce la tua poetica? Dove si sta spostando la tua ricerca?
Sono attratto in maniera quasi rapace dalla riproduzione compulsiva di strutture, forme e azioni scarne e concise. Replicate e centrifugate fino a diventare spasmodiche, storte, dissimmetriche, nauseanti, disturbate, annaspanti. Ho un particolare trasporto per l’ambiente provinciale e le tipiche “spacconate” adolescenziali praticate in questo contesto. Attualmente la mia ricerca è salda su ripetizione e prestazione, sto tentando di catalizzare e dare energia a nuove ipotesi formali.
Un tweet di spoiler per definire la mostra Tórbio a chi la visiterà prossimamente?
Enigmatica tweettata marinettiano-situazionista : fffffffFFFFFUUUUUUUU ST EEEEEH “I WANT” STACK FUUUUUUUUUU STOCKUUHE BOING BOING BOING “GO”. Infine ringrazio nuovamente Simon David e Benedetta de Rosa di Galleria Ramo, Federica Mutti (a breve uscirà I Sorvolati, il suo primo libro) e tutti gli interessati che sono passati, passeranno e non passeranno a visitare Tòrbio!