Maggio è un mese pieno di colori. Verdi, blu, gialli, rosa, rossi (e scusate se non li cito tutti) intensi, saturi, tersi, cristallini, lucidi, vividi, rinati. È per questo che ho pensato di proporvi un artista che nei colori ci sguazza. Si chiama Manuel Bonfanti, classe 1974, vive e lavora tra Bergamo e Kazan, è una persona affabile, la sua missione è portare l'arte alle persone in tutti i modi possibili. È infatti non solo artista, ma curatore. Sua è la curatela del progetto d'arte permanente dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, The Tube One. Oggi ci concentreremo sulla sua ricerca pittorica.
Per iniziare vorrei che ci descrivessi brevemente la traiettoria della tua ricerca dagli inizi a oggi.
La mia ricerca inizia con uno sguardo sul mondo della Pop Art, verso la fine degli anni Novanta. Mi sentivo affascinato dalle scritte, dai loghi, dai caratteri grafici. Avevo appreso che la grafica moderna è culturalmente legata al mondo egiziano e questa scoperta mi aveva colpito. Durante la meditazione, mi ritrovavo costantemente a osservare le lettere sugli oggetti che avevo intorno e a un certo punto mi sono detto: “dipingile!”. Così è nata la mia prima produzione. In una seconda fase, a partire all'incirca dal 2004, ho iniziato a interessarmi al mito, agli archetipi classici e ho lavorato sulla loro rivisitazione in chiave Pop, in chiave contemporanea, per poter meglio avvicinare lo spettatore. La mia pratica pittorica è cambiata radicalmente in seguito a una mostra che ho fatto a Kazan, una città della Russia europea centrale. Lì mi sono reso conto che il Pop non era un linguaggio compreso da tutti e ho sentito il bisogno di compiere un azzeramento totale, quasi di rinnegare quello che avevo fatto fino a quel momento. È stato l'inizio di una ricerca-meditazione “sull'invisibile presente nell'aria” - come dico sempre io - che continuo anche oggi a portare avanti, da cui hanno avuto origine le mie serie astratte Air Space e Light in Space.
Cosa è questo “invisibile presente nell'aria”?
L'invisibile nell'aria è qualcosa che può solo essere percepito e non compreso razionalmente. È quell'aura che circonda un'opera d'arte, quella devozione che si respira in una chiesa, quella magia che ti avvolge davanti a un grandioso spettacolo della natura. Per fare degli esempi macroscopici... ma, in realtà, lo stesso ambiente in cui siamo immersi, che quotidianamente viviamo, nel mio caso lo studio, è luogo di accadimenti invisibili, di insondabili cortocircuiti tra spazio/tempo che non possiamo captare se non abbandonandoci, lasciandoci attraversare da queste “atmosfere”. Per me è una sorta di meditazione al termine della quale ritrovo il mio corpo pregno di emozioni, di stati d'animo incogniti che sento l'urgenza di esprimere sulla tela. La pittura diventa allora il medium attraverso il quale posso ricreare quello stato misterico di cose da cui sono stato invaso e condividerlo con gli altri affinché possano a loro volta sperimentarlo.
Quanto tempo ci vuole per la creazione di un'opera?
La mia pittura è fatta di attesa. La meditazione è attesa. Aspetto di liberarmi dal peso dei miei pensieri, aspetto di percepire “l'ambiente” intorno a me, aspetto di sentire la pittura che mi corre tra le mani, e quando succede, quando avverto che è presente questo stato ideale di cose, stendo il colore. Poi lascio lì il quadro, ripasso il giorno dopo, lo rivedo, rifletto, al momento giusto re-intervengo fino a che l'opera è, quasi involontariamente, finita. Accade che questo processo duri pochi giorni per alcuni quadri e mesi per altri. Anche la mancanza di una sola velatura finale può significare per il compimento del quadro lunghi tempi di attesa. Attesa, ancora attesa... attesa che in me si manifesti quell'ultimo tocco e che quindi senta di poter concludere l'opera.
Che sfumature di significato racchiude il cambiamento del titolo delle tue ultime opere da Air Space a Light in Space?
Da un lato penso che un titolo il quadro astratto non debba averlo, dall'altro mi accorgo che si tratta di un'indicazione di lettura molto utile per l'osservatore. Air Space era forse troppo criptico; le persone non comprendevano cosa intendessi per “spazio di aria”, per “aria di colore”, in riferimento, come ho già detto, agli accadimenti invisibili che avvengono nell'atmosfera. Dal momento che nei miei ultimi quadri neri la luce diventa predominante, ho deciso di porre l'accento proprio su questo, sulla luce come “creatrice di atmosfere” e quindi li ho chiamati Light in Space. Questa nuova indicazione è risultata subito di più immediata intuizione: per me è fondamentale che il pubblico capisca, anche il titolo può aiutarlo a entrare in sintonia con l'opera.
Tu usi spesso i termini astratta, espressionista e informale per definire la tua pittura attuale. Ma quanto e in che modo la tua arte ha a che fare con i movimenti storici dell'Astrattismo, dell'Espressionismo e dell'Informale?
Quando vado in un museo cerco espressioni con le quali entrare in sintonia. Non mi ricordo i nomi degli artisti, ma trattengo l'effetto delle loro opere su di me. I colori, le forme, le composizioni si tatuano nella mia memoria visiva ed emotiva ed entrano quindi indelebilmente a far parte del mio bagaglio d'artista. Dentro di me ho a che fare con tutti questi movimenti storici e quindi è inevitabile che anche la mia pittura ne abbia a che fare. Per questo mi sento libero di usare gli aggettivi, astratto, informale, espressionista, perché i movimenti storici a cui essi rimandano costituiscono il sostrato interiore della mia ricerca.
Perché fare pittura oggi?
Ho studiato con Luciano Fabro. Quando entrava in aula non voleva sentir parlare di pittura, si facevano istallazioni, video d'arte, performance. Io sono entrato e volevo la pittura. È vero, i linguaggi viaggiano a livello generazionale ed è vero che se un artista da giovane ha ricevuto una forte impressione dalle video istallazioni di Nam June Paik è probabile che poi segua quel filone. Tuttavia non credo nella pittura no, perché è fuori moda, e il video sì, perché è il linguaggio che incarna i nostri tempi. Anzi! Credo che fare pittura oggi rappresenti il modo più semplice e quindi più libero e indipendente di esprimere il proprio spirito, di entrare in contatto con il mondo. Se ci pensi, non serve altro che una scatola di colori e un foglio, ma potrebbe andare bene anche una tazzina di caffè e un tovagliolo. La pittura è spiritualità e come tale non può morire.
In che modo l'emergenza sanitaria legata alla diffusione del COVID-19 ha influito, influisce sull'arte?
Questo periodo è da guerra, da stravolgimento, da cut-off con il passato. Inciderà profondamente sull'arte... quella seria. Sta cambiando lo spazio in cui viviamo, da macro si fa micro, da esterno si fa interno e interiore, da reale a virtuale. Viviamo una nuova libertà dentro le piccole cose e non è facile coglierla ed abituarcisi. Personalmente sento già nuovi input dallo spazio che mi circonda. L'arte va avanti lo stesso, ma sarà chiamata a offrire nuovi titoli di riflessione. Lo sguardo sul mondo che cambia, cambierà il nostro mondo interiore e, di conseguenza, l'arte.