Affacciato al balcone di Palazzo Venezia, a Roma, il duce Benito Mussolini annunciava ottant’anni fa al Paese la decisione di seguire l’alleato tedesco in quello che sarebbe diventato il Secondo conflitto mondiale.
Iniziato con l’aggressione della Polonia da parte della Germania di Hitler convenzionalmente il primo settembre 1939, il conflitto era di fatto tatticamente ripreso nella primavera del 1940 con rapido successo dalle truppe tedesche. Mussolini, dopo l’iniziale non belligeranza e alcuni dubbi, si decise a voler spartire un po’ del successo del suo grande ammiratore. Le relazioni diplomatiche con la Francia non erano cattive, soprattutto dopo la Conferenza di Monaco, e l’Italia aveva cercato di ottenerne dei vantaggi soprattutto in terra coloniale, nei territori sotto l’egida francese. Tuttavia, dati gli stretti legami con la Gran Bretagna e alcune attese disilluse, l’Italia cominciò a irrigidirsi nei rapporti con l’amato/odiato cugino, addirittura rivendicando i territori un tempo italiani, secondo alcune mire di stampo irredentistico. Galeazzo Ciano cercò di calcare la mano su alcune rivendicazioni, in modo da andare in trattativa, insomma complicando una situazione che iniziò a precipitare con l’ingresso delle truppe tedesche a Parigi.
Italia e Germania avevano sottoscritto nel maggio del 1939 un accordo politico-militare che prese il nome di Patto d’Acciaio, con il quale Hitler si tutelava, dato l’intento di proseguire la sua conquista dello spazio vitale tedesco. In agosto, infatti seguirà il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop che blinderà la posizione tedesca, sicura che non avrebbe avuto contrattacchi da parte sovietica quando avrebbe mosso contro l’area polacca. Così infatti avvenne, fino ad arrivare, poi, a Parigi sottomettendo Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio, ancora una volta attaccato malgrado fosse neutrale.
Vittorio Emanuele III, il re, non era d’accordo con il legame così stretto con la Germania, così come antitedeschi erano alcuni membri di Casa Reale; il papa Pio XII inviò un messaggio a Mussolini per convincerlo a rimanere fuori dalla guerra, tanto quanto fece il presidente statunitense. Il Duce era combattuto, anche a causa dei rumori di folla che gli attribuivano un carattere tentennante in quel momento. Mussolini ritenne di doversi sedere al tavolo delle trattative di pace con qualche manciata di morti, per poter dettare qualche condizione a favore della Penisola e delle proprie colonie.
Quindi, ecco la dichiarazione di guerra alla quale Hitler rispose con un telegramma nel quale si dichiarava commosso per la scelta italiana. Nel pomeriggio di lunedì 10 giugno, l’ambasciatore francese a Roma, Poncet, venne convocato a Palazzo Chigi e Ciano gli lesse la dichiarazione di guerra. In quell’occasione il diplomatico francese si espresse come se l’Italia sferrasse una pugnalata ad un uomo già a terra, data l’imminenza della resa alla Germania. Furono molti i pareri internazionali in questo senso, infatti, vedendo l’atto italiano come vile, per quanto atteso. Le operazioni militari iniziarono l’indomani, al confine francese e con qualche lieve bombardamento aereo sulle colonie nemiche.
Le idee tattiche italiane non erano ben chiare, né tantomeno lo era la preparazione militare-strategica. Addirittura i francesi ebbero la meglio in alcune azioni al confine italiano. Alla fine anche l’alleato non gradiva il comportamento tenuto, che si rivelerà pressoché disastroso di lì a poco nell’autonoma decisione italiana di attaccare la Grecia.