Le difficoltà della pandemia e la risposta della musica: il quattordicesimo lavoro dell'illustre musicista rivela grandi novità, tra canzone d'autore, lingua genovese, chitarre elettriche e Resistenza.
Where The Wind Blows è un bel ritorno, un ritorno importante. Questo tuo quattordicesimo lavoro arriva in uno dei periodi più delicati e critici per chi fa musica: quanto ha risentito del clima emergenziale?
L’emergenza è lentamente calata su questo lavoro. L’album era partito in un momento spensierato con l’idea del rinnovamento, del fermarsi un attimo a raccontare se stessi dopo una carriera di movimento infinito, del cimentarsi con qualcosa di nuovo e trovare nuovi stimoli. Lentamente il significato del lavoro si è trasformato, è diventato atto di resistenza e risposta dell’arte alle avversità.
Le notizie tragiche che arrivavano dall’Italia ci hanno messo in allarme molto prima rispetto agli americani intorno a noi. Mentre tutti continuavano la vita normale abbiamo accelerato il lavoro in studio, cancellato concerti, fatto scorte e ci siamo concentrati sull'album.
Produrre un CD indipendente senza poterlo promuovere nei concerti è un suicidio dal punto di vista economico, ma ci è sembrata una bella risposta e la musica si è rivelata particolarmente adatta per esprimere i sentimenti di questi tempi: molti dei brani scritti tempo addietro (chissà, forse per un presentimento) si stavano rivelando perfetti per leggere i tempi attuali. Primo su tutti la tristezza di Lament, poi la determinazione ad uscirne di Fighting While We Can, poi l’amore e l’arte che vincono sull'incertezza in La Musica Nostra, l’importanza e la saggezza degli anziani di Wise Old Man, la speranza propiziatoria dell’alba in Sunrise Melody, la voglia di danzare in Forget About Me Not e così via.
Un altro motivo importante di questo ritorno è il rinnovamento. L'album è una sorta di "nuovo debutto" visto che ti presenti in una veste inedita, quella di songwriter e chitarrista elettrico. È una sorta di messa a nudo?
Succede spesso che l’artista scopra le proprie risorse e la propria espressione artistica strada facendo. A volte si scopre una propria dote per caso, altre volte questo deriva dall’esigenza di produrre bellezza con i pochi mezzi del mondo indipendente (come nei piccoli circhi dove il bigliettaio fa anche il clown e il domatore di coccodrilli e vende zucchero filato nell’intervallo).
Il mio percorso è iniziato come chitarrista acustico innamorato della musica americana, con il tempo sono nati il viaggiatore, il ricercatore, il cantante, l’arrangiatore, il tecnico del suono, il produttore di spettacoli, l’insegnante e oggi il chitarrista elettrico e il cantautore. Fino ad ora provavo una forma di pudore e riservatezza che mi impediva di scrivere canzoni. Con questo lavoro sono riuscito a superarla e ora aspetto il giudizio di chi vuol bene alla mia musica per decidere se potrò continuare anche in questa direzione.
Il singolo di anteprima, La musica nostra, è un brano universale, che sprigiona amore per il tuo mestiere ma anche tensioni e dubbi di tutti i colleghi. Quanto è importante fare musica oggi, in un clima così difficile?
La Musica Nostra è la mia prima canzone d’amore. Penso che molti musicisti si identifichino in questo sentimento di amore per il proprio mestiere anche se così precario e spesso poco rispettato. Certamente credo che molti artisti indipendenti si pongano la domanda sull’utilità del proprio mestiere in un mondo che cambia sempre più velocemente e in cui il contatto diretto diventa sempre meno importante rispetto a quello virtuale. Per me fare musica è un esercizio di ricerca di bellezza allo scopo di trasmettere poesia e sentimenti positivi, ricordare il passato sperando di proiettarsi verso il futuro nel modo più giusto. L’idea che la bellezza possa vincere e che la musica possa farci cambiare in meglio continua ad affascinarmi.
Dicono che la guerra del Vietnam sia finita quando finalmente Pete Seeger è apparso in televisione ed ha cantato The Big Muddy. Questi grandi esempi di musica che cambia la storia sono come un faro, ma non so esattamente quanto siano validi oggi, i segnali sono troppo contrastanti. Ad esempio, l’estate scorsa, ho suonato il mio primo concerto all’alba sulle Dolomiti del Brenta. La bellezza di quelle montagne unite alla musica ha generato un momento indimenticabile, la gente era assorta, si guardava intorno ed ascoltava… ma, seduti in disparte, quattro teenager continuavano insensibili la loro routine, assorti nelle chat dei loro cellulari… Continuerò certamente a fare musica e progetti e a questo scopo abbiamo aderito alla piattaforma Patreon, una forma moderna di fan club dove chi mi vorrà sostenere potrà seguire e partecipare da vicino al nostro lavoro.
Sei italiano, vivi negli Stati Uniti e in questo disco canti anche in genovese. Genova è una città di musica, la vostra lingua ha una musicalità fortissima. Come mai questa scelta?
Genova è una città speciale, in grado di suscitare con la sua storia e i suoi personaggi grandi ispirazioni artistiche e anche il suono della sua lingua è una ispirazione forte.
Naturalmente il nostro cantautore più noto, Fabrizio De André, è stato un esempio anche per l’uso della lingua genovese che dopo di lui è stata rivalutata e adottata nella canzone d’autore. Incontrai De André tantissimi anni fa per chiedergli il permesso di registrare una mia versione acustica di Creuza de Ma e quel momento è stato molto importante per la mia carriera. Oggi con grande orgoglio continuo ad inserire sempre qualche suo brano nelle scalette dei miei concerti americani.
Il genovese ha una sonorità molto poetica e mediterranea, ha più parole tronche dell’italiano e in alcuni casi è più espressivo. Nella canzone Dove Tia O Vento ha funzionato perfettamente per esprimere la malinconia della città parlando delle emigrazioni, della vita dura dei marinai, dell’arrivo del fascismo, dei suoi ritorni, delle alluvioni, dei crolli e così via. Il tutto in contrasto con la sua straordinaria bellezza che ti chiamerà sempre e ti farà tornare. Siamo riusciti a raccontare la canzone con un video prodotto da Sergio Farinelli. Per via della quarantena alcune immagini sono casalinghe, girate con il cellulare, ma l’impatto di musica e immagini è risultato comunque potente.
Il richiamo delle radici spesso si fa irresistibile, qui parli anche di "musica dei padri". Quali sono i padri senza i quali non avresti mai fatto musica e imbracciato il tuo strumento?
La canzone Wise Old Man (Grande Vecchio nella versione italiana) nasce dalla consapevolezza che senza il lavoro e l’esempio dei grandi padri della musica probabilmente non avrei intrapreso questo mestiere. Nelle tre strofe della canzone parlo di tre grandi padri che ho incontrato personalmente: Pete Seeger, Fabrizio De André e Doc Watson e del grande insegnamento artistico e di vita che ho tratto dal loro lavoro.
Ho voluto scrivere questa canzone perché la figura del mentore come guida artistica e morale si sta in parte perdendo. Le informazioni tecniche e musicali si trovano facilmente online e a volte il passaggio attraverso la musica e il percorso di chi ci ha preceduto viene omesso o semplificato. Per me stringere la mano di Doc Watson e sentire i suoi calli, parlare con Fabrizio mentre strimpellava il mandolino genovese o aiutare Pete Seeger ad accendere il fuoco del camino sono stati tra i momenti più belli della mia carriera.
Molti altri padri che ho incontrato avrebbero meritato una strofa, da Paco de Lucia a Wayne Shorter, ma lo spazio era limitato. Importanti sono anche i padri che non ho potuto incontrare, da Django Reinhardt a Eddie Lang a Pasquale Taraffo (padre della chitarra popolare genovese).
A proposito di chitarra, strumento spesso ingrato che necessita di continuo studio e aggiornamento, quali chitarre hai usato per la realizzazione di Where The Wind Blows?
Il pianeta chitarra è incredibilmente variegato ed ogni strumento ha contribuito con un colore diverso. Oltre alla mia chitarra “principale”, una R Taylor custom (mia compagna da tanti anni), ho usato una chitarra National per gli slide, una Telecaster come elettrica e una chitarra bouzouki bassa (del liutaio tedesco Heiner Dreizehnter). Ho anche dedicato interamente una chitarra acustica (del liutaio americano Rob Goldberg) per colorare alcuni arrangiamenti con suoni solo “armonici”. In realtà molti colori che si ascoltano derivano dall’uso di accordature non convenzionali e dall’uso del capotasto a volte su tasti molto alti.
Avrei continuato a sperimentare se l'emergenza non ci avesse costretto a chiudere il progetto prima del lockdown (ho registrato nell’ottimo Ampersand Studio di Bob Harris a Bridgewater, NJ). Un altro suono evocativo che si sposa bene con la chitarra acustica e che mi sono divertito a sperimentare per la prima volta è stato quello del Glockenspiel.
Esiste un filo conduttore nei temi del disco oppure ogni brano ha una sua storia e una sua peculiarità?
Per alcuni artisti il filo conduttore di un progetto si manifesta e si modifica strada facendo (nella musica d’autore un famoso esempio è quello di Le Nuvole di De André) ed è stato così anche per me in questo caso. Nello scrivere per la prima volta canzoni e melodie ho consultato e unito tanti frammenti di appunti scritti di sfuggita on the road seguendo la tecnica di Woody Allen (che quando inizia un nuovo film allarga sul tavolo un mare di appunti su piccoli fogli di carta e intuisce, inventa e dà forma a ciò che può funzionare in sinergia). Il mio mare di fogli ha invaso anche i pavimenti con grande “gioia" di Federica, ma alla fine il tema autobiografico delle canzoni si è manifestato con forza come un racconto e l’aspetto melodico introspettivo ha prevalso sui virtuosismi e gli "hot licks".
Il racconto della mia vita e dei miei sentimenti è diventato il tema portante. Anche la canzone Dove Tia O Vento è autobiografica, molti personaggi raccontati sono parte della mia famiglia. Nonna Giò era la mia bisnonna, i fascisti li ha cacciati anche mio nonno Giuseppe partigiano, etc...
Inevitabile parlare della Acoustic Night, che in questo 2020 avrebbe festeggiato il suo ventennale ma che sarà rimandata al 2021. A differenza di tante rassegne che ripiegano sulle dirette social, la tua è rigorosamente legata alla fisicità del luogo e del contatto con gli spettatori.
Lo spettacolo Acoustic Night è stato ideato e prodotto 19 anni fa da me e mia moglie Federica in maniera indipendente come celebrazione dell’incontro tra musicisti intorno ad un tema speciale. L’evento si è sempre svolto presso il Teatro Stabile (ora Teatro Nazionale) di Genova ed è cresciuto negli anni da una singola replica sino a quattro repliche, basandosi sempre e solo sugli incassi e sulla qualità dell’offerta.
Stavamo lavorando ad una grande festa di celebrazione del ventennale e la musica del mio nuovo CD avrebbe rappresentato buona parte del programma.
Ci piacerebbe ora parlare di riprogrammazione essendo questo un evento che ha sempre tratto la sua linfa dall’energia e dello stupore del pubblico e non può certo essere ridotto ad una diretta social. Nei giorni in cui l’Acoustic Night doveva avere luogo (21-22-23-24 maggio) abbiamo fatto uscire un video celebrativo e ci adopereremo in ogni modo per raggiungere e salutare i nostri fans.