Sentiamo spesso dire che “l’arte salverà il mondo”, ma questa è in realtà una bella favoletta che ci raccontiamo - e che, per di più, contiene in sé il vizio dell’antropocentrismo: per noi il mondo è solo ciò che ruota intorno all’uomo. Ma il mondo, in realtà, è ben più di noi, nonostante che la specie umana sia micidialmente prolifica, ed abbia un impatto assai pesante sul pianeta. E nonostante questa pulsione antropica, appena - per una ragione o per un’altra - recediamo dalla nostra presenza invasiva, ecco che la natura torna velocemente ad occupare gli spazi lasciati liberi. Basti pensare all’area di Chernobyl. Resterà radioattiva per 20.000 anni, e gli esseri umani non vi possono stare, se non a rischio della vita, che per due o tre giorni. Ma la flora e la fauna hanno preso il nostro posto, ed il sopravvento su tutto ciò che di ‘umano’ vi abbiamo lasciato.
Tuttavia, la storia della nostra specie - anzi, la storia tout court, perché essa semplicemente non esiste al di fuori di noi - non è solo la narrazione di una presenza distruttrice. La parabola umana ha tracciato anche momenti di incredibile grandezza. E l’arte è sicuramente tra quelle di maggior rilevanza. È una delle più importanti caratteristiche umane. Essa è, ad un tempo, prodotto e ‘nutrimento’ dell’uomo.
Dalle pitture rupestri delle grotte di Lascaux ai graffiti di Keith Haring, dalla Venere di Willendorf al Cloud Gate di Anish Kapoor, l’arte - nelle sue innumerevoli forme - è una insopprimibile manifestazione dell’animo umano.
Non importa se e quanto essa possa risultare condizionata da altro - il potere, il denaro... L’arte ha comunque una sua forza intrinseca, una sua ‘irriducibilità’.
Questa componente vitale del nostro essere umani è per ciò stesso anche un formidabile ‘termometro’ della nostra vitalità. Laddove l’arte è viva, è forte, è presente nella vita delle persone, lì quest’ultima ha una marcia in più. All’opposto, laddove avvizzisce, segna una fase di declino dell’intera società.
Ma, appunto, per essere vitale, l’arte ha da essere ‘viva’.
Non può essere soltanto memoria, testimonianza, reperto del passato. Senza produzione artistica, senza la sua capacità di interpretare il presente e presagire il futuro, l’arte si fossilizza. Non può essere mera ‘cronaca’, narrazione dello stato di cose presente; senza un quid in più, senza saper accendere uno sguardo che si spinge più in là, più in fondo, semplicemente non è arte. E l’Uomo avvizzisce a sua volta.
Senza il fiorire dell’arte, una società è condannata all’inverno dell’anima.
Perciò è necessario, oggi più che mai, proteggerne i semi, renderle fertile il terreno. Perché quello che ci attende è comunque un periodo più freddo e buio, ed avremo più che mai bisogno di scaldarci intorno al fuoco dell’arte, e la sua luce renderà meno cupa l’oscurità.
Ogni grande crisi, porta con sé una grande opportunità. Sta a noi coglierla o meno. Oggi abbiamo la possibilità di recedere ordinatamente dalle nostre pulsioni peggiori, e di ristabilire una relazione equilibrata col pianeta e le altre specie. Ed in questo l’arte può giocare un ruolo fondamentale, non solo nell’orientare la nostra sensibilità, ma anche - se non soprattutto - nel nutrire l’animo umano in questa non facile transizione.
Per questo è necessario averne la massima cura, fattivamente. Esattamente come della salute fisica o dell’economia.
L’arte non salverà il mondo, ma senza l’arte non vale la pena salvarlo. Il (nostro) mondo.