Il Sulcis iglesiente, area Sud-Ovest della Sardegna oggi festeggia per l’accordo trovato tra Sider Alloys e Enel, una intesa che presume che Enel riconosca a Sider Alloys un contratto di fornitura energetica di 5 anni più altri 5 ad un prezzo definito competitivo dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Questo passo in avanti consentirà al gruppo italo-svizzero di definire prima possibile il piano industriale dello stabilimento di Portovesme e di sbloccare 150 milioni di investimento: risorse da impiegare per la ristrutturazione e riattivazione degli impianti. Di questi soldi, 7,8 milioni sono a fondo perduto stanziati dalla Regione, 84 finanziati con un tasso agevolato, 20 messi a disposizione dall'Alcoa e il resto in capo al nuovo proprietario.
Il MISE si è impegnato a convocare al più presto il tavolo sulla vertenza per definire i prossimi obiettivi industriali per garantire la ripartenza. La condizione essenziale per avviare i lavori di ristrutturazione, il cosiddetto revamping, e rimettere in marcia lo stabilimento che sino alla fermata produceva 155mila tonnellate di alluminio primario e aveva un fatturato di circa 580 milioni di euro l'anno assicurando occupazione a 600 dipendenti diretti e altrettanti tra appalti e indotto.
E così se l’intesa è effettiva la grande fabbrica del Sulcis può ripartire e gli operai potranno essere riassorbiti dopo 10 anni di battaglie e la cassa integrazione dal 2014 (non voglio toccare il tasto della cassa integrazione di oltre 1000 euro per una vasta fetta di abitanti di questi paesi che dopo pochi anni di lavoro si è vista assicurare un sussidio per quasi 10 anni! W l’Italia). Comunque, la notizia sembra far tirare un bel sospiro di sollievo ai tanti abitanti delle cittadine adiacenti da Carbonia a Portoscuso a Iglesias.
Io che non sono sarda e vedo in questo territorio solo la bellezza della natura e del mare penso che sia davvero uno scempio quello che pensano di fare: riaprire le industrie siderurgiche difronte al mare. Sì perché le fabbriche siderurgiche – vedi Taranto e vedi Gela- vengono costruite in luoghi bellissimi davanti al mare per favorire così il trasporto marittimo.
Io non posso credere che il Governo nel 2020 non si accorga che il futuro della Sardegna è nel turismo e non nell’industria, e che le linee guida della sostenibilità mondiale vanno verso una produzione energetica differente ricavata dal vento e dal sole che qui abbondano.
Quando negli anni ‘70 Alcoa ha messo radici qui nell’isola ha sicuramente dato possibilità di crescita economica e anche di sviluppo sociale a questa gente che ancora viveva di pastorizia e pesca… ma a quale prezzo? Un’intera costa distrutta e con essa una totale modifica dell’ecosistema marino della zona… per dare spazio a un ecomostro immenso che chiaramente è visibile da tutta l’area turistica circostante, anche da splendide zone turistiche come l’Isola di San Pietro (divenuta famosa per la serie televisiva).
Io posso capire che i politici degli anni ‘70 abbiano svenduto le terre più belle del nostro Paese a grandi gruppi americani, ma erano in fondo come bambini inconsapevoli della tragedia ecologica che stavano causando e affamati di benessere economico… ma oggi come possono ancora sbagliare? Purtroppo, i cittadini, allo stremo del bisogno economico ma anche sociale (di affermazione del diritto al lavoro), cedono al compromesso di vivere di alluminio e non di mare. Non lottano per il loro diritto alla bellezza perché devono poter lavorare e nessuno gli offre le alternative e i mezzi per vivere del proprio territorio.
Io sono arrivata nel Sulcis la prima volta 20 anni fa e tutte le ciminiere di Portovesme erano attive… per me in arrivo da Milano, città super inquinata, uno shock. Ma perché mai costruire una fabbrica laddove c’era una spiaggia bianca? E la puzza di soda caustica che obbligava a chiudere le finestre… inconcepibile ma reale.
Ho voluto subito capire meglio chi fosse questa Alcoa che veniva tanto apprezzata perché aveva portato il lavoro a molti locali ma soprattutto direi benessere alla manciata di dirigenti che arrivavano dal “Continente” e che qui si sono acquistati le più belle ville davanti al mare… e oggi vengono a villeggiare!
Vi presento l’Alcoa: Aluminum Company of America, un'azienda statunitense terza nel mondo come produttrice di alluminio che dalla sua sede operativa di Pittsburgh, in Pennsylvania, gestisce operazioni in 44 Paesi. In Italia opera da Milano dal 1967 e nel 1996 ha acquisito la società a partecipazione statale Alumix che mantenendo la sede direzionale a Milano, colloca un'unità produttiva di prodotti laminati a Fusina (Ve) e una di alluminio primario a Portovesme nel Sulcis. Dopo anni di attività la fase di chiusura si attiva nel corso della prima metà del 2012, nel contesto di un piano di ristrutturazione globale dell'azienda.
Il 25 agosto 2014 la società americana comunica la chiusura della fonderia di alluminio primario di Portovesme che viene ceduta a SiderAlloys nel 2018. Da allora il gruppo svizzero è sotto i riflettori per la scelta di demolire e bonificare o di riaprire dopo alcuni accorgimenti normativi.
La trattativa lunga con il Governo centrale e la richiesta incalzante da parte degli operai in cassa integrazione che da anni richiedono il reintegro, ha portato alla scelta che oggi 21 luglio arriva su tutti i giornali nazionali e regionali, dell’accordo siglato che permetterà di riaprire le industrie.
Ma voglio raccontarvi in breve cosa è il Sulcis…
Il Sulcis Iglesiente vanta la storia millenaria di un territorio nato e sviluppato attorno alle miniere. L’uomo arriva in questo territorio attorno al 6.000 a.C., in epoca prenuragica. Nel Neolitico antico l’uomo scopre nella terra vulcanica del Monte Arci una pietra preziosa, l’ossidiana, che viene utilizzata nella caccia e per questo diventa preziosa per l’uomo. Talmente preziosa da diventare la pietra di scambio tra i Sardi e i mitici Shardana, prima ancora che con i Fenici.
Sono i Fenici a rendere l’isola un punto di estrazione per i ricchi minerali che così abbondanti si trovano: piombo, argento e rame sono reperibili nei pressi di Monte Sirai, vicino all’odierna Carbonia.
Dopo la sconfitta e la distruzione di Cartagine seguirono i Romani: anche loro furono subito attratti dalla disponibilità nelle miniere sarde di tante ricchezze. Fu così che fondarono il primo impianto minerario dell’Iglesiente. I romani eseguivano l’estrazione mineraria utilizzando schiavi o malfattori che venivano mandati nell’isola e costretti ai lavori forzati fino alla morte. Tra i condannati ai lavori forzati vi fu anche papa Ponziano che proprio in Sardegna morì nel 235 d.C. stremato e malnutrito.
Dopo la caduta dell’Impero Romano l’attività mineraria venne tralasciata finché sopraggiunse l’occupazione pisana: il Conte Ugolino della Gherardesca qui fondò Villa di Chiesa – oggi Iglesias – cingendola di mura e rilanciando le attività estrattive argentifere. A seguire la dominazione spagnola e poi i Savoia che danno nuovo rilancio all’attività estrattiva.
Arriviamo al diciannovesimo secolo: la legge mineraria del 1848, già vigente in Piemonte, permette allo Stato di dare in concessione lo sfruttamento del sottosuolo, provocando un consistente progresso dello sviluppo industriale delle miniere. Così nella seconda metà dell’Ottocento si moltiplicano i permessi di ricerca e di estrazione, si creò una maestranza numerosa e competente, si perfezionarono gli impianti e l’attrezzatura con i più moderni dettami della tecnica.
Nasce nel 1850 la Società di Monteponi, creata da imprenditori genovesi intenzionati ad investire nell’attività estrattiva. La società ottenne dal demanio dello Stato la gestione delle miniere di Monteponi per oltre cento anni, fino al 1961.
Durante il Fascismo le miniere ricevettero un nuovo, notevolissimo impulso: grandi lavori vennero promossi per lo sfruttamento del carbone del Sulcis, dove l’8 dicembre 1938 Mussolini inaugurò Carbonia, la città del carbone. A Carbonia tutto parla di ventennio fascista, l’architettura razionalista è dominante.
Dopo lo splendore di quegli anni inizia un declino causato prima di tutto dalla concorrenza del mercato mondiale. In particolare l’attività di estrazione diminuisce:
- a causa del crollo dei prezzi del piombo e dello zinco sul mercato internazionale;
- per il progressivo impoverimento dei giacimenti;
- per il forte indebitamento e la mancanza di fondi.
Queste cause determinarono la cessazione di ogni attività mineraria. Resta attiva solo la Carbosulcis, ma nel 2014 la Comunità Europea invita la Regione Autonoma della Sardegna ad un piano di chiusura definitivo, che prevede la fine delle attività produttive entro il 2018 e, contestualmente alle attività di messa in sicurezza e ripristino ambientale da ultimarsi entro il 2027, una serie di attività di ricerca e sperimentazione finalizzate alla riconversione industriale dell’azienda. Oggi l’area mineraria del Sulcis Iglesiente è tappa di turisti che possono godere di visite guidate alle miniere.
Di fatto è stata posta la parola fine ad una tradizione millenaria che ha sfamato tante famiglie, fatto sorgere nuovi quartieri e nuove città, dotandole di servizi essenziali come ospedali, asili, scuole e stazioni ferroviarie. Una gloriosa storia che depone grande rispetto sul sudore, le lacrime e i sacrifici di un esercito di minatori, troppo spesso vessati e oppressi, disposti a mettere a rischio la propria vita per un salario minimo. Una storia che racconta la disperazione dei minatori, il timore di non riuscire a tornare a casa e la preoccupazione delle madri, delle mogli e dei figli che fremevano in attesa del suono di quella sirena che annunciava la fine del turno e il rientro a casa dei propri cari.
Al giorno d’oggi, alcuni di questi siti minerari sono stati riqualificati e rappresentano mete ambite dai turisti. Parliamo di Porto Flavia, porto d’imbarco del materiale estratto nell’area mineraria di Masua, o della Galleria Henry, sita nell’altopiano di Planu Sartu (Buggerru), che consentiva il trasporto dei minerali per mezzo di una rotaia dai cantieri sotterranei alle distanti laverie. Un territorio da visitare unico al mondo, dove nell’acqua cristallina delle coste del Sud Sardegna si specchiano le maestose infrastrutture, reale testimonianza del grande popolo dei minatori.
(Fabrizio Arba, Le miniere nel Sulcis Iglesiente: una storia millenaria)
Vi invito a leggere il capolavoro di Guido Piovene, Viaggio in Italia, dove la descrizione del popolo sardo è davvero attenta. Un popolo di pastori che solo in età moderna ha iniziato ad apprezzare il mare. I primi a scoprirlo in realtà sono stati gli stranieri - inglesi, spagnoli, arabi - quando ancora la popolazione sarda si dedicava solo alla pastorizia e alle miniere. Tutto di loro porta alla terra, dalle tradizioni folkloristiche all’enogastronomia tipicamente di terra.
Forse è questo il motivo inconscio che guida questa gente a desiderare così tanto di produrre alluminio e di vedere arrivare grandi navi cargo nel porto di Portovesme… perché sta nella loro natura.
Il duro contatto con la pietra, il caldo della roccia e il sudore sono ciò che li ha fatti vivere per millenni. Forse al cuore non si comanda.