Per intendere compiutamente le opere pittoriche prodotte nel Medio Evo, e non solo quelle, è di fondamentale importanza distinguere per grandi linee almeno due dei numerosi ingredienti cruciali presenti in esse. Uno è stabilire il sostrato, o contesto culturale che dir si voglia, in cui le opere sono nate. L’altro è definire l’essenza dei simboli figurativi che pervadono ed informano le predette opere. Non è cosa molto semplice, senza almeno la parvenza di una guida. Per far ciò, quindi, si è scelto di prendere come riferimento le metodiche operative formulate da Erwin Panofsky, il ben noto critico e storico dell’arte, considerato fondatore della disciplina dell’iconologia. Si è provato ad applicare in concreto le regole panofskyane di decifrazione iconologica, per mera acribia intellettuale è ovvio, nell’analisi di capolavori dell’arte analizzati dal Panofsky stesso e a tutti ben noti. Il motivo che ha dato l’abbrivio all’impresa di analizzare queste meravigliose opere, splendido frutto della genialità umana, è stata la curiosa quanto vistosa incertezza interpretativa che le caratterizza.
Dire che l’“affaire” Botticelli è lacunoso è un eufemismo. Abbiamo quindi cercato di porvi rimedio utilizzando un affidabile schema di studio strutturato. Qui Panofsky docet. Si sono così ottenuti mediante l’operazione panofskyana di “sfogliatura iconica” da noi messa in atto, come si avrà modo d’apprezzare, dei risultati almeno sorprendenti. Il tentativo teleologico era quello di rendere finalmente più chiari e più definiti i significati reali, pregnanti, che in maniera certo consapevole quanto intenzionale sia l’autore delle straordinarie opere considerate, nella fattispecie il Botticelli, sia la committenza che le ha volute, hanno indiscutibilmente assegnato a questo eccezionale flusso di produzione creativa. Per certi versi i risultati ottenuti, come si avrà modo di valutare, si confermano da soli ed al contempo sono sconcertanti. È stata però una sfida. Intellettuale s’intende. Si era ben consapevoli che analizzare opere pittoriche tanto note, e da secoli studiate fin nelle singole pennellate, poteva sembrare una sfida già persa in partenza. È anche vero, nondimeno, che quelli esaminati pur essendo capolavori pittorici d’indiscussa portata storica, curiosamente hanno, forse da sempre, mantenuto un’aura d’esitante incertezza interpretativa. Già a partire dalla loro titolazione.
Il motivo è forse perché questi “monumenti pittorici” sono costellati da simboli estremamente “densi”. Si tratta di simbolismi dai significati sottili e proteiformi, allegorie potenti e profonde di cui si è persa la memoria e, soprattutto, la chiave di lettura. Sono espressioni figurate dotate di significati antichi quanto intensi. Sono immagini paradigmatiche studiate fin nei minimi dettagli, i cui significati sono stati scientemente collocati dall’autore sui molti piani di lettura che l’opera ammette, per poter parlare attraverso i secoli. Quasi fossero, si passi l’“ardito”, forse poco aulico sebbene efficace accostamento, l’opera di un pasticciere che realizza torte con tanti strati infarciti con diverse quanto gustose creme.
Dunque le sorprese, come si è già detto, in questo studio non mancheranno di certo. Diventano preziose poi le istruzioni d’uso che offre l’approccio diagnostico suggerito dal predetto Panofsky1, in special modo ora che ci si vuole interfacciare con opere d’arte particolarmente ricche da un punto di vista iconografico. Più utili ancora poi, se si volesse tentare l’impresa titanica di comprendere il contenuto cristallizzato in vere e proprie memorie documentali come quelle realizzate dal Botticelli, ovvero, secondo gli scriventi, il “Dante della pittura”, al secolo Alessandro Filipepi, che tratteremo in questo studio2. Si deve però, necessariamente, andare per ordine.
Da quando nel 2003, dopo varie riflessioni e ricerche, si è da noi accostata per la prima volta la mappa mundi di Waldseemüller, pubblicata a stampa la quarta domenica post Pasqua, ossia il 25 aprile dell’anno 1507, all’opera pittorica ad affresco del Ghirlandaio conosciuta come la Madonna misericordiosa dei Vespucci3, conservata nella chiesa di Ognissanti a Firenze, si è avuta immediata una precisa conferma. Per certo esisteva ad un livello di retroscena sì, ma perfettamente distinguibile, una fitta rete di connessioni storiche e sociali, che a loro volta indicavano con simile certezza un altro dato di fatto inequivocabile.
Queste due particolari rappresentazioni erano state ordite intenzionalmente fra di loro in modo indissolubile. Le maglie di questa rete a mano a mano che si avanzava negli studi, si sono sempre più ampliate ricoprendo aree d’indagine inaspettate sia in ambito artistico, sia in ambito storico.
Ora, per comprendere almeno in parte, i notevoli risultati della lunga indagine che abbiamo condotto, siamo obbligati a tornare su quel peculiare dettaglio, che ci ha consentito per la prima volta in assoluto di stabilire l’esistenza inequivocabile di una vitale identità sia di rappresentazione sia di consistenza informativa tra le due iconografie, ossia tra la rappresentazione cosmografica di Martin Waldseemüller e l’affresco di carattere religioso realizzato per la Cappella Vespucci da Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio4. Si deve aggiungere, con malcelato orgoglio, che l’esistenza di questa potente reciprocità, questa equivalenza sia figurativa sia di contenuti informativi, è un dato ormai ampiamente dimostrato ed acquisito in ambito accademico. Il particolare rivelatore è riscontrabile nella forte e indiscutibile similitudine, anzi, sovrapponibilità, peraltro dimostrata come si è detto, che intercorre tra il profilo del pallio mariano tracciato dal Ghirlandaio intorno agli anni 1476/77 per l’affresco fiorentino della Madonna della Misericordia, presente nella cappella della nobile famiglia dei Vespucci, ed il profilo della cornice che circoscrive la monumentale mappa mundi realizzata nel 1507 dal Waldseemüller a San Deodato, nei Vosgi. Sono, queste, le due tessere dello stesso mosaico cosmografico sacro, che ci hanno suggerito esistere un più che solido legame tra Americo Vespucci (1454-1512) ed i savants di San Deodato (Saint-Dié-des-Vosges). L’esistenza di questo legame è stato poi accertato, documenti alla mano, dalla professoressa Patrizia Licini nei suoi approfonditi ed autorevoli studi5.
Ora, il tutto induce a ragionare su di un atto giuridico antico che, nel suo portato, diviene una potente metafora. È proprio questa metafora, quest’allegoria intensa, a consentire d’interfacciare due opere così in apparenza distanti per forma e significato. L’espressione figurativa di quest’atto giuridico materiale, diviene l’archetipo fondante, la ratio regolatrice, di ogni cosmogonia finora conosciuta. Si tratta di una prassi fattiva ora ben nota6. È l’atto del velamento cosmografico, con termine giuridico, dell’“agnizione” che si realizza attraverso l’azione fisica del “gesto che copre” qualcosa o qualcuno mediante un tessuto, una stoffa, riconoscendo ed acquisendo quanto coperto7: il tessuto è il mantello geografico dell’orbe. Tale rituale assolutamente giuridico quanto, al contempo, allegorico, ha le sue profonde e salde radici nel mito creazionistico poco noto sebbene decisamente rivelatore del presocratico Ferecide di Siro8. È proprio quest’azione archetipica, ossia l’“immantatio”, il fulcro sapienziale che ci ha permesso, a partire dal 2003, di rileggere, accostandole con una ratio completamente diversa opere cosmografiche come la mappa mundi di Martin Waldseemüller e opere d’arte come quelle realizzate dal Ghirlandaio.
Ora, in questo studio si vuole provare ad analizzare con lo stesso crivello l’operato di un altro artista fiorentino di cui abbiamo già trattato nel 2005, e di cui si è già detto: si tratta di Sandro Botticelli. Il motivo di questo approfondimento si risolve nell’importanza dei risultati emersi dall’analisi delle opere a noi pervenuteci del predetto artista. Del pittore, anche se l’aggettivo che lo qualifica è fin troppo riduttivo, abbiamo analizzato forse le sue opere più celebri. Sono tre in particolare che qui indichiamo con la dicitura canonica, ma non di certo corretta e si vedrà il perché: Venere e Marte, la Nascita di Venere, la Primavera.
Partiamo dalla prima opera delle tre scelte. Venere e Marte. Si è scelto di aprire lo studio con quest’opera, per un motivo di rispetto della coerenza strategica e simbolica, che secondo noi lo stesso Botticelli ha rispettato nel realizzare questo suo ben definito programma/ciclo pittorico. Ci spieghiamo meglio. Il pittore fiorentino lavora in un arco di tempo e spazio preciso. Il Botticelli prende spunto e informazioni, per realizzare le sue opere, da avvenimenti straordinari che attraversano come carri infuocati il suo tempo e che, appunto, lo vedono a sua volta coinvolto quale cronista fedele nel diffondere ad imperitura memoria avvenimenti epocali. Queste le premesse. Partendo da questa chiave di lettura si è cercato di trovare il fil rouge che con tutta evidenza attraversa e indiscutibilmente collega queste tre opere. Il legame è emerso dopo anni di lunghe ricerche e riflessioni. È quello della chiara volontà da parte del Botticelli e ovviamente della committenza d’inserire all’interno dei tre dipinti una serie di precise e invariabili informazioni di carattere geografico.
Di qui si parte per arrivare a comprendere che, attraverso le opere pittoriche, il Botticelli narra e celebra le gesta del navigatore fiorentino per antonomasia: Americo Vespucci. Ora, alla luce di questa nostra riflessione non ci sembra del tutto campata in aria una prima ipotesi. Iniziamo con la scelta dei due personaggi, ossia il soggetto dell’opera, ovvero Venere e Marte. Con buona probabilità è stata dettata dalla conoscenza da parte del pittore fiorentino di accurate istruzioni astrologiche. I due personaggi mitologici scelti, infatti, servono per indicare una precisa direzione geografica. È scandita secondo le conoscenze racchiuse e trasmesse dalla Tetrabiblos tolemaica, opera certamente nota al nostro9. Si tratta del quadrante o dominio del Sud-Ovest10. Nel libro III della Tetrabiblos Tolomeo, infatti, assegna proprio al quadrante o dominio di Sud-Ovest le figure mitologiche di Venere e di Marte.
Ora, una domanda affiora alla mente: qual è l’attinenza tra il quadrante geografico indicato da Tolomeo, le figure mitologiche e la visione pratica di queste informazioni? Si tratta di un semplice “soffio”. Si tratta dello “Pneuma”. Tolomeo, infatti, attribuisce a Venere il soffio, “pneuma” appunto, del Sud. È generoso, morbido, poiché ricco di umidità e quindi fertile. A Marte Tolomeo assegna lo “pneuma” dell’Ovest. È un soffio tempestoso, un turbine impetuoso, dunque aggressivo e guerresco. Ora, è ben chiaro di cosa si sta parlando qui: si parla di pneuma, quindi di un soffio, per tanto, con pochissimi dubbi si parla di “vento” 11. Si ribadisce: non ci sono dubbi, neanche volendoli creare. Notevole è il passaggio logico successivo.
L’unione indissolubile, a metà strada12, tra pneuma o soffio del Sud e pneuma o soffio dell’Ovest, genera inevitabilmente un soffio o vento propizio. Di quale vento si tratta? Semplice. Stiamo parlando di “Lips”, “Libeccio”, potente vento soffiante proprio da Sud-Ovest. Si tratta di un vento che nella famosa “Torre dei Venti” di Atene è raffigurato mentre sospinge, curiosamente, ma non casualmente, la prua di una nave13. Il dipinto in questione dunque ritrae una Venere desta ed un Marte evidentemente addormentato. Qualche studioso dell’arte esperto suggerisce Marte essere spossato per la battaglia d’amore appena sostenuta. Vero. È proprio così. Marte e Venere hanno appena consumato un rapporto e quindi hanno concepito. Botticelli fissa l’attimo appena successivo all’atto fisico. È abbastanza evidente il momento. Del resto è ben evidente la presenza, oltre che di quattro fauni, che si muovono visibilmente con andamento circolare, dispettosi e scomposti nella loro selvaggia, silvestre spontaneità primigenia, quasi i figlioletti irrequieti, progenie “silvana” ancora da educare della coppia in ozio bucolico14, è ben evidente, si diceva, un favo di vespe. Sono vicino alla testa di Marte. Sono sette15.
È curioso, ma quando si parla di navi e compaiono vespe incomincia a diventar più chiaro o quantomeno più logico parlare di una famiglia di navigatori. Quale? Le sette vespe del dipinto ronzanti intorno alla testa di Marte lo indicano chiaramente: “…non api in nessun modo, che si ritengono verosimilmente estratte all’arme parlante dei Vespucci”16.
Proviamo a sommare tutti questi fattori. Il risultato dell’addizione sembra essere abbastanza chiaro. Del resto la matematica non è un’opinione. Si è già anticipato, si parla proprio di navigazioni. Si tratta ora di capire nello specifico a quali navigazioni si riferisca qui il Botticelli. Vediamo. Dunque: la direzione geografica precisamente segnalata è il Sud-Ovest, il vento è il poderoso Libeccio che spinge la prua di una nave, il casato è quello dei Vespucci, gente di mare per antica tradizione. È sorprendente: anche volendo, non si può non pensare che alla scoperta del Nuovo Mondo. Questo articolato contesto riflette il primo dei tre atti al contempo celebrativi e giuridici, che il Botticelli ha fissato nella sequenza dei tre momenti pittorici indagati. Con quale linguaggio però il Botticelli cristallizza nella storia lo sconvolgente evento epocale, che sembra vivere in diretta? Vediamo. Continuiamo ad analizzare le figure ed i simboli presenti nelle altre due opere di Sandro Botticelli che sono, con un certo grado di sicurezza, parte integrante di questo immenso, se vogliamo, sconvolgente atto celebrativo programmato e voluto dalla Firenze medicea e fino ad oggi mai più rispolverato.
Ora, anche in un’opera come quella denominata, secondo gli scriventi erroneamente, la Nascita di Venere, il “sofistico” pittore fiorentino manifesta un linguaggio pittorico a dir poco, inusuale. Il contenuto simbolico sembra essere di comune, diffusa e ordinaria utilizzazione nella sua evidente, quasi banale iconicità strutturale. A ben vedere in filigrana, tuttavia, questo adottato dal Botticelli è un repertorio illustrativo che si esprime mediante un vocabolario, per dir così, altro e profondamente sui generis. Si è detto che Botticelli è il Dante della pittura. La sua è un’espressione iconografica sensibilmente matura e diversa dal consueto. È un gergo, un codice pittorico particolarmente colto, quasi espressione grammaticale di filosofo. È una modalità espressiva ricca d’immagini e simbologie estese, pervasive, tratte da mitografie arcaiche e arcaicizzanti, ma calate in contesti coevi al colto pittore fiorentino17. È un idioma precisamente orientato.
La committenza, tutta fiorentina, sembrerebbe imporre le tassative condizioni da seguire: che si “debba” veicolare, che si “debba” comunicare un potente, immortale messaggio attraverso il tempo e lo spazio utilizzando questo ciclo pittorico suddiviso in tre unità distinte, ma complementari. La Nascita di Venere ne è ovviamente parte integrante. Il dipinto in oggetto pertanto, se è vero quanto si sostiene, deve avere caratteristiche riconoscibili. “Deve” necessariamente, è ovvio che sia così, racchiudere un messaggio senza dubbio geografico. “Deve” essere pertanto coerente e complementare al precedente dipinto. “Deve” essere trasmesso con un idioma compiutamente coerente con la precedente modalità espressiva adottata dal Botticelli per il Venere e Marte18. “Deve” essere necessariamente inerente all’esplorazione geografica portata avanti da qualcuno del casato dei Vespucci, banale dirlo ma è ovvio che sia Americo. “Deve”, infine, parlare di Firenze. Non è certo cosa di poco conto rispettare tutti questi rigorosi parametri e soprattutto, rispettarli tutti in contemporanea. È del tutto evidente, nondimeno, che se si trovassero riportate complessivamente queste condizioni stringenti, si sarebbe già raggiunto un buon grado di certezza in merito al fatto che il dipinto sia stato effettivamente realizzato con il fine da noi proposto.
Questa idea, del resto, è già stata da noi avanzata e pubblicata per la prima volta in assoluto nell’anno 2005. Rileggiamo dunque rapidamente il nostro studio al riguardo. L’acuta ed autorevole storica dell’arte Cristina Acidini evidenziava osservando l’opera botticelliana, una “sottesa vena di credibilità geografica”. Di conseguenza perché non approfondire tali suggestioni? Osservando l’opera che il Botticelli distilla, è risultata subito evidente l’esistenza di una forte similitudine metonimica con i tratti peculiari presenti nella cosmogonia greca presocratica. Si tratta della mitografia trasmessa da Ferecide di Siro, il primo a scrivere di prosa cosmologica e gnomica. Il repertorio ferecideo è antico quanto inconsueto e, sebbene estremamente frammentario, è molto suggestivo e caratterizzante nel contesto legato alla mitografia geografica. Si è già anticipato, ma si ribadisce, che questa mitografia cosmologica si è da noi riscoperta e utilizzata per contestualizzare con certezza le nostre ipotesi di studio e con ogni probabilità proprio questa è la mitografia utilizzata anche dal neoplatonico Botticelli nella circostanza. In cosa consiste? Si tratta sostanzialmente del mito del mantello cosmico ordinatore. Il mantello diventa il dispositivo cosmico, l’imprescindibile strumento giuridico che, solo, sancisce materialmente e legittimamente un atto di agnizione/riconoscimento e la conseguente acquisizione materiale, fisica, e giuridica di quanto riconosciuto19.
Nel dipinto botticelliano in oggetto, pertanto, il manto diviene strumento sufficiente e necessario per velare, quindi per acquisire, riconoscendola, una figura primigenia femminile nuda. Anzi. È molto più corretto dire “scoperta”. L’immagine della Venere (che si vedrà non avere nulla a che fare, se non per la bellezza e se non per un… soffio, con la dea del mito greco) è tra le immagini più belle e più iconiche prodotte dall’arte umana. Venere, chiamiamola ancora così solo per comodità, è raffigurata stante su di una conchiglia pecten di gigantesche proporzioni, quasi il nicchio fosse un’imbarcazione20. L’enorme valva sembra qui essere indotta al movimento da una figura indubbiamente virile cui è strettamente avvinghiata una figura certamente femminile, entrambi soffianti. Questi due personaggi, entrambi, stanno soffiando. È indiscutibile. Sono avvinghiati l’un l’altro e soffiano. Già, il “soffio”.
La conchiglia con il suo preziosissimo carico naviga alla volta del vicino approdo costiero. Ora la domanda di prassi: cosa voleva dunque rappresentare il pittore fiorentino attraverso questo gioco di forti, precisi richiami mitografici e rimandi simbolici? La scontata rilettura dettata ai più dalle indicazioni letterarie di Demetrio Calcondila o del Poliziano, oppure il rimando al pensiero di Omero e di Ovidio sentiti come rivelatori da tutti gli studiosi e fino ad oggi alla base delle teorie avanzate per capire cosa il Botticelli avesse voluto fissare su quella tela di 172.5 x 278.5 centimetri, a questo punto sembrano collassare, sembrano non reggere né bastare. Si percepisce esistere sicuramente qualcosa in più. Anzi. C’è sicuramente qualcosa di diverso in quella tela. Già, ma cosa? Si tratta di un messaggio profondo. Potente. Sorprendente perché mai e poi mai ci si aspetterebbe di trovarlo proprio qui. Secondo i nostri studi, tuttavia, è questo messaggio inciso nella composizione della cosiddetta Nascita di Venere ad essere la seconda “informazione” trasmessa con il programma/ciclo pittorico botticelliano diviso nei tre momenti precisi che abbiamo individuato e riesumato. Si vedrà ancora più oltre.
Torniamo pertanto ad osservare un’altra volta l’opera in causa. Teniamo sempre come riferimento il mito cosmologico di Ferecide di Siro del manto geografico o manto cosmico che dir si voglia. È evidente, a questo punto, che nel quadro il Botticelli abbia miscelato sapientemente gli ingredienti del mito ferecideo esaltandone tutti i sapori. È sorprendente, ma sono proprio tutti precisamente specificabili e distinguibili. Nel dipinto si hanno, infatti, un mantello (atlas) ed una figura femminea cui è destinato il manto, esattamente come nel mito vi è Ctonia che si trasmuterà in Gea dopo l’imposizione da parte di Zas (Giove) dell’atlas, dell’atlante ordinatore o mappa mundi, per il suo riconoscimento, il suo ordinamento e la sua acquisizione. È, questo, l’atto finale d’agnizione a completamento e conclusione dell’atto giuridico d’acquisizione in discorso il cui archetipo è il fondamentale e fondante mito di Ferecide. Fedelmente Botticelli, quale “cronista filosofico” d’eccezione, lo racconta fissandolo su questa tela. Non basta. C’è di più.
Seguitiamo ad analizzare l’opera con lo stesso criterio utilizzato per ridefinire il significato cristallizzato nel precedente dipinto di Venere e Marte. Nella Nascita di Venere torniamo ad analizzare le due figure alate collocate a sinistra del dipinto. Queste figure avvinghiate, sorvolano una distesa d’acqua soffiando. Soffiano indiscutibilmente. Senza grandi voli pindarici si può vedere che per certo soffiano. Soffiano con evidente potenza. Il fatto viene indicato direttamente dal Botticelli che, per renderlo più appariscente, utilizza un espediente quasi fumettistico. Immagina uscire dalle bocche delle due figure alate, evidentemente con le guance gonfie la figura maschile, dei tratti rettilinei ben definiti per rendere visibile l’idea del soffio altrimenti non distinguibile sulla tela. Questa modalità rappresentativa impiegata dal Botticelli è senza dubbio convenzione tipica nelle cartografie tolemaiche per identificare i venti. Nelle carte geografiche tolemaiche, infatti, i venti sono rappresentati con gli stessi tratti somatici riportati dal pittore fiorentino (capelli lunghi, guance più o meno gonfie, volti più o meno adirati e sotto sforzo). Non solo. Gli stessi volti, e sono lì da vedere, sono effettivamente presenti nella carta del Waldseemüller proprio a rappresentazione dei venti. Quest’argomento verrà in ogni caso trattato poco più oltre.
Tornando al dipinto botticelliano, il primo personaggio si è detto essere identificabile in un “soffio” maschile, mentre l’altro personaggio in un “soffio” femminile. Ora, accogliendo integralmente le influenti indicazioni astrologiche fornite da Tolomeo, come non recepire la precedente interpretazione del quadrante di Sud-Ovest quale vera e sola chiave di lettura per definire con precisione l’identità e la funzione dei due enigmatici personaggi strettamente avvinghiati, effigiati in questo secondo dipinto? Non esistono motivi per non farlo. Anzi. In effetti, gli storici dell’arte concordano su di un fatto. La figura maschile ritratta dal Botticelli nella Nascita di Venere è un vento che spira da Occidente, mentre la figura femminile al suo fianco potrebbe rappresentare forse Aura, anzi no, probabilmente Nebula o qualcosa del genere. Incertezza totale. È ovvio che secondo noi, fino ad ora, mancando clamorosamente l’identificazione di entrambi i soggetti, si sia mancata pure una spiegazione soddisfacente per comprendere la meravigliosa quanto criptica rappresentazione pittorica. Proviamo a colmare finalmente questa lacuna. Ora, seguendo il nostro rigoroso criterio di lettura le figure alate, evidentemente avvinghiate in un robusto abbraccio, non possono essere altro che i due soffi, i due pneumi, indissolubilmente uniti di Marte e Venere che secondo Tolomeo soffiano congiunti dal quadrante di Sud-Ovest. Il vento che viene generato dai due pneumi congiunti è Lips, Libeccio e assolutamente non Zefiro. Ecco la prima grande sorpresa. L’unione dei due soffi, l’unione dei due pneumi dà origine a Lips, il potente vento Libeccio. In sostanza i due personaggi raffigurati non sono altro che questo: i soffi, gli pneumi congiunti, all’origine dell’energico vento Libeccio.
Si può affermare, pertanto, con un grado quasi prossimo alla certezza sia di possibilità sia di probabilità, che nel dipinto noto erroneamente come Nascita di Venere, il vento Zefiro non compare. Neanche volendo. Neanche per un… soffio21. Libeccio piuttosto. È il deciso Libeccio a sospingere la nave-conchiglia mariana simbolo indiscutibilmente sacro e indiscutibilmente cristiano ben noto al Botticelli, perché certamente devoto alla Vergine come dimostrato nei suoi meravigliosi dipinti dedicati a Maria, tutti arricchiti da sottili e sofisticate allegorie mariane. Non è un caso. Ruskin arriva a dire, infatti, che il Botticelli è: “… il più grande teologo, che Firenze abbia mai prodotto…”. Ora, giacché è impensabile che all’epoca fosse consentito ritrarre un simbolo mariano così noto calpestato da qualsivoglia figura pagana, vien da chiedersi cosa rappresenti in realtà o chi sia a questo punto la figura di giovane nuda, letteralmente “scoperta”, qui ritratta. Proviamo a rispondere riassumendo il tutto.
L’idea ben chiaramente fissata nel dipinto denominato erroneamente Nascita di Venere è quella dell’immantatio, del velare con un mantello. È un vero e proprio atto giuridico di acquisizione e riconoscimento di qualcosa che fino a quel momento si percepisce essere rimasto incognito, sconosciuto alla civiltà greco-romana. L’atto è consumato da una seconda figura femminile che sembra comparire da un lussureggiante aranceto tenendo in mano un mantello. È, questa, Flora/Florentia, vestale di Hestia/Conchiglia/Maria Vergine delle Grazie (si veda poco più oltre). Indossa un elegante e vaporoso abito con fiori: si badi che sono fiori disegnati non ricamati.
Il Botticelli rappresenta la realtà che vede essere a lui contemporanea. Estremamente moderno all’epoca, infatti, è il vestito che il pittore crea per Flora: si ribadisce che i decori del vestito non sono ricamati come in passato, ma dipinti. Botticelli accogliendo così le istanze di modernità che circolano nella coeva Firenze medicea, si rende cronista fedele della sua epoca. Nel quadro pertanto, attraverso la mitografia, Botticelli comunica, parla di qualche evento a lui contemporaneo. O meglio, il Botticelli utilizzando miti cosmologici complessi quanto ricchi di sfumature della Grecia classica, conosciuti ovviamente mediante l’Accademia ficiniana cui appartiene, restituisce registrandolo quanto accade nel suo tempo. Proviamo ancora una volta ad effettuare la somma dei fattori fin qui acquisiti. Dunque: di nuovo si ha la direzione Sud-Ovest, poi una distesa d’acqua, quindi gli pneumi di Marte e Venere uniti a generare Libeccio, di seguito una conchiglia pecten ossia Maria Vergine/Hestia, indi una giovane donna nuda, spoglia, anzi proprio letteralmente “scoperta” con valore di Gea, ossia di terra ordinata ma ancora inesplorata e, si ribadisce, “scoperta”, ancora un mantello ordinatore di colore rosso in mano ad un’ancella, la vestale di Hestia/Maria Vergine22, vestita di fiori ovvero Flora, pertanto Florenzia, infine un aranceto, un potente simbolo mariano e mediceo al contempo.
I termini dell’equazione ci sono tutti. Non ci resta che tirare le somme. Non ci sono interpretazioni da formulare. L’intenzione reale che sta alla base del progetto/programma pittorico che vincola l’artista fiorentino è ben chiara. Si parla ancora una volta di una navigazione da e per il quadrante sud-occidentale dell’orbe… e di una scoperta/esplorazione. I parametri cogenti richiesti in precedenza per verificare la bontà della nostra ipotesi compaiono proprio tutti e proprio tutti insieme. Non può essere un evento casuale. Statisticamente sarebbe troppo anche soltanto considerarli una fortunatissima combinazione di eventi fortuiti.
Per capirne di più a questo punto passiamo ad analizzare l’altra opera che, da sempre, si è subodorato essere complementare alla precedente Nascita di Venere. L’opera in questione è la cosiddetta Primavera. I due dipinti, commissionati con molta probabilità da Lorenzo di Pietro de’ Medici (1463-1503), sono indubbiamente sinergici tanto che, se avvicinati, ne notiamo subito la contiguità e continuità spaziale. In questo senso è esemplare la ripresa dello scenario arboreo, riprodotto evidentemente con l’intento di segnalare la continuità spaziale dello scenario di fondo per l’ambientazione d’entrambi i dipinti23. Si tratta di uno spazio vegetale che ricorda gli altri horti conclusi realizzati dallo stesso Botticelli. Si tratta di horti conclusi che ritroviamo in dipinti come quelli realizzati dal Ghirlandaio nel refettorio della chiesa d’Ognissanti o nel refettorio della chiesa di San Marco a Firenze. In queste pitture come in quella del Botticelli compaiono gruppi di piante d’arancio con i rispettivi frutti e fiori24. Si tratta dunque di simboli prettamente cristiani utilizzati in ambientazione pagana? No. Assolutamente no. Anzi. Del resto non è una novità questa ratio operativa. I raffinati e colti pensatori fiorentini dell’Accademia Neoplatonica, infatti, utilizzano simili contaminazioni per cercare di armonizzare la ricca filosofia classica con l’altrettanto ingente patrimonio culturale ebraico-cristiano. Sincretismo dunque, di questo si tratta, ma c’è di più. Or dunque, il Botticelli è un colto intellettuale, è un teologo come evidenzia Ruskin, è molto colto, è un sottile “sofistico”, s’intuisce essere ricettivo, disponibile e sensibile alle formulazioni filosofiche legate all’ambiente neoplatonico ficiniano. Dunque, il pittore è ben consapevole dei valori e dei potenti contenuti trasmessi dalla filosofia neoplatonica e proprio per questo è ricercato dalla ricca committenza sua mecenate. In effetti, nella cosiddetta Primavera gli elementi figurativi scelti e disposti non a caso dal pittore fiorentino sembrano comunicarci ben altro che non soltanto una semplice scena di celebrazioni mitologiche.
Come si è più volte ribadito il Botticelli è molto colto, è un “sofistico”, sa, come forse nessun altro, disporre, avvalersi della sua vasta, profonda conoscenza per riversarla sulla tavola da dipingere. Un esempio? Vi accontentiamo subito. Partiamo proprio dall’analisi dello scenario e delle figure che compaiono nella cosiddetta Primavera e, per inciso, mai titolazione fu più sbagliata. Cominciamo dal bordo. La scena del dipinto si svolge a detta dei critici dell’arte in un aranceto (come già rilevato più sopra l’arancia con i suoi fiori è prima un distintivo simbolo mariano e poi mediceo), che dovrebbe richiamare un luogo paradisiaco. È il mitico “Giardino delle Esperidi” posto ad Occidente. Il margine del giardino con cui il Botticelli inizia la tavola, sembra potersi congiungere “fisicamente” con il margine e quindi con le piante di arancio presenti nel dipinto della cosiddetta Nascita di Venere. Al centro prospettico del giardino campeggia emergendo ieraticamente, incorniciata da un’aureola, una sorta di cerchio luminoso formato dalle fronde arboree25, una figura di certo primaria, intesa fino ad ora erroneamente come una Venere pagana. È in evidente stato interessante. Indossa delle vesti che le ricoprono anche il capo e la fanno apparire come un’antica matrona romana26. È cinta da un manto double face: da un lato questo pallio è blu. Vi è disegnato un reticolo giallo a moduli quadrati ed è disseminato, nei punti nodali della rete, da quelle che sembrano essere stelle, ma che altro non sono, se non anche quattro mandorle mistiche, il numero non è casuale come si avrà modo di vedere, congiunte ortogonalmente. Dall’altro lato il pallio è di colore rosso. È disegnato anche sul lato in discorso un reticolo, cremisi in questo caso, a modulo quadrato a sua volta campito con quelli che sembrano essere dei rettangoli incrociati. Formano una sorta di croce greca a quattro braccia.
L’iconografia descritta può lasciare dubbiosi soltanto chi non sa intendere questi segni, non certo chi ha letto fin qui questo studio. Le quattro mandorle mistiche unite ortogonalmente, ad esempio, compaiono spesso in icone sacre bizantine, che ritraggono Maria con Gesù in braccio in gesto affettuoso, note come “Madonne eleuse”27. Del resto anche l’articolazione del polso della mano destra della figura in esame, ricorda la postura adottata per raffigurare alcune Madonne benedicenti. Si tratta d’immagini, queste, sicuramente sacre28. È a suo modo un’immagine mariana vera è propria, dunque, questa del dipinto botticelliano e non una Madonna laica al centro di una scena mitologica. Il motivo di questa considerazione va ricercato nella complessa semplicità dell’immagine riportata dal Botticelli. Ad esempio, la collocazione spaziale nel dipinto di questa Madonna non è casuale. Il Botticelli vuol dare senza dubbio un’indicazione geografica precisa con questa figura. Conoscendo la Divina Commedia, il pittore fiorentino certamente ne assimila le indicazioni: Maria è “Meridiana face”, ossia è “fiaccola di Mezzogiorno”, quindi l’immagine indica precisamente il Sud geografico29. Pertanto a destra nel dipinto correttamente sarà il Sud-Ovest, zona da cui soffia Libeccio, le tre fanciulle giubilanti sono al Nord, ad Est è collocato Hermes/Mercurio che tecnicamente quindi si ricollega alla Nascita di Venere proprio dal lato Est rispetto al quadro in discorso, mantenendone precisamente quindi l’indicazione di coordinate geografiche. Ricapitolando, quindi, nel dipinto Primavera si ha: in alto il Sud, in basso il Nord a destra l’Ovest ed a sinistra l’Est. È ben chiaro a questo punto, che nessuna figura laica avrebbe qualche legittimità giuridica o altra giustificazione per assumere in questo dipinto una simile collocazione ed una simile postura ieratica finalizzata ad un qualche atto benedicente.
A chi si rivolge dunque questa Hestia/Maria benedicente e misericordiosa, a chi somministra la preziosa benedizione Hestia/Maria Vergine? Vedremo. Pertanto proseguiamo la disamina ancora verso destra. Si riconoscono nella bionda fanciulla dai capelli mossi dal vento le stesse fattezze fisiognomiche caratterizzanti l’immagine, che il pittore fiorentino fissa nella Nascita di Venere: se nel dipinto precedente questa fanciulla era “scoperta”, qui però la ritroviamo rivestita di leggeri, raffinati velami. Sono panneggi quasi evanescenti, ricercati, raffinati: sono indicativi di una ormai raggiunta maturità e civilizzazione. Dalla bocca della bionda fanciulla silvestre, quale potente rigurgito di una natura rigogliosa e prorompente, fuoriescono le stesse rose e fiori che invece nella Nascita della Venere svolazzavano nell’aria senza avere una precisa provenienza apparente30. Qui la figura muliebre è ritratta con un’espressione di evidente sorpresa, mentre viene trasportata di peso dalla personificazione del poderoso vento prima analizzato ossia Libeccio. Si deve ricordare che questo vento nasce, come indicato nella Tetrabiblos tolemaica e ben fissato dal Botticelli nella Nascita di Venere, dall’unione dello pneuma dell’Ovest di Marte con lo pneuma del Sud di Venere. La provenienza geografica di questo vento robusto è dunque il Sud-Ovest, Libeccio soffia dalla direzione Sud-Ovest come esattamente indicato dalla “Torre dei Venti” ateniese. Si sottolinea inoltre, che Tetrabiblos è considerato il testo più autorevole di astrologia cattolica, che si sia consultato fino all’epoca rinascimentale.
Proseguendo ancora in senso antiorario, troviamo un’altra importante figura femminile. È riconoscibile essere la stessa ancella/vestale Flora (assolutamente con Clori non c’entra nulla) che compare nella Nascita di Venere, ancorché più matura e con un piglio decisamente più consapevole del ruolo che riveste. Anche qui la ritroviamo inghirlandata e ricoperta da una veste disegnata con gli stessi motivi floreali incontrati nel dipinto precedente. Con la mano destra, ora la vestale Flora/Florentia assistente e sacerdotessa al contempo di Hestia/Maria Vergine, compie il gesto di spandere e cospargere il prato erboso di petali di rose, quasi preannunciando l’arrivo di qualcosa o di qualcuno considerevolmente importante. La vestale Flora/Florenzia stende un vero e proprio tappeto di fiori ad indicare alla fanciulla trasportata dal vigoroso vento Libeccio, che la via maestra da seguire per arrivare a destinazione è ormai tracciata ed “infiorata” per lei31. Quale sarà la sua meta finale si vedrà fra breve.
Proseguendo sempre in senso antiorario incontriamo tre entusiaste fanciulle danzanti. Si tratta di tre giovani figure femminili vestite, quasi in uniforme, allo stesso modo della fanciulla trasportata dal vento vista in precedenza: stessi velami, stessi tessuti, stessa ricercata eleganza. L’indicazione è semplice. Le tre figure danzanti attendono gioiose la giovane in arrivo. Sono le quattro parti di uno stesso orizzonte fisico che celebra un rito, iniziatico se vogliamo, di ricongiungimento. È un rituale antico che si attualizza nel gesto dalla vestale Flora/Florentia/Firenze, sotto lo sguardo misericordioso e con il compiaciuto atteggiamento benedicente d’approvazione elargito da Maria Vergine/Hestia. Il cerimoniale d’accoglienza è tutto riservato, quindi, alla quarta figura in arrivo da Sud-Ovest trasportata dall’energico Libeccio32. Retorica la domanda: chi può essere questa figura? Con pochi dubbi è la Nuova Eva, che incarna con pochi dubbi il Nuovo Eden/Nuovo Mondo appena ufficialmente scoperto. È il Nuovo Mondo, “Benedictus qui venis!”, “Benedetto tu che arrivi”, è il Paradiso Terrestre perduto a causa del peccato originale di Adamo ed Eva ed ora, nuovamente ritrovato, sollecitato al ricongiungimento con il resto del Vecchio Mondo e accolto festosamente con grande solennità e giubilo. È l’Eden in Terra33, ossia la “quarta parte” dell’orbe che si avvia al ricongiungimento con le altre tre parti della Terra. Ora sono tutti in giubilo, sono tutti in festa per la sua ri-acquisizione, riscoperta ed il suo ricongiungimento. Il Nuovo Mondo/Nuovo Eden, dopo la sua scoperta rientra di diritto a far parte nuovamente dell’ecumene civilizzata, a questo punto finalmente di nuovo completa in tutte le sue quattro componenti ancestrali ricongiunte. Il quattro.
Questa è la chiave di lettura da utilizzare per aprire lo scrigno sapienziale cristallizzato in questo capolavoro che il Botticelli ci ha servito34. Perché proprio il numero quattro? L’arcano è presto spiegato. Accanto alle tre figure danzanti del sorprendente dipinto, infatti, troviamo la figura di Hermes/Mercurio, che con il caduceo, disperdendo le nubi dell’ignoranza: “… allumina noi ne la tenebra de la ignoranza mondana…”35. Fino ad oggi la figura di Hermes/Mercurio si è ritenuta marginale sia per collocazione nel dipinto, sia per funzione, sia per valore. Non è del tutto così. È curioso che fino ad oggi non si sia mai inteso Hermes/Mercurio per quello che effettivamente è, dal momento che leggendo qualsiasi banale testo che parli di mitologia, la figura di Hermes/Mercurio viene ampiamente e dettagliatamente descritta in tutte le sue caratteristiche e funzioni36. Vediamo quali sono e perché sono così importanti nel contesto che stiamo analizzando. Hermes/Mercurio è il parigrado di Hestia e, si è detto, per antica tradizione cosmografica dove c’è Hermes/Mercurio lì c’è Hestia: nella Primavera, come si è visto e dimostrato, è proprio Hestia/Maria Vergine a comparire come figura centrale nella scena. Hermes/Mercurio è sempre stato considerato quale portatore di conoscenza (infatti, spazza via le “nubi dell’ignoranza” nel dipinto), è latore di civiltà, è il civilizzatore per eccellenza. È protettore dei viandanti, di chi viaggia per terra e per mare: pleonastico ricordare che la famiglia Vespucci era una famiglia di navigatori. È protettore dei commercianti: banale e forse nuovamente pleonastico evidenziare che sia i Medici, sia i Vespucci erano famiglie di commercianti. In questo gioco di rimandi, di richiami e incastri voluti dal Botticelli, nondimeno, si segnala la cosa più considerevole: ad Hermes/Mercurio è sacro il numero quattro, essendo nato il quarto giorno del mese e il quarto mese del calendario argivo (dell’Argolide, per estensione greco) portava il suo nome. È il dio della vegetazione. È il protettore della quadripartizione viaria e per estensione della quadripartizione dell’orbe. Hermes/Mercurio è il protettore delle quattro parti del Mondo. Nella Tetrabiblos (per inciso tetrabiblos significa i “quattro libri”: non è assolutamente casuale che il Botticelli utilizzi proprio questo testo tolemaico per il dipinto in oggetto e per gli altri del ciclo), infatti, tra tutte le divinità planetarie associate ai quattro domini o quadranti in cui viene suddivisa la terra, Hermes/Mercurio non provocando nessun vento pur essendone figlio, Tolomeo lo colloca al centro della sua suddivisione astrologico-topografica quadripartita. Sempre il quattro. Dunque anche Hermes/Mercurio possiede una precisa connotazione cardinale apicale, meglio, zenitale, cui tutti gli altri punti sono soggetti e rivolti37. L’arcaicità mitologica di questa divinità alata viene considerata di primaria importanza per il Botticelli a ulteriore testimonianza della sua spasmodica ricerca che punta all’origine delle fonti mitologiche, che non lo porta a fermarsi di fronte alla scontata superficialità di racconti mitologici consueti.
Non è un caso che Botticelli sia considerato un sofista. Quasi ricercasse quell’austero principio d’autenticità tanto caro ai monaci Cisterciensi, giacché principio ben noto al nostro: non fosse altro perché avendo illustrato la Divina Commedia dantesca, Botticelli conosce a fondo San Bernardo e quindi i principi cisterciensi da questo predicati38. Si direbbe, dunque, essere di fronte alla stessa ricetta, di fronte agli stessi raffinati e colti ingredienti simbolici ed iconici, già individuati nelle precedenti pitture botticelliane. Sono ingredienti che in modo sapiente il pittore utilizza inserendoli nelle trame pittoriche del suo grande ciclo/programma pittorico commissionatogli. Pochi sono i dubbi in merito. Ora, con la figura di Cupido il cerchio dei ragionamenti si chiude. L’angioletto rappresentato era considerato il fratello delle Esperidi. In origine era una divinità della natura quasi fosse un Pan primigenio, ossia colui che dà l’inizio alla nascita del mondo. Si deve ricordare, inoltre, che le Esperidi nella mitologia greca erano le lontane onde “dell’Oceano occidentale” che s’infrangevano sulle coste del Vecchio Mondo. Plinio il Vecchio, da amante della conoscenza qual era, nella sua Historia Naturalis indica le Esperidi essere anche conosciute come un gruppo d’isole collocate da qualche parte nell’Oceano ad occidente a qualche giornata di navigazione dalle isole Gorgadi (le attuali isole di Capo Verde). Non basta. È sorprendente l’inserimento di Cupido/Eros in questo dipinto da parte del colto pittore fiorentino, giacché parrebbe non c’entrare nulla nel contesto celebrativo di cui si è detto. Ovviamente non è così. Non è così poiché questo Eros/Cupido è un potente richiamo, certamente meditato dal Botticelli, riferibile alla mitologia più arcaica e colta dell’Antica Grecia. Il mito tirato ancora una volta in ballo è raccontato un’altra volta dall’inesauribile Ferecide di Siro. Già, di nuovo Ferecide, evidentemente apprezzato dal colto Botticelli, si ribadisce, secondo gli scriventi il “Dante della pittura”. Si tratta del racconto riportato da Proclo39 inerente alla “costruzione del Mondo” da parte di Zeus: “Ferecide disse che Zeus, accingendosi a costruire il mondo, si trasformò in Eros e che, costituendo il mondo dai contrari, lo condusse all’accordo e all’amore e che in tutte le cose infuse l’identità (il nome delle cose, N. d. A.) e l’unità che penetra ovunque” 40.
Di nuovo, proviamo a tirare le somme. Partiamo dal vento, forse la novità più grande per questo dipinto botticelliano: si ha un vento di Sud-Ovest, è il muscoloso Libeccio. Abbiamo poi un’ancella/vestale/sacerdotessa Flora/Firenze/Beatrice con funzione di officiante e guida. Annoveriamo quindi una giovane donna Nuova Eva/Nuovo Mondo/Nuovo Eden per la quale si celebra il rito d’accoglienza e di ricongiungimento. Le tre Fanciulle danzanti/Tre continenti ancestrali sono in giubilo per l’arrivo della quarta sodale. Hermes/Mercurio/Vespucci è il fautore di un preciso piano prestabilito. Americo è colui che dirada le nebbie dell’ignoranza mondana portando al Vecchio Mondo la conoscenza dell’esistenza di un Nuovo Mondo/Nuovo Eden. È la quarta parte di terre emerse dopo il diluvio, che Dio/Amore, Creatore del Mondo41, nella sua infinita misericordia dona all’umanità mediante Maria Vergine/Hestia. Si ha infine la ieratica figura centrale, quintessenza del ruolo centrale che la Chiesa Romana ha assunto e giocato in quest’avvenimento, di Maria Vergine/Hestia benedicente ed ordinatrice nella sua infinita misericordia. Sì, perché dove c’è ordine, lì si rispecchia la mente di Dio che: “…crea tutto secondo misura, ordine, peso…”42. Tutte queste figure si muovono in uno scenario a noi molto familiare. Si tratta con tutta evidenza dello stesso aranceto presente già nella Nascita di Venere. Ha una duplice funzione: indica inequivocabilmente sia la committenza, ossia i Medici, sia la sacralità dell’atto giuridico riprodotto nel dipinto sotto la protezione di Maria Vergine/Hestia. Per concludere lo studio qui proposto, non ci resta che trarre, per un’ultima volta, la somma totale.
Conclusioni
Ora a ben vedere, è possibile avanzare un’ipotesi. Molto probabilmente esisteva all’epoca una produzione e divulgazione a diversi livelli di questa conoscenza, ossia del disvelamento di una nuova quarta parte del Mondo. Il motivo di una simile idea è dovuto al fatto che all’epoca del Botticelli si direbbero circolare nella Firenze medicea, notevoli quantità d’informazioni in merito all’evento “scoperta del Nuovo Mondo”. È inevitabile pensare, infatti, che un certo grado di maturità sapienziale, una massa critica di conoscenze, saturasse i circoli culturali deputati a supportare tale straordinaria operazione cosmografica. Si parla dei centri culturali presenti nello Stato della Firenze medicea, nello Stato Pontificio, nello Stato Imperiale Germanico, nello Stato delle due Corone ispaniche e nello Stato del Portogallo.
Si tratta di una considerevole circolarità di pensieri ed azioni che portano, inevitabilmente, a ritenere che lo stesso Botticelli fosse in stretto rapporto sia con Americo Vespucci, sia con Matthias Ringmann e Martin Waldseemüller del Collegio di Saint-Dié-des-Vosges. L’inequivocabile connessione, infatti, esistente tra Cosmographiae Introductio e i dipinti del pittore fiorentino, sembrerebbe piuttosto confermare a questo punto, anziché smentire o smontare tale idea. Tutte queste opere, in effetti, parlano della stessa cosa: la scoperta del Nuovo Mondo. Il linguaggio probabilmente è diverso, allocato quantomeno su diversi piani e per fruitori diversi, ma la sostanza non cambia. La Cosmographiae introductio del 1507, se si manifesta essere un prodotto “scientifico” per pochi, con le tre opere del Botticelli esaminate si ha invece una struttura formulare che rientra certamente in un canone, in un linguaggio visivo didascalico, ancorché estremamente colto e raffinato, tuttavia decisamente più “popolare”, meno elitario, le cui finalità sono ben note da sempre: istruire, insegnare, comunicare attraverso l’immagine la conoscenza di qualcosa.
Si tratta di prodotti comunque destinati a dialogare tra loro al fine di raccontare una Storia che finalmente dopo cinquecento anni ritrova la sua reale connotazione e torna ad assumere la sua valenza storico-sociale originaria. Americo Vespucci è il primo scopritore di questa nuova quarta parte del globo con i suoi quattro viaggi esplorativi. Non ce ne voglia qualcuno, ma non è stato di certo Colombo l’artefice di questa straordinaria impresa nautica. Americo Vespucci, checché se ne dica (spinti da protervia e disonestà intellettuale, invidia, da interessi di parte, dalla paura di perdere finanziamenti, scranni, baronie o da tutte queste cose insieme e chissà quant’altro…) è, documenti alla mano e non per sentito dire, il vero “inventore” del Nuovo Mondo.
Lorenzo Pietro de’ Medici, ossia il probabile committente della Nascita di Venere e della Primavera, per inciso la famiglia Vespucci è la possibile committenza del Venere e Marte secondo gli scriventi, muore il 20 maggio dell’anno 1503. Americo Vespucci invia allo stesso Lorenzo una lettera prima di intraprendere il suo quarto ed ultimo viaggio nel Nuovo Mondo, attraversata condotta per conto del Re del Portogallo e dell’Algarve, che inizierà il 10 maggio dell’anno 1503. Lorenzo Pietro de’ Medici, dunque, è a stretto contatto epistolare e non solo col navigatore fiorentino. Accumula decisive informazioni sul Nuovo Mondo che probabilmente gli permettono di concepire ed organizzare, una vera e propria “propaganda divulgativa” inerente all’importante scoperta geografica. Non è una propaganda letteraria, pochi sanno leggere nel periodo. Per la prima volta in assoluto diventerà figurata la comunicazione dell’impresa, per immagini, a cui parteciperà Sandro Botticelli.
Perché proprio lui e non altri? Si è già detto: Botticelli è il “Dante della pittura”, e questo era riconosciuto già nel periodo della sua attività. Il pittore fiorentino era un “sofistico”, la sua acribia intellettuale lo portava a cercare e meditare profondamente su quanto doveva trasmettere attraverso la sua pittura. Si direbbe che sentisse fino in fondo la responsabilità della sua missione, perché di questo si trattava. Botticelli, inoltre, aveva senza dubbio stretti legami con la stessa famiglia dei Vespucci (non è casuale che il pittore sia sepolto nella stessa chiesa della famiglia Vespucci). Possedeva una profonda cultura umanistica e teologica, molto apprezzata all’epoca, soprattutto dai Medici. Botticelli era un “cronista”, anzi, meglio, un “documentarista” meticoloso. È apprezzabile, questa sua qualità, osservando proprio i documenti che produce. Si nota nelle continue modifiche, nei continui aggiornamenti e dunque ripensamenti “in corso d’opera”, che condizionano il pittore fiorentino. Un esempio cogente? Eccolo. Si può osservare nel dipinto denominato erroneamente la Nascita di Venere. L’ancella/vestale Flora/Florentia in un primo momento viene raffigurata con dei sottili calzari, che in seguito il Botticelli cancellerà. Inoltre il mantello, l’atlas, il piviale, che sta per velare, che sta per avvolgere le spalle della figura “scoperta” femminile, ossia la nuova quarta parte di mondo ancora incognita, da esplorare, ossia Gea, e non Ctonia, è un’aggiunta successiva. Sono dettagli questi probabilmente determinati e suggeriti dalle continue informazioni e aggiornamenti che fornisce direttamente Americo Vespucci che dal 1497 è in comunicazione, come già si è evidenziato, con Lorenzo Pietro de’ Medici. Le informazioni s’interromperanno il 20 maggio 1503: è, questa, la data della morte del nobile toscano. È questo il possibile termine temporale da cui partire per collocare l’inizio dell’esecuzione dell’opera Primavera È il momento nel quale Botticelli riesce a collocare nella profondità della trama pittorica quei dati mitografici e quelle informazioni geografiche in grado di “spiegare” l’evento legato all’ultima esplorazione di Americo Vespucci. È il quarto viaggio conclusosi nel giugno del 1504. È lo stesso periodo in cui troviamo il giovane cardinale Giovanni de’ Medici ricoprire la carica di Gran Priore nel monastero di San Deodato nei Vosgi in Lotaringia, dove si è stampata appunto la famosa mappa mundi del Waldseemüller. Giovanni de’ Medici vi soggiorna per quasi dieci anni a partire dal 1495, come scoperto qualche anno fa dalla professoressa Patrizia Licini43. È del tutto probabile che proprio al giovane cardinale venga assegnato il compito, da parte dello stesso papa Giulio II dal quale il monastero dipendeva, di rimpiazzare il compianto Lorenzo Pietro de’ Medici e dunque sostituirsi a lui nel portar avanti la committenza dell’opera botticelliana in oggetto.
L’opera pittorica Primavera presumibilmente sarà ultimata in concomitanza con la pubblicazione della Cosmographiae introductio del Waldseemüller: era la quarta domenica calendariale, era il 25 aprile dell’anno 1507. La quarta domenica pasquale all’epoca si apriva col seguente introito celebrativo: “Jubilate deo, omnis terra alleluia”. A questo punto ci sentiamo pronti per riformulare le titolazioni erronee attribuite in passato a queste tre opere. Iniziamo secondo cronologia con Venere e Marte, il cui vero titolo è: Il concepimento del Nuovo Mondo. Poi si ha cronologicamente la Nascita di Venere il cui vero titolo è la Nascita del Nuovo Mondo. Ed infine si ha la Primavera, la cui titolazione è Battesimo del Nuovo Mondo, ovvero “Jubilate deo, omnis terra alleluia”. Questa è la Storia…
Ed ora la parola la passiamo a “color che più di noi sanno”…
Note bibliografiche
1 Dal sito: Pietropolidoro.it.
Erwin Panofsky non era un semiologo e la sua terminologia è dunque molto differente da quella utilizzata in campo semiotico.
Quella che Hjelmslev chiama espressione è infatti per Panofsky forma e l’analisi formale è qualcosa che può essere, almeno parzialmente, sovrapposta allo studio del linguaggio plastico. Così l’iconologia viene definita come “quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori formali” (Panofsky 1955: tr. it. 31). Un’analisi di questo tipo avviene su tre principali livelli. Innanzitutto, è necessario affrontare il livello preiconografico, quello in cui si riconosce il soggetto primario o naturale. Esso si apprende “identificando pure forme cioè: certe configurazioni di linee e colori o certi blocchi di bronzo o pietra modellati in un modo particolare, come rappresentazioni di oggetti naturali, esseri umani, animali, piante, case, utensili, ecc.” (Panofsky 1955: tr. it. 33). Il mondo delle pure forme che così riconosciamo è il mondo dei motivi artistici.
Questa attività di riconoscimento si basa essenzialmente sulla nostra esperienza pratica, ma può alle volte richiedere il ricorso ad una conoscenza di tipo diverso. Può accadere, infatti, che un certo tipo di rappresentazione (per esempio, un oggetto staccato dal suolo) sia stato utilizzato in una certa epoca per indicare non quello che chiameremmo il suo “significato letterale” (in questo caso un oggetto che si libra in aria), ma, piuttosto, un fenomeno differente, come un’apparizione (e allora, nel nostro caso, un bambino raffigurato nel mezzo di un cielo blu non è un bambino che vola, ma l’apparizione di un bambino). È allora necessario, per non cadere nell’inganno dell’interpretazione “letterale” che la nostra esperienza ci propone, ricorrere ad una storia degli stili, che funga da fattore di controllo della descrizione preiconografica. Il passo successivo è quello dell’analisi iconografica, che ci permette, per esempio, di riconoscere un uomo con un coltello come San Bartolomeo o una figura femminile con una pesca in mano come una personificazione della Verità. “I motivi riconosciuti per questa via come portatori di un significato secondario o convenzionale possono essere chiamati immagini e le combinazioni di immagini sono ciò che gli antichi chiamavano invenzioni; noi siamo portati a chiamarle ‘storie’ e ‘allegorie’” (Panofsky 1955: tr. it. 34). Ma qual è la base dell’analisi iconografica? Essa si fonda sulla conoscenza delle fonti sulle quali si basano le raffigurazioni pittoriche e, quindi, sui testi letterari (in primo luogo la Bibbia) e la tradizione orale. Senza conoscere (direttamente o indirettamente) i Vangeli è difficile interpretare un quadro che rappresenta tredici persone intorno ad una tavola come l’Ultima Cena. Ma anche in questo caso la conoscenza delle fonti non è sufficiente. Ci sono dei casi, infatti, in cui la rappresentazione non è stata fedele al testo e, ad esempio, elementi di un tipo sono stati inseriti nella raffigurazione di un altro tipo. È necessaria dunque una storia dei tipi, una storia cioè dei differenti modi in cui, col tempo, “temi specifici o concetti sono stati espressi in oggetti ed eventi” (Panofsky 1955: tr. it. 41). Si arriva così all’ultimo livello, quello iconologico, in cui viene indagato il significato intrinseco o contenuto. “Lo si apprende individuando quei principi di fondo che rivelano l’atteggiamento fondamentale di una nazione, un periodo, una classe, una concezione religiosa o filosofica, qualificato da una personalità e condensato in un’opera” (Panofsky 1955: tr. it. 35).
L’analisi iconologica si fonda sull’intuizione sintetica, che Panofsky dice poter essere sviluppata più in un “profano di talento che in un erudito specialista” (Panofsky 1955: tr. it. 42). Eppure, vista la sua natura “irrazionale” e “soggettiva”, questa intuizione sintetica deve essere corretta “da uno studio del modo in cui, mutando le condizioni storiche, muta anche la maniera in cui le tendenze generali ed essenziali dello spirito umano sono espresse attraverso temi e concetti specifici” (Panofsky 1955: tr. it. 43). Studio che, con i termini di Cassirer, si potrebbe definire storia dei simboli.
A questo punto è chiara la differenza esistente fra iconografia ed iconologia. La prima è una pura descrizione e catalogazione di immagini, mentre la seconda rappresenta, per lo più, un’interpretazione dell’arte che possa interagire con le altre scienze umane. Panofsky paragona questo rapporto a quello esistente fra etnografia ed etnologia.
2 Sandro Botticelli è lo pseudonimo di Sandro Filipepi, nato a Firenze nel 1445, morto nel 1510. È sepolto nella chiesa di Ognissanti in Firenze, che si ricorda essere la stessa chiesa della famiglia Vespucci. È tra i pittori italiani uno dei massimi esponenti del Rinascimento fiorentino. Dopo l’apprendistato artistico, prima come orafo e poi presso la bottega di Fra’ Filippo Lippi, Botticelli lavorò con il Pollaiolo e alla bottega del Verrocchio. Qui ebbe modo di conoscere Leonardo da Vinci. È di questi anni la Madonna del roseto, 1468, e del 1470 è La Fortezza. Botticelli aprì una propria bottega in Firenze verso il 1470, e fu per quasi tutta la sua vita al servizio oltreché dei Medici, anche dell’aristocrazia cittadina. Alla corte di Lorenzo il Magnifico, Botticelli ebbe modo di conoscere filosofi dell’Accademia Neoplatonica come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. L’intento sincretistico di conciliare la cultura e il mondo classico con il pensiero cristiano erano il fondamento del pensiero neoplatonico. Al Botticelli si devono importanti opere a soggetto religioso raffiguranti la Madonna, come la Madonna del Magnificat del 1485 circa, la Madonna della melagrana del 1487, l’Incoronazione della Vergine del 1490, la Madonna e santi del 1485. Altre opere religiose sono il San Sebastiano del 1474 circa, l’Adorazione dei Magi una realizzata intorno al 1473 ed una realizzata in un dipinto del 1482 circa, un affresco con Sant’Agostino del 1480 per la chiesa di Ognissanti in Firenze. Nel 1481 fu a Roma con diversi altri pittori impegnato nella decorazione delle pareti della Cappella Sistina in Vaticano. Suoi sono il Mosè e le figlie di Jetro, La punizione di Core e Le prove di Cristo. Botticelli visse una profonda crisi spirituale negli anni Novanta del 1400. I Medici furono espulsi da Firenze nel 1494 ed il ferrarese Savonarola cominciò la sua predicazione pubblica contro i costumi corrotti. Di questo periodo sono le ultime opere del Botticelli come il Compianto su Cristo morto degli anni 1490/95, la Pietà intorno al 1495, la Crocifissione, intorno al 1496, la Natività mistica, del 1501. Di questo stesso periodo inquieto per il Botticelli sono i dipinti a soggetto profano come La Calunnia di Apelle del 1495, Le Storie di donne illustri del 1500.
3 A questo proposito si vedano le nostre numerose pubblicazioni disponibili nel sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
4 Domenico Ghirlandaio, al secolo Domenico Bigordi nasce a Firenze nel 1449 e muore nel 1494. È sepolto nella chiesa di Ognissanti in Firenze, che si ricorda è la chiesa sia del Botticelli sia della famiglia Vespucci. Domenico era il figlio di Tommaso Bigordi, orafo fiorentino rinomato per la pregiata fattura dei suoi monili d’argento, le “ghirlande” appunto da cui il soprannome, oggetti destinati alle acconciature femminili. Il Ghirlandaio fu allievo del pittore Alessio Baldovinetti, ma nella sua formazione artistica incise soprattutto lo stile di Giotto e dei grandi maestri del secolo XV: da Masaccio, ad Andrea del Castagno al Verrocchio. Lavorò anch’egli come il Botticelli per papa Sisto IV nella Cappella Sistina. Fu uno dei più importanti esponenti della scuola fiorentina. Noto per il realismo e per la perfezione del tratto caratterizzanti le sue opere, divenne artista molto richiesto per la Firenze ricca dell’epoca. Il Ghirlandaio era particolarmente apprezzato per i suoi affreschi, ma anche per i dipinti a soggetto religioso, che ritraevano spesso scene di vita fiorentina e ritratti di personaggi suoi contemporanei. Tra gli affreschi da annoverare la Madonna della Misericordia della Cappella Vespucci in Ognissanti a Firenze, risalente agli anni 1476/77, La vocazione di san Pietro e di sant’Andrea affrescati intorno agli anni 1481/82, per la Cappella Sistina, le Storie di san Francesco del 1485, questo affresco è considerato il suo capolavoro, ed ancora le Storie della Vergine e del Battista collocabile intorno agli anni 1485/1490. Dipinse pale d’altare come l’Adorazione dei pastori del 1485, la Madonna in gloria e santi intorno al 1490. Si deve ricordare che tra gli allievi del Ghirlandaio spicca l’artista più celebre del Rinascimento italiano, ossia Michelangelo.
5 Pancallo, 2011.
6 Veronica della Dora, 2015.
7 Quando si parla di tessuto, in genere non si pensa ad un dettaglio di fondamentale importanza. La struttura di qualsiasi tessuto è un intreccio ortogonale tra la trama e l’ordito. In buona sostanza si tratta di un reticolo, di una rete vera e propria che può diventare preciso strumento sia di misurazione sia di ordinamento. A questo proposito si consiglia di consultare i nostri studi come già ricordato in precedenza.
8 Con Presocratici si designano le scuole filosofiche sorte in Grecia prima di Socrate (469/399 a.C.). Presocratico non si riferisce solo ad un termine cronologico, bensì anche ad un punto di vista di problematiche. In genere si considera come riferimento la linea temporale fissata dallo Zeller (1814-1908), storico della filosofia. Lo storico distingue il prima e il dopo Socrate secondo il fatto che le prime scuole di pensiero si basavano su problematiche della natura e del cosmo, mentre con Socrate l’interesse filosofico si focalizza sull’uomo e quanto a questo connesso (pensiero, problemi etici, etc.). I presocratici si distinguono solitamente in pensatori ionici di Mileto quali Talete, Anassimandro, Anassimene, i seguaci di Ferecide e Pitagora, Eraclito, la scuola di Elea con Parmenide e Zenone, e con i fisici posteriori quali Empedocle, Anassagora e Democrito. Il pensiero presocratico affrontò in realtà diverse problematiche non riconducibili solo ai principi di natura o dell’origine, l’arché, delle cose. Benché già Aristotele definisse “fisiologi”, ossia “coloro che studiano la natura” i presocratici questi, tuttavia, rimandano a riflessioni profonde anche su questioni prettamente antropologiche. È pertanto complesso definire con precisione una possibile linea di demarcazione fra presocratici e filosofia nata con Socrate. È esemplare che Democrito, fosse contemporaneo non solo di Socrate, ma anche del suo discepolo Platone. Il pensiero democriteo atomistico oltre a proseguire sul sentiero tracciato dai fisiologi dimostra interesse anche per questioni legate alla morale, alla società e al linguaggio. Per diversi studiosi sarebbe più corretto, dal momento che già i “sofisti” di Atene prima di Socrate si interessarono ai problemi posti dall’esistenza umana, definire queste filosofie “pre-sofistiche” piuttosto che “presocratiche”.
9 Tolomeo (100-178 ca. d.C.), fu un astronomo, geografo e matematico greco. Visse ad Alessandria d’Egitto, dove compì le osservazioni a fondamento della sua teoria astronomica. Tolomeo s’interessò oltre che di astronomia anche di altre branche del sapere, quali la geografia, la musica e l’ottica. Di notevole importanza è la sua opera intitolata Geografia, dove sono introdotti i concetti di latitudine e longitudine. Questo testo, pur non essendo modello di attendibilità, influenzò generazioni di cartografi. Tolomeo, in quest’opera lasciò poi indicazioni su come realizzare una mappa del mondo, trattando il problema matematico della proiezione del globo sferico su una superficie piana. Tolomeo s’interessò di musica esponendo le sue concezioni in un trattato intitolato Armonici. Nella sua opera Ottica analizzò le proprietà della luce. Tolomeo si occupò anche di astrologia, scrisse la Tetrabiblos, testo riconosciuto come fondamentale fino al Rinascimento in cui Tolomeo tentò di fornire scientificità all’astrologia.
10 Per linee di massima si tratta della suddivisione a quadranti della Terra effettuata appunto secondo le linee guida di Claudio Tolomeo.
11 Anche se per i Greci il termine vento è traducibile con “anemos”, da cui il nostro “anima”.
12 “In medio stat virtus”, dicevano i filosofi scolastici medievali, la “medietas” aristotelica direbbe qualcun altro. Qui, probabilmente, per il pensiero sincretistico tanto caro all’Accademia Neoplatonica ficiniana, circolo culturale cui il Botticelli apparteneva, si tratta di entrambe le cose.
13Ad Atene, a Nord-Est dell’Acropoli e ad Est dell’Agorà storica, si trova l’Agorà romana. Si tratta di una piazza chiusa circondata da portici, con funzioni commerciali: è qui che si trova la “Torre dei venti”. È un edificio a pianta ottagonale, eccezionalmente conservato. La torre in stile romano è in marmo pentelico, è anche denominata “horologion” dal momento che racchiudeva un complesso orologio ad acqua alimentato dalla fonte Klepsidra situata sull’Acropoli. La struttura si ritiene risalente con ogni probabilità al II o I secolo a.C. anche se alcune fonti parlano di Andronico di Cirro quale costruttore intorno al 50 a.C. Alta dodici metri e larga otto e, come già detto, è a pianta ottagonale. Per scrupolo si ricorda che il numero otto è un numero sacro alla Madonna. Il tetto era sormontato da una banderuola a forma di Tritone, che indicava la direzione dei venti. Questi sono rappresentati nel noto fregio dell’edificio come otto divinità alate. Sono collocati sul lato rivolto ai punti cardinali della loro provenienza: Borea da Nord, Kaikias da Nord-Est, Euro da Est, Apeliote da Sud-Est, Austro da Sud, Lips, ossia Libeccio, da Sud-Ovest, Zefiro da Ovest, Skiron da Nord-Ovest. I venti sono tutti raffigurati ad ali spiegate mentre portano i doni, dai frutti ai fiori ai bacili d’acqua, tutti simboli della stagione in cui spirano. Curiosamente l’unico a sospingere una prua di nave stilizzata è proprio Lips, Libeccio.
14 Non si può e non si deve sottostimare l’importanza riservata al simbolismo del numero in simili opere d’arte che definire “sapienziali” è molto riduttivo. Si deve osservare pertanto che il numero totale dei personaggi in questa raffigurazione sono sei: Venere, Marte e i quattro fauni. Il numero sei è il numero della creazione dell’uomo: è nel sesto giorno, infatti, che Dio creò l’uomo. Il sei quindi rappresenta l’incompletezza, l’imperfezione, poiché ovviamente incompleto e imperfetto è l’essere creato rispetto al suo creatore. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù muore nel sesto giorno e con la sua morte si chiude la creazione dell’uomo vecchio e si apre la via al contempo all’uomo Nuovo ricreato. La nuova creazione continua così attraverso la vita di Gesù, l’uomo nuovo adesso ha la strada tracciata per raggiungere la sua pienezza di vita, accogliendo l’amore di Dio, la sua misericordia e i suoi doni con il compito di trasmetterli ai suoi simili. Il numero sei ripetuto tre volte, indica la Bestia, simbolo della massima imperfezione al suo stadio di completezza. Due è invece la divisione dell’unità, è il numero del dualismo, della contrapposizione, della coppia degli opposti. Il secondo giorno Dio separò le acque della terra dalle acque del firmamento; il numero due è il simbolo degli opposti come il peccato e la grazia, il sacro e il profano, il puro e l’impuro. L’importante valore simbolico del numero quattro sarà analizzato più oltre.
15 Le informazioni riportate in questa e nella precedente nota, sono tratte dai siti mimmademaio.com e Cathopedia.it. Il numero sette, e i suoi multipli, è un numero divino perché riferito al riposo di Dio dopo la creazione. Il Sabato è il settimo giorno nel calendario ebraico, giorno che la Legge rende sacro e inviolabile, dove non è consentita nessuna attività, pena l’inosservanza di tutta la Legge. Il numero sette si trova con grande frequenza nelle Sacre Scritture e ogni volta indica un’azione che si compie per volontà divina (Gerico cade dopo che si sono suonate sette trombe per sette giorni, e si è girato sette volte attorno alle sue mura. Con il tre e con uno il sette completa la triade dei numeri divini. Assolutezza, perfezione, completezza, sono tre affermazioni per la natura divina. Il sette è, sia biblicamente sia per la Chiesa, il numero della pienezza e della compiutezza di qualcosa strutturalmente unitario. Il sette è all’origine del numero della settimana. Il sette compare come cifra della perfezione. La Chiesa ha ripreso lo schema settenario per sue varie realtà: dai sette Sacramenti alle sette opere di misericordia corporali e sette opere di misericordia spirituali fino ai sette doni dello Spirito Santo.
16 Cristina Acidini, Firenzelibri, 2010.
17 La “mitografia” ossia la “scrittura dei miti”, è la sistematizzazione erudita e filologico-razionalizzante, quindi non poetica, dei miti. È una forma letteraria enciclopedica sorta nel periodo ellenistico come strumento esegetico dell’antica poesia che trattava argomenti tratti a sua volta dal ricco patrimonio mitologico greco.
18 Si ricorda che non è certo “solo” questa la titolazione voluta per il dipinto in discorso, si vedrà più oltre il titolo che in realtà, secondo gli scriventi, dovrebbe avere il dipinto.
19 Agnizione è termine giuridico che significa riconoscere, identificare, testimoniare. È uno degli elementi fondanti del teatro classico greco. Si vedano i nostri studi in merito sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
20 La conchiglia pecten è da sempre considerata un simbolo mariano. Si vedano, per gli approfondimenti necessari, come sempre, i nostri studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
21 È quantomeno doveroso precisare qui, che per le imprese marinaresche descritte in prima persona da Americo Vespucci e leggibili nella Cosmographiae Introductio, il vento di Sud-Ovest, il Libeccio appunto, in effetti riveste una grande importanza. La riuscita delle sue “Quattro navigazioni” (il numero quattro non è casuale nel contesto di questo studio, come si avrà modo di vedere più oltre), il cui resoconto è stato pubblicato appunto nella Cosmographiae Introductio la Domenica 25 Aprile 1507 a San Deodato (oggi Saint-Diè-des-Vosges) con l’autorizzazione del Presule dei Vosgi, infatti, come testimoniato da lui stesso, è stata resa possibile poiché: “…vento inter meridiem e Lebeccium ventum spirante cursu primo pertigimus”.
22 Hestia è divinità parigrado di Hermes. Dove si rappresenta Hermes per tradizione, infatti, si rappresenta anche Hestia. Hestia, divinità vergine del focolare ha come simbolo il cerchio ed ha funzione di riunire, ricongiungere quanto è stato disperso. Nel VI secolo d.C., Hestia veniva raffigurata ed intesa qual “Maria Vergine delle Grazie”. Si veda al riguardo l’Enciclopedia Treccani alle voci: Vesta, Estia, Hestia, Hermes, Mercurio.
23 Sono alberi d’arancio, si veda Aby Warburg, 1893.
24 Le zagare sono espliciti simboli mariani ben noti nelle funzioni matrimoniali: sono i famosi fiori d’arancio indiscutibile simbolo di purezza.
25 Si deve assolutamente ricordare che il cerchio, come si è detto in altra nota, è senza dubbio il simbolo identificativo di Hestia. Il Botticelli indica in modo preciso l’identità del personaggio mediante la figura geometrica del cerchio, tramite una corona, una circonferenza di luce in questo caso, quasi richiamando la scenografia specificata nel paradiso dantesco (si veda Divina Commedia, da Paradiso I, 58-63 in poi). Nei margini decorati degli antichi codici i santi erano raffigurati entro un’aureola, un nimbo di luce che emanava da tutto il corpo e non solo dalla testa, poiché tutta la persona era ritenuta santa, come in questo caso. È curioso che questo nimbo, questo cerchio di luce sebbene così evidente nel dipinto, e così denso di significati nel contesto, non si sia mai preso in considerazione o spiegato, fino ad oggi. Il Botticelli inserendo nella “selva oscura” l’evidente cerchio di luce retrostante all’immagine ieratica, inquadra scenograficamente il personaggio mettendone in risalto l’importanza. Questa, dunque, è con pochissimi dubbi Hestia/Maria Vergine. Più chiaro di così.
26 È l’iconografia classica attribuita ad Hestia, che poi sarà Vesta per i romani, come già specificato in precedenza.
27 Si tratta di una delle immagini più caratterizzanti della dimostrazione d’affetto tra una madre ed il proprio figlio, qui intesa quale Madre dell’Umanità. È la Madonna Misericordiosa, la tipologia più diffusa d’icona mariana. Si raccomandano i nostri studi chiarificatori in merito sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
28 Si veda, ad esempio, l’immagine mariana della scuola del fiorentino Benozzo Gozzoli, Firenze, 1484-1485, Fondazione Federico Zeri, Numero scheda 11777.
29 Dall’Enciclopedia Treccani, alla voce “face”: “face [plur. face]. - Significa “fiaccola”, “lume”. È presente due volte, con valore metaforico; in Pd XXVII 10 Dinanzi a li occhi miei le quattro face / stavano accese, si riferisce ai beati - Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo - e ne significa lo splendore della beatitudine; il plurale in -e non è provocato dalla rima, ma è forma antica, dalla -es latina, che ricorre anche fuori rima e in prosa. In Pd XXXIII 10 Qui se’ a noi meridïana face/di caritate, il traslato è duplice: la meridiana face è il sole a mezzogiorno, e la Vergine è come un sole di carità per i beati (“E perché il calor del Sole è quello che germina i fiori, l’erbe e le frondi, soggiugne ch’ella è in cielo meridiana face, un vivo e ardente Sole di carità”, Daniello).
30 Parrebbe quasi, e probabilmente lo è, una citazione dalla Divina Commedia dantesca, dove nel Purgatorio Beatrice appare a Dante. Curiosamente la scena si svolge proprio nel “Paradiso terrestre” nella tarda mattinata di mercoledì 13 Aprile (o 30 Marzo, secondo altri, della Domenica 25 Aprile secondo noi) del 1300: “… così dentro una nuvola di fiori…”. (Pg XXX 28 e seg.).
31 Si deve precisare che in questo dipinto, esattamente come nella Nascita di Venere, il presupposto vento Zefiro, come qui dimostrato, non sembra proprio esistere. È dunque consequenziale ritenere che nemmeno Clori, come erroneamente è stato da sempre sostenuto, sia inclusa in questa rappresentazione pittorica. Si ribadisce che né Zefiro e nemmeno Clori quindi sono parte di questo documento eccezionale pervenutoci.
32 La rappresentazione pittorica elaborata dal Botticelli sembrerebbe proprio rispecchiare o comunque trarre profonda ispirazione, ancora una volta, dalla “Divina Commedia” di Dante: “Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’, e fior gittando e di sopra e d’intorno, ‘Manibus, oh, date lilia plenis”. L’invocazione è da riferire secondo l’esegesi più accreditata al saluto d’accoglienza nel “Paradiso Terrestre” dell’arrivo di Beatrice. Gigli fiorentini, simbolo di purezza mariana sicuramente, compresi. Qui essendo l’invocazione al maschile, si può comunque considerare essere rivolta al Nuovo Mondo. Non crediamo serva traduzione o interpretazione ai versi della cantica del Purgatorio, XXX, 19-21. Si veda in ogni caso l’Enciclopedia Treccani.
33 Si deve necessariamente ricordare a questo punto l’importanza del significato che assume il nome A.M.E.R.I.C.A. nel contesto dell’avvenimento celebrato nei dipinti botticelliani. A.M.E.R.I.C.A. è un acronimo. È stato da noi ricostruito. Il suo significato, che ora assume significati ben più profondi, è quanto mai chiaro: Ave Maria Eden Regina Ianua Caeli Ave. Si vedano, al riguardo, i nostri numerosi studi sul sito di Diego Baratono oppure di Claudio Piani.
34 Informazioni tratte da mimmademaio.com. La simbologia del numero quattro, e suoi multipli indica la totalità dell’Universo e del Mondo, poiché quattro sono gli angoli della terra, quattro sono i venti principali, quattro sono i punti cardinali, quattro sono i fiumi che scorrono dall’Eden. Nel Vangelo (Gio 19, 28) dopo che Gesù è messo in croce (che ha quattro braccia), i soldati dividono le vesti ed il suo mantello (cosmico) in quattro parti. Quattro sono i Vangeli. Quattro le Virtù cardinali, quattro le età dell’uomo. Senza poi dimenticare, le “quattro navigazioni” condotte dal Vespucci verso il Nuovo Mondo, ovviamente.
35 Dante, Convivio, II VII 14.
36 Si veda, ad esempio, come già accennato l’Enciclopedia Treccani alla voce Mercurio, Ermes, Hermes.
37 Si veda l’Enciclopedia Treccani alla voce Ermete.
38 San Bernardo sarà la guida di Dante nella cantica del Paradiso.
39 Proclus, in Timaeum, ed. Dhiel, II 54, 28, 32 c.
40 Gabriele Giannantoni, a cura di, I Presocratici, Laterza & Figli spa, Roma-Bari, 1995, tomo 1, pag. 57.
41 Le varie interconnessioni esistenti tra Dio/Zeus/Amore/Cupido/Eros/Spirito Santo Attuatore, che potrebbero sembrare blasfeme a prima vista, sono invece frutto di meditato e calibrato studio da parte del Botticelli. È il prodotto evidente dell’applicazione della formidabile filosofia sincretistica ricercata all’epoca in ambito Neoplatonico, corrente cui il Botticelli, colto umanista, apparteneva.
42 Sapienza, 11.
43 Patrizia Licini, Pancallo, 2011.