Il diffondersi delle notizie di Coronavirus non mi ha fermato.
Quando sono partita per il Sudan si diceva che era poco più di un’influenza ed era lontano in Cina. Per un’influenza non avevo certo intenzione di rinunciare ad un viaggio, organizzato da La Compagnia del Mar Rosso, sognato da anni.
Ero serena sulla scelta della meta.
Dopo la nascita del nuovo stato, il Sud Sudan e la Rivoluzione del 2019, la regione settentrionale del Sudan, nell’antichità "regno della Nubia" o regno di Kush, meta del viaggio, è diventata (dopo trent'anni di guerra civile) ancora più sicura e tranquilla di quanto già non fosse in passato.
La civiltà Kush, sviluppatasi nella regione della Nubia, nell'ansa formata tra la quinta e la sesta cateratta del Nilo, nei tre centri: Kerma (2600-1520 a.C.), Napata (1000-300 a.C.) e Meroe (300 a.C.-300 d.C.), si è incrociata con quella dell’antico Egitto. La XXV dinastia, a regnare sull’Egitto, fu proprio quella nubiana (727 a.C. - 671 a.C.) dei “Faraoni neri” che superarono i signori di Tebe e di Menfi.
Erano di fattezze nettamente africane, ben riconoscibili nei graffiti che li ritraggono con le insegne reali e la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto. La loro lingua non era l’egizio, ma un idioma africano.
La storia del regno di Kush si è poi intrecciata con la storia di Roma. Strabone riferisce della guerra condotta da Petronio nel primo secolo a.C. contro i Nubiani. Roma però non riuscì a piegare il regno di Kush che divenne, probabilmente, uno stato vassallo. A segnare l’inizio del suo declino è stato il conflitto perenne con l’Egitto, ormai provincia romana.
Di questa regione, lungo l'alto corso del Nilo, le cronache parleranno in seguito ben poco: ricomparirà Nub (che significa "oro"), perché qui gli Egizi continuarono a estrarre questo prezioso metallo.
Trovarmi in Egitto, fuori dall’Egitto nella terra dell’oro, con un’incredibile quantità di rovine archeologiche: necropoli, circa 200 piramidi, templi, tombe ipogee e misteriosi geroglifici, da cui arrivarono i “Faraoni neri”, mi ha dato una carica che mi è servita ad affrontare questo terribile presente.
Così come entrare in contatto con una popolazione accogliente, quasi del tutto estranea al turismo e che vive nelle oasi lungo le sponde del Nilo che abbiamo traghettato più volte, mi ha trasmesso una serenità che cerco di conservare gelosamente.
Arrivati a Khartoum - fondata nel 1822 da Moḥammed ʽAlī e capitale dal 1930 del Sudan, allora stato anglo-egiziano - la prima cosa che abbiamo fatto è stato un giro in battello per vedere la confluenza del Nilo azzurro con il Nilo bianco, presso la punta di Mogren dove non si fondono solo i due fiumi, ma secoli e millenni di storia legati alle antiche popolazioni nilote.
La visita del Museo nazionale archeologico ci ha introdotto nella storia di questo Paese. Contiene collezioni risalenti al 4000 a.C., sino al periodo copto, statue e interi templi, della zona del Sudan, salvati dall’inondazione della diga del lago Nasser, come il Tempio di Buhen, fatto costruire dalla regina Hatshepsut.
Hatshepsut, salita al trono d'Egitto nel 1478 a.C., è stata la seconda donna faraone. È stata ritenuta come uno dei faraoni di maggior successo e, per l’egittologo James Henry Breasted, conosciuta come la prima grande donna della storia. I due colossi in granito, provenienti da tempio di Tabo sull’isola di Argo, collocati dopo l'ingresso al museo, sembrano fargli da guardia.
Prima di partire verso il Nord, alla volta del deserto occidentale, siamo andati Omdurman, l’antica capitale del Sudan, per dare uno sguardo veloce alla tomba mausoleo di Muhammad Ahmad, detto il Mahdi, che ha guidato la rivolta contro il dominio anglo-egiziano. Il generale e governatore inglese Gordon fu ucciso nelle scale del suo palazzo. Due anni dopo, nel 1896, le truppe inglesi ed egiziane sconfissero l'esercito Mahdista. Il Sudan ottenne poi l'indipendenza il 1° gennaio 1956.
Di questo viaggio ricordo tutto con infinita gioia: dai compagni di viaggio, al cuoco Barakat, alla guida sudanese, agli autisti, i bambini, le persone incontrate ai pozzi e nei villaggi e i punti di ristoro che apparivano nel nulla e che erano frequentati da autisti con camion grandissimi. In tutti i “bar”, delle signore, di tutte le età e stazze, preparano dietro dei baracchini, tè e jabana, il caffè allo zenzero che in Sudan è un’istituzione.
Le notti, passate nelle tende, nel silenzio del deserto e con l’immensità delle stelle sopra la testa, sono state piacevoli, come i pernottamenti nei campi tendati di Tombos e Meroe. Particolarmente gradita è stata anche la notte passata in una casa nubiana nei pressi del tempio di Soleb, considerato il più bel monumento egizio del Sudan. Peccato che siamo stati aggraditi da nuvole di moschini.
Sento ancora nelle narici il profumo dei fiori del giardino del Nubian Rest-House, costruito a Karima, nel tipico stile architettonico nubiano, ai piedi del Jebel Barkal, montagna sacra dei “Faraoni neri” e Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. A Karima ho visitato, al tramonto nella necropoli Reale di Napata, le piramidi del periodo meroitico meglio conservate di tutto il Sudan.
I miei occhi sono ancora pieni di immagini: le dune che cambiano colore secondo il sole, il deserto costellato da antichi templi e le rovine di città leggendarie come la Necropoli Reale di Meroe, con le sue 40 e più piramidi. Spuntata su una collinetta e accarezzata dal vento di sabbia, la Necropoli, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, c’è apparsa ancor più misteriosa.
È stato triste apprendere che la causa della distruzione della punta delle piramidi, oltre al tempo, è stata l’opera di un avventuriero italiano, tale Giuseppe Ferlini, che nel 1820 ha distrutto oltre 40 piramidi tra Egitto e Sudan per cercare dei tesori, che ha trovato e venduto ai musei.
Le pareti delle piccole cappelle votive, che si trovano di fronte alle piramidi, sono decorate con bassorilievi che rappresentano episodi della vita del Faraone ed immagini delle divinità.
A Naga mi ha affascinato il chiosco, gioiello del tardo meroitico, che incorpora elementi greci, egizi e romani. Sempre a Naga si trova il tempio di Apedemak (leone), edificato fra il 12 a.C. e il 12 d.C. per il dio guerriero, dalla testa di leone, guardiano delle tombe dei faraoni. Sui i piloni di accesso si intravvedono le immagini del re Natakamani e della regina Amanitore.
Non lontano da qui c’è un altro tempio, con molte statue di montoni e bellissimi ingressi del tempio decorati con bassorilievi, dedicato al dio Amon, re degli dei dell’Egitto, adorato anche nel regno Kush.
A Mussawwarat El Sufra, in una splendida vallata coronata da colline, sono visibili le rovine di un tempio molto grande che un tempo svolgeva un ruolo importante. Nelle pareti, che circondano il tempio, costruito nel I secolo d.C., sono rappresentati un gran numero di elefanti.
Nella Necropoli di El Kurru (900-650 a.C.) ho ammirato la tomba affrescata del re Tawentamani. Le pareti della camera funeraria e dell'anticamera hanno affreschi con figure che rimandano al patrimonio religioso egiziano.
A Tombos, piccolo e grazioso villaggio, alle vecchie cave di granito della dinastia dei “Faraoni neri”, abbiamo visto un’intera statua del re Taharqa (690-664 a.C.) lasciata lì in terra da 2700 anni, perché la testa si era rotta. Taharqa è stato il “Faraone nero” più conosciuto. Fu il fondatore della più recente Necropoli di Nuri, situata sul lato orientale del fiume Nilo.
Una statua di Taharqa l’abbiamo poi rinvenuta nel Museo di Kerma, insieme altre sei statue dei “Faraoni neri” trovati nell’importate area archeologica della Necropoli reale di Kerma che è stata la prima capitale del regno Kush.
Nel museo abbiamo incontrato un gruppo di studenti sudanesi che hanno voluto conoscerci e fotografarci. Una volta tanto, i ruoli si sono invertiti.
Sempre a Tombos, con una bella passeggiata lungo le rive del Nilo, accompagnati con gentilezza e grazia da una ragazzina dagli occhi di carbone, abbiamo potuto ammirare parecchie stele incise sulle rocce tra le formazioni rocciose della terza Cateratta.
Viaggiare è camminare verso l’orizzonte, incontrare l’altro, conoscere, scoprire e tornare più ricchi di quando si sia iniziato il cammino.
(Luis Sepúlveda)