Patrizia Ferrando è una meravigliosa dama d’altri tempi. Lo dimostrano, appieno, le proposte letterarie che, da anni, dona ai suoi fedeli lettori. In questa intervista esclusiva ci svela molti retroscena legati alle sue opere ed apre porte sui progetti futuri che comprendono mirabili scoperte ed il progetto di una nuova rivista dal sapore antico.
Partirei col chiederti se pensi ci sia un filo conduttore che accomuna i tuoi romanzi o se, ogni volta, ti piace sondare territori diversi…
Nella scrittura, ma prima ancora nella lettura, non mi dispiace sperimentare, mettermi in gioco e provare a sorprendermi. Eppure, mi rendo conto che alcuni elementi sono quasi connaturati al mio modo d'innamorarmi delle storie. Sono affascinata dal passato, soprattutto dal passato relativamente recente, da qualche decennio a un paio di secoli or sono. Mi colpiscono le figure femminili, tanto spesso mute o quasi in troppi testi magniloquenti, e, infine, mi attirano i luoghi che profumano d'incanto e di segreti. Vorrei ogni giorno poter accettare gli "Inviti superflui" di Dino Buzzati, con i riferimenti a "i lunghi inverni delle fiabe, in cui vivemmo insieme senza saperlo", e all'esplorazione di case abbandonate.
Arquata Scrivia è la protagonista di Sui Passi dell’Estate Perduta. Come ti sei mossa nella genesi di questo viaggio sentimentale?
Ho seguito, in primo luogo, i miei passi e la mia immaginazione, che mi portavano ad osservare a lungo vecchie ville, giardini gozzaniani, case piene di ricordi e guizzi fantasiosi, costruite da facoltose famiglie genovesi per trascorrere nel verde, in una campagna piemontese resa vicina dalla ferrovia, e nella dimensione "sognatrice" di villini qui numerosi, l'estate e l'autunno. Da questo avvio, la ricerca si è arricchita naturalmente lungo fili come la vita quotidiana del primo Novecento. Partendo dalle architetture, ho cercato di documentare, attraverso fonti archivistiche, giornali d'epoca e voci più insolite quali i vecchi manuali di buone maniere, i modi di vivere un tempo che oggi chiameremmo "libero", e che, seppur per un numero abbastanza ristretto di privilegiati, si colma a di lenta bellezza, gesti gentili e qualche divagazione fantasiosa. Fu un tempo breve, come le estati di un'infanzia collettiva: prese forma a inizio '900, per finire spazzato via dai conflitti mondiali e dai cambiamenti incipienti nel giro di pochi decenni.
Sono molto legata a Il Viale degli Angeli Caduti che mi ha consentito di fare la tua conoscenza come autrice. Hai riportato alla mente autori da me molto amati, ma vorrei sapere da te se ci sono influenze letterarie che consideri imprescindibili oppure se riesci a svincolartene quando sei alle prese con un’opera tua?
Non è semplicissimo rispondere a questa domanda. Credo che ogni pagina che scriviamo sia in qualche misura "abitata" dalle letture che più ci hanno coinvolto. Ma non è nelle mie abitudini ragionare in partenza su questi rimandi. Di sicuro, se non amassi la letteratura gotica non avrei scritto nello stesso modo Il viale degli angeli caduti, eppure quel romanzo deve molto anche alle atmosfere più leggere del romance, e perfino ad echi di cronache locali.
Il Diario Segreto della Contessa, invece, ci svela un personaggio dalle molteplici sfaccettature: Teresa Cordero di Montezemolo. Puoi raccontarci qualche aneddoto su questo mirabile lavoro di ricerca?
Il diario era un quadernetto rilegato e fittamente scritto in francese, proposto tra la mercanzia di un antiquario. Non so se chiamare "caso" la spinta immediata che mi ha portato prima a volerlo assolutamente comprare, poi a leggerlo con crescente emozione, e infine a usarlo come traccia per raccontare una storia di donna. Scriverlo è stato sentire come amici e conoscenti individui morti da un centinaio d'anni, eppure vivi di pensieri e d'azioni. Amore, paura, rabbia, insicurezza... un intero universo emotivo stava in attesa di riemergere. Ho voluto vedere i luoghi dove si erano mossi, la vecchia Torino, Nervi, la campagna monferrina. Per quanto possibile, ho voluto provare sintonia con le loro sensazioni, con il loro modo di attraversare la vita. E quando mi sono ritrovata nella casa più amata da Teresa, la mia protagonista, a parlare di lei in un pomeriggio di settembre così simile a quelli da lei descritti, per un attimo mi è parso che il tempo non esistesse.
Puoi dirci qualcosa in più sui progetti che ti vedono coinvolta in questo momento?
Nell’immediato, mi sto dedicando molto al progetto di un nuovo magazine on line La Gazette du Bon Ton, voluta citazione della celebre rivista parigina primi ‘900, un progetto che mi entusiasma per i presupposti di stile e originalità, e che mi vede caporedattrice per la sezione “Retrò & Vintage”, quindi immersa fra cose belle ed evocative che adoro. Nel frattempo, due libri attendono dietro le quinte: uno tratta d’illusioni d’amore, muovendosi da fenomeni come le truffe online e altri casi di - anche dolorosa - attualità, in cui si evidenzia come la voglia di sognare e il bisogno d’affetto prescindano da ingenuità e contesto sociale; l’altro, è nuovamente ispirato a una donna realmente vissuta tra ‘800 e ‘900, una pittrice franco polacca sposata ad un nobile ligure, con un percorso esistenziale anticonformista, drammatico e coinvolgente.