Diario di bordo. Anno zero. Giorno quattro.
L’audience, come molti sanno, è un calcolo statistico sul numero di spettatori che seguono un determinato programma. La rilevazione dell’audience è fondamentale per i media, in quanto, senza conoscere le dimensioni e la composizione dell’audience, la grande industria e i media sarebbero destinati a fallire. Le modalità di appartenenza dipendono da condizione sociale e culturale, il grado di accesso al medium stesso, l’esperienza passata, il gusto, preferenza e interesse personale.
Audience tutti sanno che è un termine inglese con radice latina, audientia, ma non tutti sanno che prende anche il significato di obbedienza. Da non confondere con audentia, insomma.
Esso può essere fatto in modo assoluto, oppure in modo relativo. I due miliardi di spettatori di Kate & William sono stati calcolati in modo assoluto. La modalità relativa, a mio avviso, più interessante da capire, del calcolo dell’audience è lo share, e cioè il preciso rapporto tra chi è spettatore e chi segue un determinato programma. Quello che mi ha sempre incuriosito è che fa audience, e quindi offerta nel mercato produttivo mondiale, è, chiaramente anche lo spettatore che detesta un programma. Chi ha espresso esecrazione per quello o l’altro personaggio, ne è fatalmente interessato. Dall’interesse, anche negativo, alla condivisione il passo è breve.
A me non la si racconta facilmente! Se l’audience inizia con la A.
Dalla pratica ai videogiochi e ritorno. Che algoritmi, o progressione geometrica siano l’amplificazione di cronaca nerissima, tragiche sorti della propria specie, super incredibili delitti efferati?
Mi colpì molto l’affermazione di un mio collega, laureato in Scienze della Comunicazione con i massimi voti che, alla mia constatazione sul fatto che un certo personaggio televisivo aveva tanto seguito quanto detrattori, rispose che questo era il massimo risultato in termini di comunicazione che si possa ottenere, un optimum, insomma.
A me gli occhi! Gridava l’uomo avvolto in una spirale di rame e sale sul palcoscenico vestito con un frac.
Quell’uomo, si dice per prudenza, possiede un incredibile magnetismo.
Oggi, per fortuna, la gente è dotata di buon senso, di un sano senso di convenienza che aiuta a destreggiarsi tra scelte, azioni, tutto ciò che occorre per agire in modo scientifico nell’era moderna. L’uomo in frac sega donne in due, si fa chiudere nel baule per poi uscirne in modo incredibile, si immerge nell’acqua, per uscirne bello asciutto, solleva bolle di sapone grandissime, che non esplodono. L’uomo in frac riempie le platee, la gente applaude, l’amplificazione ne crea una successiva, la successiva amplificazione un’altra ancora e così via. “Bravo! Bravo! Bravo!” urla la gente, tutti a chiedersi come fa, ma nessuno vuole saperlo, da Montanelli a Pasolini, Dante e Peppino Impastato, Carducci e il Leopardi hanno gonfiato proprio le bolle, “non fateci perdere l’uomo con il frac!” E poi ha lo stesso abito di un premio Nobel, di un capo di Stato, del CEO di quella o di quell’altra super azienda internazionale.
Era solo un trucco – dice l’uomo con il frac – e nessuno a credergli più.
Amichevolmente prestigidigizzati.