Fino ad oggi nessuno ha posto l'accento sul fatto che, tra le innumerevoli evidenze contenute nell'arte rinascimentale a rivelarci l'esistenza di numerosi viaggi in America di gran lunga anteriori a quello presunto di Cristoforo Colombo, vi sia un antico simbolo regale e sacerdotale del popolo Inca, costituito da tre piume da portare in capo. Ufficialmente le tre piume su mazzocchio vengono iscritte tra le imprese familiari del primo Rinascimento a partire da quella personale di Cosimo il Vecchio che si vuole esser stata inserita per la prima volta nel tempietto del Santo Sepolcro, a sua volta collocato nella cappella ancora oggi consacrata e annessa alla ex chiesa di San Pancrazio, accanto alla Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.
Il tempietto, posizionato nel Sacello che si ispira al modello della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è costruito su progetto di Leon Battista Alberti e raccoglie le spoglie del suo committente, Giovanni di Paolo Rucellai, morto nel 1481.
Le magnifiche tarsie che decorano le pareti esterne del sacello del Santo Sepolcro presentano le formelle istoriate che riportano gli stemmi araldici di Lorenzo il Magnifico (abside Est), di Cosimo il Vecchio, appunto (parete Nord) e di Piero il Gottoso (parete Ovest – ingresso).
Lo stemma di Giovanni Rucellai, il committente, è invece presente nella parete Sud e rappresenta una vela spiegata al vento, con le sartie sciolte, forse proprio a intendere l'uso alla navigazione transoceanica.
Iniziato nel 1457, il tempietto venne completato nel 1467.
In vero non è la prima volta che le tre piume vengono associate al Pater Patriæ fiorentino; esiste infatti un dipinto antecedente al tempietto di cui sopra in cui ritroviamo Cosimo il Vecchio associato a questo particolarissimo ornamento.
Siamo nella Cappella dei Magi del palazzo di famiglia, Palazzo Medici Riccardi in Via Larga a Firenze. Qui nel 1459 Benozzo Gozzoli dipinge il Corteo dei Magi, un affresco che tra le pieghe della sua rappresentazione risulta celebrativo proprio dei primi viaggi in America e dei personaggi che, a vario titolo, si legarono alla famiglia de' Medici in questa avventura, che condurrà in seguito Sisto IV e molti suoi alleati a ordire la Congiura dei Pazzi.
Il pretesto iconografico di questo ciclo di affreschi è quello dei festeggiamenti che la città di Firenze ha riservato a Mattia Corvino, eletto in quell'anno Re d'Ungheria, che per questo guida il corteo a cavallo.
L'interpretazione data finora dagli storici dell'arte che lo identificano con un ritratto non troppo realistico di Lorenzo il Magnifico, forse in un tentativo di esaltarne la bellezza e la magnificenza è infatti palesemente errata.
Nonostante la presenza in questi affreschi dei molti bizantini che parteciparono al Concilio di Firenze, è da ritenersi che i Magi a cui il corteo nominalmente si riferisce siano proprio i Magiari, guidati dal neoeletto Mattia Corvino e non i sacerdoti astrologi della antica religione persiana (lo Zoroastrismo) che guidati dagli astri giunsero a Betlemme per onorare la nascita di Gesù (che nel dipinto sono idealmente rappresentati da Gemisto Pletone, riferimento culturale assoluto del primissimo Rinascimento, il patriarca di Costantinopoli e Giovanni VIII Paleologo di Bisanzio).
Gli Ungheresi ebbero un ruolo attivo nei primissimi viaggi oltre oceano (come diremo altrove), tanto da potersi imputare a loro la scelta del nome dato al Nuovo Mondo. Il nome America, infatti, è derivato da Emmerich (Amerigo, in italiano), figlio di Stefano I, primo Re d'Ungheria e fondatore della Chiesa Ungherese.
Non deve stupire dunque, o ritenersi anacronistico che all'interno dello sviluppo del Corteo che accompagna Mattia Corvino, tra animali, piante, scene di caccia e rappresentazioni geografiche del nuovo mondo, Cosimo il Vecchio venga ritratto da Benozzo Gozzoli nei panni di un Imperatore Inca (nello specifico Pachacutéc, che proprio nel 1459 morirà), con la classica pettinatura dei nativi sudamericani, la tipica tunica bordata d'oro del sommo sacerdote Inca e le tre piume in testa.
Sarà proprio questo particolare ad aiutarci a fare maggior chiarezza sul significato intrinseco di queste tre piume e del perché sono diventate un emblema associabile alle famiglie che per prime, con molti anni di anticipo, ebbero contatti amichevoli con i nativi del Sudamerica. Il copricapo indossato da Cosimo il Vecchio, infatti, è la mascapaicha (parola di derivazione quechua), considerata in patria un simbolo assoluto del potere imperiale Incaico. La mascapaicha, infatti, garantiva al Sapa Inca il titolo di Governatore di Cusco e, a partire proprio da Pachacutéc (la cui statua da pochi anni è eretta nella Plaza des Armas di Cusco), di tutto il Tahuantinsuyo, ovvero di tutto il Perù, il più grande Impero dell'America precolombiana.
Il riferimento a questo oggetto ornamentale, usato per sottolineare uno status di ceto e ruolo nella gerarchia religiosa Inca, è importantissimo non solo per le implicite deduzioni cronologiche che comporta in ordine ai primi viaggi nelle Americhe, viste le datazioni di cui stiamo parlando, ma anche per la corretta interpretazione del ciclo pittorico di Benozzo Gozzoli all'interno di Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
Solo il Sapa Inca, infatti, poteva portare la mascapaicha più importante, che veniva tramandata da un sacerdote all'altro solo in caso di morte del predecessore. Questo ornamento era costituito da un filo intrecciato dello spessore di un dito, che veniva poi avvolto quattro o cinque volte attorno alla testa, di cui all'epoca ne esistevano di tre tipi: rosso e blu per gli Inca dominanti, nero per gli Incas inferiori o di poco titolo e il Llautu, una nappa di colore rosso e giallo (come appunto quello indossato da Cosimo il Vecchio) per la famiglia reale.
Erano le Acllas (dette anche Vergini del Sole, donne prescelte all'interno della comunità Inca) che tessevano il Llautu, (chiamato anche Paicha, termine che esprime la congiunzione di spazio e tempo, assimilabile come concetto al compendio tra energia maschile e femminile), che era costituito da una sottile lunga treccia di lana rossa intarsiata da fili d'oro che, come detto, erano di uso esclusivo per la famiglia reale.
A completamento dell'ornamento imperiale, tre piume di Corequenque (il Caracara Andino, un falcone endemico del Sudamerica dal piumaggio nero e bianco) venivano infilate nel Llautu.
Alla luce di tutto ciò, è chiaro quindi che l'impresa considerata appartenente a Cosimo de' Medici e inserita nel tempietto del Santo Sepolcro derivi idealmente da ciò che egli indossa nel dipinto di Benozzo Gozzoli di qualche anno prima: un omaggio a Pachacutéc, il primo imperatore Inca, che evidentemente Cosimo il Vecchio conosceva, se non altro nominalmente.
Nello stesso dipinto, a portare la mascapaicha sono anche le tre nipoti di Cosimo il Vecchio, ovvero le figlie di Piero il Gottoso, nonché sorelle di Lorenzo il Magnifico.
Quanto descritto finora ci dice essenzialmente due cose: l'origine di questa impresa, che è indiscutibilmente legata ai primi viaggi oltreoceano (ovviamente databili ben anteriormente al 1492) e il fatto che le tre piume non siano sostenute da un mazzocchio, bensì da una mascapaicha (anche se, sostanzialmente, il significato sotteso a entrambe è lo stesso: compenetrazione tra il mondo eterico e mondo materico).
Anche l'associazione che sottolinea Benozzo Gozzoli (che proprio sotto l'indio si auto ritrae) tra Cosimo il Vecchio e Pachacutèc, idealizzata nel segno della mascapaicha con cui è raffigurato il potente Pater Patriæ fiorentino, è molto importante ai fini di una revisione storica, in quanto narra di un rapporto evidentemente gioviale e amichevole tra i due popoli.
Un rapporto ben diverso da quanto poi la storia ci consegnerà in un secondo tempo, relativamente al genocidio operato dal colonialismo spagnolo post colombiano e al ruolo interpretato dai frati Domenicani prima e Gesuiti poi.
La percezione di un rapporto di profonda amicizia tra i due popoli ci viene confermata da una ulteriore rappresentazione di questo ornamento regale, anteriore sia all'affresco di Benozzo Gozzoli (1459) e sia all'arma intarsiata nel tempietto del Santo Sepolcro di Firenze (1461-1467).
Sto parlando di un oggetto molto particolare, tipico dell'epoca, oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York: un desco da parto, un tipico vassoio commemorativo in oro e argento con cui venivano celebrate le nascite più importanti da parte delle ricche famiglie del Rinascimento, evocativo dell'offerta di dolci che tradizionalmente veniva portata alla partoriente.
Opera di Giovanni di Ser Giovanni Guidi (detto Scheggia), questo vassoio venne creato nel 1449 per celebrare la nascita di Lorenzo, figlio di Piero de' Medici e Lucrezia Tornabuoni, nipote prediletto di Cosimo il Vecchio e futuro capo della Signoria che diede tanto lustro a Firenze, tanto da meritarsi il soprannome di Magnifico.
Dipinto dal fratello minore di Masaccio, il vassoio fu poi conservato proprio negli alloggi privati di Lorenzo, nel Palazzo Medici Riccardi di Firenze.
L'intreccio ideale tra il popolo Inca e la famiglia de' Medici qui è rafforzato dal fatto che le tre piume sono associate all'anello mediceo, che si sostituisce al mazzocchio e al Llautu, rafforzato dal motto familiare SEMPER (per sempre), mentre gli stemmi delle due famiglie riconducibili ai genitori del nascituro, Medici e Tornabuoni, sono nella parte alta del vassoio stesso.
Emerge sempre più chiaramente, dunque, come la prima apparizione dell'arma di Cosimo de' Medici non possa essere considerata quella sul tempietto di Giovanni Rucellai (il cui figlio, Bernardo, sposerà una nipote di Cosimo, Lucrezia, detta Nannina, che insieme alle sorelle Bianca e Maria nel dipinto del Gozzoli porta le tre piume della mascapaicha).
Anzi, l'esistenza di questo vassoio metterebbe in dubbio anche il fatto che le tre piume rappresentassero l'arma di Cosimo, lasciando intendere come il vero titolare dell'impresa, mutuata da Pachacutéc, fosse invece proprio Lorenzo, oggetto del desco da parto in visione.
Oltretutto, il ritrovare le tre piume sia sul capo di Cosimo, nell'evidente atto evocativo inteso da Benozzo Gozzoli (in vero della committenza) di richiamare Pachacutéc e la mascapaicha (l'ornamento del più alto ordine dell'Impero Inca), sia sul vassoio commemorativo della nascita di Lorenzo, forse legittima un dubbio che confermerebbe una volta di più il carattere amichevole sottostante alle relazioni tra alcune famiglie dello schieramento politico ghibellino italiano e le più alte gerarchie dei popoli nativi del Sudamerica, di cui tratteremo in un'altra sezione di questo scritto: sia Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, sia Ludovico Sforza, non a caso detto il Moro, erano di sangue misto, meticcio, come peraltro confermerebbero le stesse caratteristiche della fisionomia di questi due celebri personaggi.
Ricordo che meticcio è il termine, per nulla casuale e a maggior ragione in questo caso, derivante proprio dallo spagnolo mestizo e dal portoghese mestiço. Era con questo termine, infatti, che si definivano in origine proprio gli individui che nascevano dall'incrocio fra i coloni europei (perlopiù spagnoli e portoghesi) e le popolazioni amerindie indigene precolombiane.
A legare oltremodo l'impresa con le tre piume a Lorenzo il Magnifico è qualche anno dopo Giorgio Vasari, pittore e biografo di tutti i più grandi pittori, architetti e scultori del Rinascimento, che nel celebre dipinto che ritrae tra gli altri animali esotici la giraffa di Lorenzo, conservato presso il Museo di Palazzo Vecchio, in un angolo ripropone proprio le tre piume del Magnifico, inserite in un anello gemmato, la stessa impresa raffigurata sul desco da parto di Giovanni di Ser Giovanni Guidi.
Dagli elementi menzionati, e in particolar modo dalla rappresentazione che fa Benozzo Gozzoli di Cosimo il Vecchio a Palazzo Medici Riccardi, è quindi indubbio il fatto che l'assunzione delle tre piume da parte degli esponenti della famiglia de' Medici sia da porre in strettissima relazione a una frequentazione delle Americhe anteriore al 1492, ricollegandosi all'uso che di questo ornamento facevano gli esponenti dell'Impero Inca; nel caso di specie da parte di Pachacutéc, in carica all'epoca in cui le tre piume e la mascapaicha fanno la loro prima apparizione nei dipinti, nelle imprese e nelle monete, di una delle più importanti famiglie del Rinascimento, attorno alla prima metà del XV secolo.
Questo ornamento, oltretutto, ci testimonia del profondo legame esistente tra la famiglia de' Medici, la famiglia Sforza e il territorio lariano, che ospiterà a più riprese il giovanissimo Leonardo a metà del XV secolo.
In due chiese dell'alto Lario, infatti, nel comune di Gravedona sono riprese scene riconducibili all'affresco di Benozzo Gozzoli. In una di queste, in particolar modo, un giovane (con tutta probabilità Galeazzo Sforza, figlio di Francesco) ha il capo cinto dalla mascapaicha, mentre con la mano regge dei funghi allucinogeni.
Il corso della storia, nel lungo cammino che ha portato alla nascita del movimento Rinascimentale è stato dirottato a beneficio della Santa Sede e dei suoi alleati, mentre le evidenze di quello che fu sono state abilmente cancellate. Ma non tutte le evidenze sono state cancellate, e quel che rimane è più che sufficiente per ricostruire il reale corse delle cose.
La mascapaicha è una di queste evidenze. Sempre che vi sia l'interesse a far chiarezza, ben inteso.