Docente di lingua e letteratura tedesca, insegna al liceo Scientifico Elio Vittorini di Milano ed è Presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del comune di Milano.
Dopo diverse esperienze di lavoro, per 10 anni è stata ricercatrice presso il CISEM, Centro di Innovazione e Sperimentazione Educativa di Milano, nell’area Genere e Educazione. In quegli anni ha pubblicato articoli su riviste specializzate ed alcuni libri incentrati sull’educazione alla sessualità, alla cittadinanza, alla cura, sull’orientamento come formazione alla crescita della persona, sull’integrazione e sul principio di pari opportunità nel processo educativo, nella formazione dei docenti e nei libri di testo. Ha partecipato al Progetto PoLiTe, promosso dal Ministero Pari Opportunità e dall’Associazione Italiana Editori.
Eletta nel 2006 consigliera in Zona 7 e nel 2010 consigliera Provinciale, da allora nelle istituzioni si occupa di scuola, cultura, diritti delle donne, ambiente e servizi, convinta della necessità di una riqualificazione del territorio che passi attraverso processi non solo urbanistici, ma anche sociali. Nel giugno 2015 ha coordinato i volontari dell’hub accoglienza profughi per il comune di Milano. Nella Segreteria Regionale del PD ha la delega ai diritti e alla democrazia paritaria.
Da ragazza non avevo un progetto di vita chiaro, ma volevo essere di aiuto a chi faticava a sentirsi accettato, molte passioni che mi hanno permesso di seguire più strade, studiando tanto e incrociando mondi professionali diversi. Parlavo cinque lingue, ebrea a cui era stato chiesto di imparare il tedesco, mia madre scelse la scuola germanica come una sorta di protezione. Sono stata un’interprete e traduttrice curiosa, una ricercatrice appassionata. All’inizio lavoravo per un importante centro di ricerca e sperimentazione, dove ero stata chiamata a tradurre incontri e convegni. L’ambito era quello delle politiche di genere nell’educazione. In quegli anni le ragazze stavano entrando in massa nella scuola superiore, a scuola però non si riconoscevano le differenze, differenze che io ho scoperto, in parte traducendo e che mi hanno spinta poi a formarmi per diventare ricercatrice, e mentre studiavo, inserita nel gruppo di lavoro sulle politiche educative, mi rendevo conto di disparità culturali, sociali ed economiche ancora radicate e il mio sguardo sul nostro tessuto sociale cambiava.
Il mio sogno? Quello di sempre: trovare tutti gli strumenti e i linguaggi possibili per contrastare le discriminazioni a partire da quelle di genere, allargando la sfida a tutte le differenze. Certo non mancano le delusioni, vedendo la fatica che fanno ancora le donne, i tanti passi indietro nelle situazioni di crisi, ma nello stesso tempo vediamo anche tante ragazze di ieri e di oggi che hanno realizzato e stanno realizzando i loro progetti con grande successo, ora c’è una grande e diffusa consapevolezza e responsabilità che ci permette di condividere una battaglia da fare insieme per tutte e per tutti!
Quali sono stati le esperienze e gli incontri che l’hanno portata all’impegno politico?
Sono cresciuta in una famiglia allargata, figlia di una coppia separata e di una mamma straniera, di origine rumena, arrivata in Italia in un campo profughi e diventata poi la prima dirigente metalmeccanica italiana, che quindi lavorava tantissimo e non poteva né portarmi né venirmi a prendere a scuola! Mi consideravano diversa e io mi sentivo tale, però ero convinta che questa diversità potesse essere la mia ricchezza. Fin da piccola cercavo di trasformare un problema in una risorsa e spesso, se non trovavo subito una strategia efficace, comunque ascoltavo tanto e ci mettevo un po’ di allegria, per sorridere insieme a chi si sentiva in difficoltà, intanto cercando con determinazione una risposta efficace. Forse proprio dalla mia storia di famiglia complicata e affascinante è partito un processo ininterrotto che ha guidato le mie scelte successive.
Qual è stata la svolta?
La svolta nell’impegno politico attivo è stata la frequenza del primo corso di “Donne, Istituzioni e Politica” all’Università degli Studi di Milano. Ho pensato che non avevo mai esplorato in modo approfondito questo ambito ed è stato molto coinvolgente. Finito il corso, la Prof.ssa Bianca Beccalli mi disse: “Diana, dopo tanti mesi passati a sentire che ci sono ancora poche donne in politica e visti i tuoi risultati, ti devi assolutamente candidare”. Il corso era finito poco prima delle elezioni amministrative nella mia città e così, sperando di poter dare un contributo utile, ho iniziato candidandomi nel consiglio di zona del quartiere dove vivo, ottenendo un successo inaspettato per una perfetta sconosciuta. Da quel momento ho iniziato ad affiancare alla vita di insegnante l’attività politica. Ho affrontato molte sfide appassionanti, a volte deludenti per alcune dinamiche interne faticose da scardinare nei partiti, ancora oggi, ma sempre preziose per ascoltare e capire meglio il senso di una buona politica attenta ai reali bisogni delle persone. Ogni campagna elettorale si è trasformata per me in un percorso formativo e umano prezioso e oggi cerco di capitalizzare quanto ho imparato nel mio attuale ruolo di consigliera e presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del comune di Milano.
Si parla tanto, oggi, di crisi del modello partito e di disaffezione dei cittadini: quali antidoti proporrebbe?
Credo che si debbano cercare nuove forme di partecipazione, fare un uso diverso degli strumenti anche di comunicazione. Vedo comunque da diverse parti - pensiamo alle Sardine e ai giovani ambientalisti - una gran voglia di impegnarsi, di cambiare il modello vigente per fare una buona politica che sia più inclusiva e permetta di far sentire la voce di chi ha qualcosa da dire, ma non trova lo spazio per farlo. Bisogna assolutamente creare questo spazio di dialogo, è di vitale importanza per il futuro della nostra comunità. Dobbiamo creare uno Spazio Comune.
È presidente sella Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del comune di Milano: quali sono gli obiettivi raggiunti e quali i problemi ancora aperti?
Uno degli obiettivi raggiunti insieme a tutte le persone che lavorano con grande competenza sui temi delle pari opportunità di genere, del contrasto alla violenza e alle discriminazioni e della valorizzazione delle differenze, è sicuramente l’aver messo in rete realtà e singole donne e uomini che ora si sostengono in uno scambio reciproco di capacità e conoscenze che ci rende tutte e tutti più forti. Contemporaneamente ho visto svilupparsi anche una maggiore fiducia nell’amministrazione che rappresento. Anche questo ci aiuta a creare il clima di rispetto e attenzione, prioritario per la coesione sociale, che si costruisce ascoltando i bisogni e trovando insieme risposte concrete. Dobbiamo riuscire a essere più capillari in questo percorso, è un problema ancora aperto.
Abbiamo anche attivato linguaggi e modalità diverse per far conoscere la rete di contrasto al maltrattamento e alla violenza di genere. Il nostro obiettivo non è solo quello di aiutare le vittime a uscire dalla violenza e recuperare la loro autonomia e la libertà: cerchiamo anche di produrre cultura e prevenzione attraverso progetti teatrali, andando nelle scuole, nelle piazze, nei centri di aggregazione. Lavoriamo quindi in termini di mainstreaming e empowerment femminile sui saperi, sui talenti delle donne e sulla promozione di pari opportunità e diritti, per un linguaggio non violento, una cultura del rispetto e della valorizzazione di tutte le differenze.
A tale scopo realizziamo progetti nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle aziende, con percorsi formativi, eventi, iniziative pubbliche e campagne per promuovere il superamento degli stereotipi di genere attraverso un’educazione alla differenza. Le iniziative progettuali che abbiamo messo in campo e gli interventi nei luoghi della formazione costituiscono lo strumento principale per evitare che le nuove generazioni facciano propri modelli di comportamento e relazione con l’altro sesso asimmetrici e sessisti. Abbiamo anche promosso i diritti umani, con progetti e servizi di contrasto alla tratta di esseri umani, sportelli che lavorano sulla rimozione delle discriminazioni, per identità di genere, orientamento sessuale, etnia, religione, disabilità ed età. In questi anni abbiamo inoltre rafforzato i rapporti con le comunità straniere, avviando percorsi di reciproca conoscenza e ascolto per favorire una migliore inclusione attraverso il loro diretto coinvolgimento.
Riguardo al linguaggio di genere, la giunta ha approvato e continua a sostenere corsi di formazione per il personale del comune, a partire dai quali si sensibilizzano le persone sul senso delle parole non solo da un punto di vista grammaticale, ma anche di valore e riconoscimento dei ruoli, quindi di rispetto. Ho anche lavorato molto sull’ampliamento della rete e sullo scambio di buone pratiche, di percorsi di pari opportunità, divenuti poi percorsi strutturati: penso al lavoro con le donne audiolese a quelle diversamente abili, che aiutiamo a uscire da situazioni di maltrattamento ed emarginazione.
Svolge un’attività anche all’interno di un circolo politico del quartiere San Siro: come si vive in una zona periferica rispetto al centro cittadino?
San Siro è la zona in cui ho iniziato la mia attività politica, qui ho potuto vedere quanto sia necessario ascoltare le difficoltà di chi vive ghettizzato per tanto tempo e quindi ghettizzante, dare spazio e creare raccordi efficaci all’interno del patrimonio di realtà associative, attività e competenze socioculturali straordinarie. Il cosiddetto “quadrilatero” di San Siro è un quartiere intriso di storia, esperienze e capacità, qui ho potuto imparare e toccare con mano come anche i piccoli interventi concreti possono migliorare la vita degli abitanti se questi ultimi vengono coinvolti attivamente nei processi di cura e recupero degli spazi e delle azioni di contrasto al degrado. Tante persone si sono sentite trascurate o escluse dai processi di innovazione e sviluppo che la nostra città ha attivato, è quindi diventato ancora più urgente creare un legame che abbattesse le distanze. Il laboratorio di quartiere è stata la prima sperimentazione utile per confrontarsi, sostenersi e interfacciarsi con l’amministrazione. Un esempio è stata la scuola primaria di Via Paravia, che ci ha visti impegnati perché non venisse chiusa, ma al contrario fosse sostenuta con risorse economiche e progettuali che le togliessero lo stigma di scuola di serie B, solo perché frequentata da bambini e bambine con cognome straniero, nati in Italia o comunque che erano già stati alla scuola d’infanzia, ma colpevoli di vivere in quel quartiere. Serve però continuità nelle azioni altrimenti non si realizzano gli obiettivi…
Si è detta favorevole all’utero in affitto e alla legalizzazione delle droghe leggere: quali resistenze hanno incontrato queste proposte?
Sì, sono favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere per diverse ragioni, anche se ritengo prioritaria un’informazione e un’educazione corretta a tutti i livelli di età. Sono convinta che la legalizzazione finalmente sottrarrà il monopolio della vendita alla criminalità organizzata che la gestisce attualmente.
La gestazione per altri, invece, è vietata in Italia, quello che ho chiesto in Consiglio è stato il riconoscimento di pari diritti e pari dignità per i tre bambini figli di coppie omosessuali, come abbiamo fatto con bambine e bambini di coppie lesbiche. Sono convinta che non ci si debba vendicare sui bambini. Ho incontrato molte resistenze e accuse false di chi preferisce non riconoscere trasformazioni sociali e culturali che finalmente hanno liberato anche nuove situazioni affettive che non dobbiamo ignorare, se vogliamo occuparci davvero di pari opportunità e di diritti civili.
Fa parte del Comitato Scientifico di “Creativa 2020. I talenti delle donne”: ci può illustrare questo progetto?
“I talenti delle donne 2020” ha l’obbiettivo di far “vivere” per un anno nella nostra città spettacoli, eventi, iniziative ed incontri che valorizzino figure di donne di ieri e di oggi che con i loro importanti contributi sociali, economici, culturali e scientifici sono state e sono spesso sottovalutate o ignorate. È un’occasione straordinaria per continuare sulla nostra strada del contrasto agli stereotipi e ai pregiudizi che ancora resistono e riguardano in modo molto simile anche le nuove italiane. Purtroppo è un filo rosso che ci unisce, ma d’altra parte questo legame ci può aiutare rafforzando la sorellanza necessaria per essere donne libere di scegliere il nostro futuro senza barriere. Tutte le realtà femminili, singole o associative che hanno ancora proposte per questo palinsesto, possono richiedere la scheda di adesione e partecipare.
Come donna, quale contributo specifico pensa di aver dato alla sua attività politica?
Penso che, come in tutte le attività professionali e personali, essere donna porti uno sguardo complementare e necessario per una visione e un approccio che non possono essere gestiti e decisi dagli uomini. Ogni situazione ha una sua specificità, nel mio caso è stato un’evoluzione che continua, perché partendo da una sorta di inconsapevolezza sulle molte disparità ancora presenti, l’ascolto, lo studio e la possibilità di confrontarmi con donne e uomini molto competenti sul tema dei diritti e delle diseguaglianze, mi ha permesso di essere più preparata, ma soprattutto vigile anche nella quotidianità per partire dalle piccole cose, da gesti anche apparentemente solo simbolici per contribuire a cambiare proprio quell’atteggiamento culturale che ancora ingabbia donne e uomini di tutte le età.
È impegnata nella lotta al sessismo: qual è la situazione all’interno del Comune?
All’interno del Comune c’è una grande sensibilità sul tema e molte sono le azioni messe in campo. Soprattutto è importante la trasversalità dell’impegno degli assessorati nel costruire insieme e nel proprio ambito di competenze progetti e percorsi di formazione. Da un lato sarà di aiuto l’introduzione del bilancio di genere, dall’altro porterà un contributo fondamentale il piano antidiscriminatorio del comune di Milano, obiettivo della mia Commissione.
È stata vittima di violenti attacchi verbali e nella rete, e lei stessa ha sottolineato la maleducazione e il linguaggio aggressivo di alcuni politici: che fare?
Sì, sono stata e continuo ad essere vittima di attacchi verbali e in rete, ma anche per strada: “portateli a casa tua”, la frase mantra sull’immigrazione. La volgarità e l’aggressività sono diventate un’abitudine, ma a queste per molte di noi si aggiunge un sessismo che riprende toni violenti. Ho iniziato subendo l’attacco in televisione di un noto avvocato, che mi ha detto “fatti stuprare dai tuoi amici musulmani per capire cos’è l’integrazione” e certo non avrebbe usato queste parole con un uomo. Prossimamente, invece, vado a processo contro un cosiddetto “leone da tastiera”. Non bisogna più ignorare questi attacchi, ma reagire con gli strumenti anche legislativi, tutte insieme. Anche il Comune sta lavorando tantissimo sul linguaggio, sull’attenzione, sulla responsabilizzazione delle parole che usiamo, dai progetti nelle scuole ai manifesti e ai patti ai quali aderiamo, perché anche così si creano numerose occasioni di confronto sul linguaggio, che è il primo strumento nelle relazioni. Dall’altra parte tutti noi possiamo e dobbiamo intervenire ogni volta nelle occasioni di tutti i giorni, perché le parole, se violente, feriscono, possono discriminare ed emarginare.
Il nostro libro s'inserisce nel progetto “Milano è Donna”: quali parti femminili, secondo lei, rivela la città?
Abbiamo la fortuna di vivere in una città con un alto tasso di occupazione delle donne e questo sicuramente dà un’impronta innovativa alla nostra città. Ciononostante, le donne, in particolare con figli piccoli, continuano a doversi attrezzare tra gli equilibrismi continui della vita quotidiana e su questo servono azioni più incisive. La strada che abbiamo preso è giusta, ma abbiamo ancora tanto da fare, in particolare sull’applicazione del piano regolatore degli orari della città. Abbiamo già favorito i progetti delle scuole aperte, che sono di grande aiuto, ma dobbiamo ampliare le nostre azioni per sviluppare politiche urbane, per migliorare la vita di chi vive e lavora in città, tenendo conto dei ritmi urbani, dei servizi e degli spazi pubblici. Servono insomma azioni più strutturate.
Quale sarebbe la sua Milano ideale?
Una città ancora più inclusiva, aperta, in cui tutti, uomini e donne, giovani e anziani, a prescindere dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale, dalla religione professata, dalla classe sociale, possano esprimere le loro potenzialità, senza ostacoli né discriminazioni, in un vero, grande spirito comunitario, per il benessere e la felicità di ognuno che diventi così benessere e felicità di tutti, nessuno e nessuna esclusi.