Credo che la vita di ciascuno di noi sia un percorso unico e straordinario, credo anche che questa meraviglia sia dovuta essenzialmente alle persone che intrecciano il nostro cammino.
Personalmente sento di essere privilegiata. Ogni volto, ogni anima è un dono, prezioso. Per questo ho deciso di raccontarli, piano piano, uno ad uno.
Una donna, una vichinga, alta, bionda, asciutta, un carattere forte tanto quanto il suo aspetto fisico ma, dentro, c’è molto altro. Ve lo racconto.
Anya Bartels-Suermondt arriva a Madrid nel 1995 per prendere un anno sabbatico e, da quel dì, non è più tornata in Germania, suo paese d’origine.
La Spagna la accoglie ed oggi è la fotografa che ha un “accesso speciale” nel mondo della corrida, del flamenco e della musica.
La chitarrista Pepe Habichuela la definisce una "zingara tedesca". Mentre Anya dice di se stessa, scherzando, che viene da Cadice. Entrambe sono bugie ma, in qualche modo, sono anche la verità. Perché Anya Bartels-Suermondt è nata a Düsseldorf ma da quando è atterrata a Madrid ha smesso di essere di Düsseldorf.
Qualcosa di gitano scorre nelle sue vene, la sua vita è fatta di artisti, palcoscenici, strada e viaggi, da una parte all'altra del mondo. Anya è caleidoscopica ed in questo modo vede la vita e la racconta attraverso la sua macchina fotografica.
Una realtà che non è come sembra. Un gioco di specchi in cui quella realtà viene riflessa e distorta. Questa donna lo ha fatto nel 1995, atterrando in terra iberica, ha attraversato lo specchio della sua vita, lasciandosi alle spalle una Germania dalla mentalità incomprensibile e nella quale non si è mai riconosciuta. La sua "terra" è la Spagna.
“Della Germania posso dire poco. Sono nata lì e non ho mai capito la mentalità dei tedeschi. La mia anima, la mia mente e il mio cuore sono piuttosto latini che germanici. Provengo da una famiglia classica e conservatrice e forse è per questo che sono così ribelle e avventurosa. Ovviamente ho grandi amici tedeschi, ma questi non sono molto simili allo stereotipo tedesco. Come me, decorano la libertà dell'anima che è molto più zelante nei Paesi del Sud”.
Quando nel 1995 Anya Bartels-Suermondt seguì in Spagna suo marito, un manager di successo dell'industria farmaceutica, abbandonò la sua promettente carriera come giornalista della ARD. Ma a Madrid, si sentiva più sola che mai. Le mancava il suo programma televisivo, la squadra, gli amici di Berlino e la scarsa conoscenza dello spagnolo la lasciava letteralmente senza parole. La gloriosa idea di suo marito di sorprenderla con una grande macchina fotografica, ha dato il segnale di partenza per un nuovo percorso, inizialmente improvvisato, che è diventato rapidamente una sfida per la donna autodidatta e presto una professione, anzi una vocazione. Non tutti coloro che ricevono una macchina fotografica come regalo diventano inevitabilmente artisti fotografi. L’accesso iniziale alla scena artistica è stato seguito da venticinque mostre e sei libri illustrati. Poi il riconoscimento da parte della famiglia reale spagnola, esplicitamente da re Juan Carlos, che si è congratulato con lei per il suo successo.
Il secondo specchio per Anya è la lente della macchina fotografica. “Ricordo ancora la prima volta che ho camminato per le strade di Madrid con la mia Nikon, questa creatura nera compatta che giaceva così familiare nella mia mano, il senso del romanticismo on-the-road di Kerouac. E quando ho provato i miei primi passi laggiù nel "callejón", il corridoio circolare tra la tribuna e l'arena riservata ai professionisti e alla stampa, ero l'unica donna. Le prime mostre sono state discusse ed è stata evidenziata la visione femminile e "straniera" della tradizione più antica della Spagna. Ciò che voglio è mostrare il volto dietro la maschera, la verità dietro la messa in scena”.
È così che Anya si avvicina alla cultura dei luoghi. Adora il mondo e le persone. Pur rimanendo fedele a se stessa, cerca di capire tutto ciò che la circonda. E la fotografia la aiuta a vedere e a tradurre quella nuova realtà e ad attraversare, inconsapevolmente, il terzo specchio.
A quel tempo Anya Bartels-Suermondt era sempre in strada. Da un posto all'altro. Ed è stata proprio la strada ad insegnarle a parlare il castigliano, idioma ostico e sconosciuto. "Vai in un bar, in un museo, in una chiesa o in una casa di prostituzione e così conosci un posto", è la frase che un buon amico le ha detto. E lei lo ha fatto davvero. Ma ha sostituito le case di prostituzione con le arene. “Se fossi stata in Giappone, penso che sarei finita nelle palestre di sumo. Ma la Spagna è tori e toreri. Quello che mi attrae di questo mondo controverso e discutibile è unicamente l'anima, l’essenza. Di me posso dire che sono esplosiva. Piango quando devo piangere e grido e rido quando è il mio turno. E questo modo di essere si adatta sicuramente meglio in Spagna che in Germania", confessa.
Era talmente attratta da quell'universo sconosciuto della corrida che per capirlo a fondo decide di realizzare un documentario per la televisione tedesca con Manuel Díaz El Cordobés, Cristina Sánchez e il danzatore Antonio Canales come protagonisti. Grazie a questo progetto, afferma di essere stata "adottata" da quel mondo ancora lontano e chiuso nei suoi confronti. Una straniera disorientata che parla a stento il castigliano ma molto attratta da ciò che le sta davanti, Anya entra così nel cuore degli spagnoli.
Quando sei interessato alla Spagna per un suo aspetto specifico caratterizzante, vieni apprezzano perché gli spagnoli sono molto orgogliosi del loro paese e della loro cultura.
Anya afferma di non aver mai deciso nulla. Che tutta la sua vita è una "coincidenza totale" in cui le cose accadono. Ed è così che ha scoperto un giorno, nel 1997 vedendolo in una corrida, José Tomás. Ha iniziato a seguirlo e a fotografarlo ma sempre alla distanza segnata dalla sua timidezza. Fino a quando una sera a Barcellona Antonio Corbacho, istruttore di José Tomás, la invita ad una cena.
Tomás è un personaggio sui generis, si esibisce una o due volte a stagione, da solo. Non dà interviste, impedisce alle tv di riprendere le sue corride. Quando è nell’arena, dimentica di avere un corpo. Ed è ormai un mito.
Ma quella notte il ghiaccio si spezza e Anya stabilisce un rapporto sempre più stretto e unico con il torero e il suo ambiente circostante. Non è mai stata, come chiarisce, la fotografa ufficiale di José Tomás, ma "una che ha insistito per fotografarlo". Lei è, oggi, una delle pochissime persone che possono avvicinarsi al torero e anche all'uomo dietro il mito che è diventato. “Quando l'ho incontrato la prima volta, aveva una luce particolare negli occhi e quella mente privilegiata. Ora è in un punto quasi Zen. Un incredibile equilibrio e uno sguardo che ha un impatto così forte che non sai nemmeno cosa dire" - così lo descrive Anya - “È molto più di un torero; ce ne sono di ottimi, ma lui è lì. Appartiene ad un altro mondo. È come un antico torero, sembra che provenga da un'altra epoca, per il suo aspetto, i suoi gesti e la forza del viso."
La passione per Tomás l’ha portata a dedicargli ben due libri fotografici: uno nel 2002, l'altro nel 2009. Nelle immagini di Anya si apprezzano i dettagli dai quali emerge il personaggio.
Secondo me, la fotografia in bianco e nero intensifica le essenze del motivo fotografato; possono essere le rughe nel primo piano di un viso, ma anche la tensione drammatica di un momento. La corrida, ad esempio, è piena di colori intensi ed è per questo che è così fotogenica. Vedo e fotografo quasi esclusivamente in bianco e nero. Il rituale tradizionale pieno di tensione, drammaticità, erotismo, pericolo e bellezza è per me senza dubbio una scena appassionata e tesa in bianco e nero.
José Tomás non è l'unico torero che ha fotografato, nel lungo periodo, sia all'interno che all'esterno dell'arena. Lo ha anche fatto con Cayetano Rivera Ordóñez per un altro libro, con Morante de la Puebla o con Iván Fandiño, morto proprio durante una corrida nel 2017.
Ma con José Tomás, senza averlo previsto, il percorso di Anya Bartels-Suermondt è cambiato. Perché lavorare con lui le ha aperto nuove porte dandole accesso, come se fosse un videogioco, a schermi imprevisti.
Questo è accaduto, ad esempio, con Paul Simonon, un membro dei The Clash. Simonon, è un pittore dalla nascita che si è dedicato a suonare "per molti anni e male il basso”, come lui stesso sostiene. E come pittore ha voluto trarre ispirazione dal mondo della corrida spagnola e così è arrivato ai suoi libri fotografici di José Tomás. Un'amica comune li presenta a Madrid ed entrambi stabiliscono un rapporto di stima reciproca che le ha poi permesso di fotografarlo nella sua casa di Londra.
Questo è accaduto anche e soprattutto con Diego El Cigala, grande fan delle corride, che dopo aver visto le sue foto ha deciso che quella donna straniera lo ritraesse, tanto da diventare la sua fotografa ufficiale. Lo segue nei tour, nei viaggi, nei dischi. Nel 2011 realizza per lui un libro che pesa quattro chili di foto: Garganta de Arena. Il loro rapporto è intenso e profondo, Anya appartiene alla sua famiglia.
"Non avrei mai pensato che il mondo della fotografia potesse catturare così tanto", afferma El Cigala degli straordinari scatti di Anya. “Lavorare con lui è meraviglioso, perché succede sempre qualcosa. Non c'è giorno che vada come previsto. Diego El Cigala è una persona molto naturale, sa condividere la stessa cosa nel palazzo di un presidente come in una strada di Tokyo quando, per caso, incontra un mendicante che indossa più anelli e amuleti di lui”. Ribadisce Anya.
Tra Diego e Anya non ci sono quasi limiti, il fotografo e il soggetto fotografato sono nello stesso cerchio. Soltanto qualche volta le ha detto di dargli un paio di minuti. Con altri personaggi, invece, come con José Tomás, c'è un chiaro limite posto dalla situazione perché, entrando in arena, il torero mette in gioco la sua vita. Una forma di rispetto assoluto, un silenzio condiviso che si trasforma in una simbiosi unica tra i due. "Uno sguardo da lui è abbastanza per me e mi ritiro con la macchina fotografica." Afferma Anya.
Grazie a El Cigala, Anya ha la possibilità di varcare un'altra porta, un'altra dimensione straordinariamente autentica: quella del flamenco. “Perché se sei la ragazza di Diego - come dice lei ironicamente - "entri nel mondo zingaro e nel flamenco e le persone ti rispettano e si prendono cura di te. Voglio catturare il bolero di coloro che fotografo. Non voglio fotografare persone o fatti, ma emozioni allo stato puro. Voglio fotografare quelle vibrazioni uniche. E non so nemmeno se sono fotografabili. Ma poiché sono in continua conversazione con me stessa, è quello che sto cercando di fare. Io guardo, sempre, il nascosto dietro l'ovvio", spiega.
L'Habichuela, con Pepe e Josemi Carmona, la famiglia Morente, Farruquito, Pitingo e tanti altri. Molti personaggi sono stati di fronte all’obbiettivo di Anya, soprattutto nei momenti di privacy degli spogliatoi, dove a volte c'è vino e risate ma anche tensione, paura e preghiere e dove il fotografo deve giocare per catturare quei momenti senza essere ritratto negli specchi di quelle stanze. “Ho sviluppato una tattica nel corso degli anni - sorride - per rendermi quasi invisibile mentre scatto foto!”.
Lei si muove in molti mondi. Questi includono oggi, a parte le corride e la musica, che non si limita al flamenco, anche la boxe, il wrestling e l'architettura.
Universi paralleli alla corrida e al flamenco che non si scontrano. O sì, perché lo fanno nel campo delle emozioni che la tedesca usa per raccontare e in cui si sente "schiacciata" da ciò che contempla. “Ora è giunto il momento di fare cose nuove. Voglio imparare. Sono in una fase della mia vita in cui sento il bisogno di nuove sfide. Non cambierò né lascerò mai la Spagna. Ma forse me ne andrò per qualche tempo”. La fotografa parla quasi come se stesse pensando ad alta voce. “Dopo anni senza decidere nulla, come dicevo, in cui le cose emergevano più o meno inaspettatamente, ora è arrivato il tempo in cui si ripetono e questo mi preoccupa. Ho bisogno di qualcosa di nuovo. Perché vivo una stagione piuttosto statica. È il momento di prendere finalmente delle decisioni ...".
Ma lo dice, a quanto pare, senza troppa convinzione. Dopo tutto, se ha fotografato toreri, fenicotteri e musicisti con accesso privilegiato, è stato senza averlo proposto. Come essere una fotografa, quasi pura possibilità o destino prefissato, a seconda della lettura del suo passato. O come il fatto che, rivela, non sa a cosa servano le sue macchine fotografiche poiché non ha mai fatto un corso per imparare.
“Scatto foto in modo istintivo - confessa - il maestro Helmut Newton è il vero responsabile della mia mancanza di un corso di tecnica fotografica.”
Una sera il fotografo Helmut Newton, insieme a Richard Avedon suo grande riferimento, è stato ospite del programma televisivo tedesco a cui Anya ha lavorato e a cui è seguita una cena. Anya, superando la sua timidezza, ha scattato alcune foto e le ha mostrate a Newton. Newton, masticando, guardò di lato le foto senza dire nulla. Per superare l’imbarazzo Anya aggiunse che stava pensando di seguire un corso. Newton ruppe il suo silenzio rispondendo: "No! Non farai un corso fotografico. È vero, vedo che non hai la benché minima idea della tecnica. Ma la tecnica arriva automaticamente. Tu hai un buon occhio. Vai a fare foto e usa la tua anima sopra il tuo sguardo e vedrai." Un no secco, clamoroso. Poi la guardò e le confessò che anche lui non conosceva la tecnica e che se ne occupava l'esercito di assistenti con cui lavorava. E le fece promettere che non avrebbe mai seguito un corso. Lei, lo promise.
Oggi sente che è il momento di prendere delle decisioni ma non prova nemmeno a prometterlo a se stessa.
Meglio aspettare che le cose accadano di nuovo. In modo inaspettato. Come è sempre successo. È così che, all'improvviso, si attraversa un nuovo specchio.