Voci in campo.
Fuori dal teatro, ragazze e ragazzi.
È un momento di pausa nelle prove della nuova Trilogia d'autunno di Ravenna Festival.
Il progetto Verdi-Shakespeare mette in scena, con la regia di Cristina Mazzavillani Muti, tre nuove produzioni di Macbeth, Otello e Falstaff.
Entro.
La platea è in penombra.
I cantanti, le cantanti, il coro sono in attesa.
Si alzano leggere le voci che orientano l'evento.
"Vittoria in palcoscenico, per favore" e ancora " aspettiamo Vittoria". Vittoria, in arte Lady Macbeth, arriva e allora, "Attenzione, silenzio in palcoscenico e in sala. Pronto maestro". Ora riconosco la voce di Cristina, "Adagio, ragazzi, adagio. Non dobbiamo neanche capire quello che succede" e ancora, " La luce, Giordano. È un po' più indietro la tua luce, Giordano. Le Giovanne d' Arco le voglio tutte a petto aperto. Voglio vedere della carne, altrimenti vedo solo uomini! Alzate la testa tutti insieme, movimenti lenti. Dondolio. Tutti.
L'avevamo tolto, ma mi manca molto. Quando le signore sono streghe, mi raccomando i cappucci. State compatti, state compatti. Il coro si apre solo dopo".
Sussurri e continui assestamenti. Trame e orditi che costruiscono la tela dell'opera.
Sulla scena, intanto, dal buio nasce, rivisitata, la luce di Caravaggio e il canto e l'azione mi sembrano inni alla bellezza. Le figure sono tagliate da luminosità che evocano a volte profondità marine, altre volte foreste intricate.
Un bene comune
Cara Cristina, ieri sera mi hai detto di venire a trovarti alle prove.
Ci vediamo raramente, ma, quando accade, tra di noi si crea uno stato di profondo coinvolgimento emotivo, affettivo, intellettuale.
Credo sia uno stato di grazia.
Oggi non sono qui per un'intervista, non è il mio lavoro. Sono venuta a vederti in azione. Da alcuni anni vengo a sentirti presentare il Ravenna Festival. E tutte le volte rimango affascinata dalla tua persona.
Il Teatro Alighieri è pieno di gente e conversi con il pubblico come se fossi a casa tua in compagnia di amici. C'è in te un'autorevolezza che nasce da passioni autentiche, passioni che hanno la loro origine lontano nel tempo, in una infanzia ricca di doni.
Credo che la differenza tra te e gli altri oratori stia proprio nella potenza di un pensiero che riesce a prendere la forma e la sostanza di un bene comune da condividere.
Verso il 2011 ho dato una bella accelerata al mio lavoro e vedo che anche tu hai fatto la stessa operazione. Andiamo di trilogia in trilogia.
Ora a me interessa conoscere il percorso creativo che ti ha condotta a mettere in scena tre opere di Verdi a breve distanza dalle altre tre, con una energia che a questo punto è in grado di spostare montagne e aprire il mare. Insomma, mi evochi eventi biblici.
La lirica, per merito dei miei genitori, ha accompagnato la mia infanzia, poi è rimasta a lato, ma in questo momento rientra prepotentemente nella mia vita attraverso la tua persona.
Mi è stato sufficiente vedere poche ore di prove per comprendere che, partendo da dove ti trovi ora, con tutti i mezzi che le nuove tecnologie ti possono offrire e consapevole che anche Verdi le avrebbe usate, “hai messo in opera tutta te stessa" per donarci la fatale, essenziale qualità dell'opera di Verdi e di Shakespeare in un'unica confluenza.
Quando dico "tutta te stessa" intendo il carico straordinario di esperienze, anche sofferte, ma sempre guidate da intelligenza, sensibilità, ironia, creatività diffusa, capacità di unire e coraggio anche nel rimanere sempre fedele alla propria essenza.
Il mondo che in questo momento stai evocando è il mondo del tempo e della memoria partendo da ciò che è significante per te, ora.
Proprio come ha detto Goethe: "Tutto ciò che è stato prima di me è mio".
Infatti credo che la contemporaneità prenda volentieri ciò che è remoto e che poi dalle mani dell'artista viene rinnovato e ravvicinato. E ora tu qui porgi, comunichi, doni.
Da diverso tempo nel mio lavoro, anch'io, realizzo una sorta di comunità dell'arte nella quale le diverse discipline si incontrano per realizzare un'idea dell'essere insieme, dell'operare insieme che è il senso vero di fare le cose. Do forma e sostanza a questi eventi in luoghi che mi appartengono affettivamente e che non posso dimenticare, a meno che non dimentichi me stessa. In Giuliana Anicia è stato il mare che continua inesorabilmente a rispecchiarsi nella mia persona. In Gli alberi erano Dei è stata la passione e il lutto per la pineta colpita a morte. E nel terzo, è stata la valle che da tanto tempo ho posto al centro delle mie giornate come fonte di continua ispirazione. Collaborano con me artiste e artisti "migranti" disposti a lavorare in luoghi per me fatali. Nel coro sono presenti amiche, amici, amate figlie e nipoti, ma vorrei lì, a condividere commozione, paure e riconoscenza, tutta la mia genia.
Ritorno al tuo lavoro.
A parte la grandezza di Verdi che qui si unisce a quella di Shakespeare, in questi giorni di prove, ho assistito all'essenza del fare insieme. Un piacere dell'anima, un ritorno alla sacralità della mia casa. Grazie del dono.
E io non finirò mai di imparare, perché le tue regie sembrano punte di iceberg e sotto senti che c'è un mondo ricchissimo di armonia, di contrasti, di passione e di drammaticità, non priva di stoccate ironiche... c'è la vita.
27 ottobre 2013
La casa
Ieri pomeriggio, alla fine delle prove, abbiamo deciso di incontrarci questa mattina alle 10, a casa tua.
Sono arrivata puntuale. La casa porta la tua impronta; ricca di spazi, di verde, di quadri, di fotografie e di stupendi oggetti africani. Sì, nel cuore di Ravenna, frammenti di terra africana. Al centro di un ampio corridoio, una lunga striscia di sabbia variopinta.
Mi chino ad osservare meglio.
Sono ciotole che contengono terre di deserti lontani. In ogni ciotola consistenze e toni diversi. Scorrono tra le mie dita velluti, ciprie, sete. Luce, spazio, quiete. Dopo questo mondo, l'altro, lontano, ora è qui.
Il tempo si ferma. Silenzio, nell'assenza di suoni superflui.
Rientro dal deserto, ci sediamo "nella mensa" e parliamo liberamente. Quasi subito mi rendo conto che devo registrare. Per fortuna ho cliccato i tasti giusti. Prendo anche appunti perché questa mattina sono qui soprattutto per ascoltare.
Ora desidero conoscere la tua strada, che, lo so, ha molte confluenze con la mia.
In uno slancio di apparente incoscienza penso che tra te e i due "Grandi", in fatto di genio, non c'è nessuna differenza. La genialità umana, infatti, ha molteplici sostanze e si muove in regioni diverse. E la registrazione parte con un attacco sul tema del Divino.
"Genio" e "Divino" e non siamo folli.
Cristina Mazzavillani Muti
Il divino che è in noi
Voglio dire che tutta la vita cerchiamo il Divino che è in noi.
Quando ci interroghiamo sul perché di eventi che avvengono in noi, il Divino è qui.
Allora tutto quello che forma il Divino è l'uomo, è l'umanità. Dell'umanità fanno parte punte massime come Verdi e Shakespeare. Se abbiamo paura di avvicinarci a questi personaggi perché geni, li rendiamo intoccabili con del gran "cicisbeo" che non serve a nessuno e non facciamo altro che allontanarli. Ci sono persone semplici che magari si sentono fragili, ma sono curiose e desiderano avvicinarsi al mondo dell'arte con la collaborazione di altri, e se gli altri rendono difficile e complicato il loro percorso, queste non arriveranno mai alla visione artistica.
Credo, allora, che sia necessario far riemergere sentimenti fanciulleschi. "Lasciate che i bimbi vengano a me" l'ha detto Gesù e voleva proprio dire, "guardate che i bambini mi capiscono meglio di voi che ormai vi siete costruiti sovrastrutture impressionanti dove io non riesco più ad entrare. Rimanete fanciulli. Fate in modo di rimanere con un animo puro e semplice, disposto all'accoglienza". Nel momento in cui, con tutto il nostro sapere, non vogliamo mostrare noi stessi con le nostre fragilità, per avvicinare gli altri ci costruiamo maschere e scudi.
È un sistema che allontana l'umanità dall'umanità.
Il teatro dei burattini
Così, se ritorno alla mia infanzia, ritorno al teatro dei burattini. Un teatro che affrontava tutto, da Verdi a Manzoni, a Goethe. Teste di legno, che con i loro poveri mezzi arrivavano in questi piccoli centri di paese dove forse la televisione ancora non c’era e portavano la testimonianza di quello che stava accadendo: il passato, il presente e un passo verso il futuro.
Io, che il teatrino l'ho frequentato, ho avuto modo di capire che l'importante è comunicare gli uni con gli altri. In poche parole ciò che conta è essere un tramite. E il regista è un tramite.
E io questo compito me lo sono trovato un po' incollato addosso, perché tutta la mia vita è stata come un segnale che potevo essere una interlocutrice. Forse per me è stato abbastanza facile per l'influenza di mio padre, forse perché ho visto agire altre persone in questo modo. Quale possa essere il risultato non lo so, ma che, come scrivi tu, io crei un mezzo per stare insieme, per riunire, sì, questo me lo riconosco.
Il rischio
Per raggiungere in questo modo gli altri occorre amore, rispetto e tanto coraggio altrimenti non ci apparterrà mai niente. Di che cosa viviamo se esitiamo di fronte al rischio? Con queste tre opere mi sono presa un rischio.
“E perché allora, mi dice sempre mio marito, se ti rendi conto del rischio che corri, lo fai... ?Perché il mio metodo mi dà la possibilità di pensare che siamo un insieme. Tutti questi ragazzi sono felici di salire sul palcoscenico, e chi fa il mimo, e chi fa il coro, e chi suona in orchestra e chi canta... Tu non sei mai venuta di sopra alle prove dei cantanti, anche lì vedresti un'altra pagina dell'impegno di questi giovani, quando spieghi le varie fasi, la parola e la maniera di dire quella parola. Certo, ogni tanto c'è qualcuno che evita di mettersi alla prova, quello non interessato dice “io lo so già, perché dovrei mettermi alla prova di nuovo?”
Niente accade per caso
E ora ho scoperto questo Martini dal talento eccezionale e pensa che nessuno me ne aveva mai parlato, ma il segnale bello è che la Cassa di Risparmio regalò a noi clienti questo libricino di Spiridione Martini che disegna Dante. Sfogliandolo pensai “questo è un genio... guarda com'è adatto al Macbeth”, faccio un'indagine e scopro che è innamorato del Macbeth, ha disegnato tutto il Macbeth shakespeariano... Allora ho pensato “è lui!” Segnali, nei segnali stai attenta a come van le cose... Ha disegnato delle streghe, ha disegnato un Macbeth strepitosi, ti dirò che il mio Macbeth è stato influenzato moltissimo da questo signore... Era già sulla mia strada, l'ho trovato quando la mia strada era già un po' tracciata così, ma non avevo il coraggio di percorrerla fino infondo.
Niente accade per caso, al momento giusto arrivano le cose, sta a noi poi riuscire ad afferrarle. C'è chi sta attento, chi è sempre sensibile. Chi ha i pori aperti e tutto gli entra dentro. C'è anche però chi è abituato ad essere chiuso per tante ragioni, magari nemmeno per colpa sua, c'è sempre quell'infanzia di cui parlavamo che gioca le sue carte.
Prima, donne e bambini
Appropriarsi dell'infanzia dei bambini è il delitto più grande, perché rubi qualcosa che è il lievito di tutta la vita. Quando mi fai pensare e ricordare Giovanna d'Arco, vedo mia mamma, mia nonna, la mia bisnonna, la sorella della mia mamma che non chiamo neanche mia zia, tanto era la sorella della mia mamma. Le vedo là schierate, il plotone delle donne che avanza, qualcosa che è di una potenza, di una strepitosa vitalità.
La solitudine
Voglio aggiungere che sono anche una solitaria, una beduina, disposta a tutto, al vento, alla sabbia, soprattutto alla solitudine, che significa anche il confronto con se stessi. Beato chi ama la solitudine, significa che ha un bel mondo dentro con cui vivere. Chi però ha questo bel dono di essere compagno di se stesso, lo deve poi ridonare per averne completamente il piacere. E' tutto un discorso di vasi comunicanti: io ho bisogno del mio silenzio per arricchirlo in qualche modo e poi donarlo e poi di nuovo riempirlo... e così scorre la vita.
La mensa
Questi ragazzi li ho scelti, li ho ascoltati, li ho portati piano piano nel mio concetto di come dovevamo preparare questa bella “mensa”, mi piace parlare di mensa… Perciò gli ho parlato, li ho conquistati, ho cercato di tirar fuori il meglio di loro stessi. Poi te li ritrovi sul palcoscenico, tutto il lavoro che hai fatto prima è lì... non se ne è andato, anzi quello forse è l’ultimo atto di un lungo discorso che è avvenuto prima, altrimenti non sarebbe successo niente su quel palcoscenico che potrebbe anche diventare proprio un luogo di sofferenze e basta. Se le persone non si incontrano e non si capiscono, l'esperienza potrebbe essere distruttiva, soprattutto per parti difficilissime come quella della Lady Macbeth, o di Otello, o di Falstaff e di tutti i personaggi della commedia dell’arte vista dal vecchio Verdi e tirata fuori da tre o quattro opere di Shakespeare. Quindi lì c’è stato un altro genio che è Boito, non dimentichiamo Boito, cos’ha cucinato Boito! Cos’ha messo in pentola Boito per Verdi attraverso l’Enrico IV, attraverso le Allegre Comari di Windsor, attraverso Sir John Falstaff: ha fatto un pot-pourri di genialità.
Non a caso una delle più belle pagine che sono state seminate per chi crede e per chi non crede è proprio l’Ultima cena, quando tu vedi Cristo a tavola che spezza il pane, anche lui ha avuto bisogno di questo simbolo, e a quella tavola c’erano tutti: santi, traditori, c’eravamo tutti noi a quella mensa, ogni apostolo rappresenta una fetta d’umanità.
Io Banco lo faccio diventare un martire cristologico, è più forte di me, quando Banco arriva col dito teso verso Macbeth, Shakespeare si inventa un brindisi, quindi c’è la tavolata e quando lui, Banco, è avanzato, ecco Cristo che avanza. Mentre tutti lo fan sparire, io lo faccio sedere a tavola, non preparo mai tutto a tavolino perché sono aperta al cambiamento, ai segnali.
Nella mia vita, la vocazione
Ce l’ho da sempre, da bambina, questa mia vocazione, perché ognuno di noi nasce con delle spinte ed è inutile non ascoltarle. Se poi ti capita di avere qualcuno in famiglia che ha altrettante vocazioni e passioni, diventa come l’imitazione di Cristo e l’imitazione dei tuoi genitori che hai ammirato, perché erano testimoni di una capacità di amicizia. Questa vocazione mi si è espressa fin da piccola perché se ero a scuola, ero quella che doveva far di tutto per far cantare dei bambini. Quando ho iniziato ad avere qualche anno in più, dai dieci ai dodici, fra i 5 figli, mio padre ha scelto me per andare in giro coi burattini a fare spettacolo nei vari ospizi, nel Polesine e ovunque ci fosse qualcuno bisognoso di un sorriso. Poi c’è stato bisogno di fare lo scoutismo al femminile e chissà perché il vescovo di allora, avevo diciotto anni, mi disse “Cristina vuoi fare il capo scout?” Senza essere mai stata guida scout, quindi mi son dovuta inventare un mondo che per me non esisteva.. immagina una che non ha mai fatto la guida, non sa neanche che cos’è, perciò prendi il libretto, cominci a studiare e via a far campeggi, io diciottenne con quelle mamme che mi affidavano le tredicenni e le dodicenni...
Poi nello sport io piccolina dovevo fare il lancio del disco, il lancio del peso, del giavellotto, tutte le cose più pesanti perché avevo una notevole elasticità. Non eccellevo in niente, ma avevo lo stile per poter far tutto: ero il famoso jolly e tutte le cose che le bambine non facevano, le facevo io. Nei giochi della gioventù ero in tutte le discipline, sono cresciuta con una mentalità multidisciplinare, adesso che mi ci fai pensare.
In conservatorio ero sempre io che dovevo organizzare i concertini, i gruppi… volevo cantare nella mia vita e ho fatto tutto tranne che quello, perché la vita è fatta così.. ho proprio rinunciato per la famiglia. Dopo ho conosciuto un bel ragazzo pieno di talento il quale era talmente chiuso a riccio e talmente pessimista nei confronti del futuro della musica che mi sono sentita di dover organizzare cose anche per lui, una specie di Giovanna d’Arco al suo fianco che gli diceva “no guarda che il mondo è migliore di quanto pensi”. È una specie di vocazione che io ho assecondato e mi sono impegnata fino in fondo.
A quattordici anni ero a Venezia da sola per studiare canto, dopo tre anni sono passata al conservatorio Verdi di Milano, dove poi ho conosciuto Riccardo, dove mi sono diplomata, dove ho debuttato anche... ecc.ecc. poi mi sono sposata e ho mollato tutto e per venti anni ho fatto moglie, madre e valige.
Successivamente il sindaco di Ravenna mi ha chiesto se si poteva fare qualcosa per la città e come tu sai io ho detto di no, perché ero troppo impegnata, poi invece, ho accettato, spinta questa volta anche da mio marito, che prima non era per niente d'accordo, perché se si mette su famiglia uno dei due ha da far famiglia. Sono sicura che la mamma è la figura indispensabile a tenere la mensa.
Nel 1980 il sindaco di Ravenna mi ha richiesto questa cosa e così nel 90 è nato il primo Festival e adesso sono 25 anni, in realtà per la città sono 25 anni, ma per me sono 26, perché nel 1989 ho lavorato per la realizzazione del primo festival del 90.
Non dimentichiamo tutte le ore che ho trascorso ad ascoltare le prove di mio marito nei vari teatri del mondo: pur ascoltando solo, vivevo e discutevo con un artista e non ero ferma, e dentro di me probabilmente, allo stesso modo dei bambini ero come una spugna, assorbivo tutto dai registi, dai grandi solisti, e da mio marito stesso che è un personaggio straordinario. Questa continua introspezione nel mio silenzio d’artista,
perché in fondo io mi riconosco un’anima di artista, attraverso tutti questi personaggi eccezionali che incontravo, faceva crescere esperienza e sensibilità anche se io non ero protagonista.
La richiesta del sindaco in quel momento, fu un altro segnale in una vita che si stava sempre più riempiendo.
Si semina energia fino a che qualcuno nel momento giusto e magari senza nemmeno rendersi conto di ciò che sta facendo, ti mette in campo, e allora via che si parte... ma io penso di non essermi mai fermata, tutto sommato.
Non credo che questo clima sia molto diffuso, vedo sempre competizioni e penso che la nostra sia un’oasi felice proprio perché c’è una donna che vede come risultato positivo solo l’insieme di tante energie, non un’energia a scapito di tutti, ma tante energie per arrivare all’obiettivo finale, tutti insieme al meglio delle nostre possibilità.
La mia maniera di lavorare è particolare, perché per prima cosa a un ragazzo sia pure timido, magari con una bella voce, io dico “ fammi capire chi sei, adesso che ti ho sentito so che hai una bella voce, che potresti fare, che hai una buona preparazione tecnica, che hai studiato. Ora devi farmi capire come interpreteresti il tuo personaggio... Allora, come faresti tu questa cosa? Come faresti tu il sonnambulismo della Lady”. Allora lo guardi e nei gesti o nelle pause tu intuisci quale può essere il suo lato migliore o anche il suo lato più fragile. Perciò il mio compito consiste nel valorizzarlo e nel farlo migliorare e nel frattempo miglioro anch’io, perché sto facendo un lavoro psicologico che serve a me, alla persona che ho di fronte, e in questo modo veramente viene fuori il meglio di entrambi.
Se invece tu rendi inaccessibile all'altro un traguardo, hai distrutto un piccolo miracolo che poteva realizzarsi.
Mariella
Sono entrata a casa di Cristina con la nebbia e esco col sole. Cristina dice: "Sono state le nostre parole che hanno fatto uscire il sole!" Mi piace pensare che sia andata così. Salgo sulla bicicletta e mi dirigo verso l'argine dei fiumi uniti. Confluenza. "Prova a capire di quale dei due è l'acqua."