Dal naturalismo post caravaggesco nelle diverse interpretazioni degli artisti napoletani fino all’espressività pittorica del linguaggio barocco. A Prato, fino al 13 aprile, i dipinti di Palazzo Pretorio in un dialogo con le opere della Fondazione De Vito raccontano l’impatto determinante della pittura di Caravaggio sugli artisti di scuola napoletana del XVII secolo e il percorso espositivo offre una sequenza cronologica, stilistica e tematica di grande suggestione.
“Non si tratta di un’esposizione sulla pittura napoletana del Seicento” spiegano Nadia Bastogi e Rita Iacopino, le curatrici dell’esposizione organizzata dal Comune di Prato in collaborazione con la Fondazione De Vito. Ma per la prima volta il pubblico può ammirare alcuni dipinti significativi della collezione privata, nel confronto tra alcune opere di matrice napoletana del Museo e le sedici tele dalla raccolta.
“I rapporti tra l’antico collezionismo pratese e quello contemporaneo dell’ingegnere De Vito appaiono evidenti in quanto ispirati entrambi dalle comuni tematiche e da una particolare attenzione alla qualità delle opere, così come puntualizzato nei vari saggi che compongono il catalogo della mostra” afferma Giancarlo Lo Schiavo, presidente della Fondazione De Vito. E nel catalogo, edito da Claudio Martini, non sono solo presenti le opere esposte ma altre dello stesso periodo, presenti nelle due ricche collezioni e le modalità di come queste ultime si siano composte.
Collezionista e studioso del periodo d’oro della pittura partenopea e fondatore del periodico Ricerche sul ‘600 napoletano, l’ingegnere Giuseppe De Vito è l’artefice della straordinaria raccolta che stata costituita a partire dagli anni Settanta del Novecento e attualmente conservata nella villa di Olmo, presso Vaglia (Firenze), sede della Fondazione istituita da lui nel 2011 per promuovere gli studi sull’arte moderna a Napoli. “Giuseppe De Vito è riuscito a costituire una collezione di dipinti, rara per coerenza e qualità” sottolinea Giancarlo Lo Schiavo.
L’incipit della mostra, come spiegano le curatrici, è rappresentato da due dipinti di Battistello Caracciolo che fu in diretto rapporto con Michelangelo Merisi a Napoli e per primo ne veicolò con una personale interpretazione il potente naturalismo luministico nell’ambiente partenopeo, influenzando i pittori contemporanei e della generazione successiva con il taglio ravvicinato e obliquo delle mezze figure e l’intenso gioco della luce. Il secondo nucleo di dipinti si concentra invece intorno a Jusepe de Ribera, artista spagnolo attivo a Napoli dal 1616 al 1652, autore di soggetti come le mezze figure di santi e di filosofi e allegoriche dei cinque sensi, interpretate con una spiccata vena realistica. E, accanto allo spagnolo Ribera, spiccano tele della collezione De Vito, firmate dal cosiddetto Maestro dell’Annuncio ai pastori, un artista della cerchia di Ribera artista oggetto di importanti contributi dello studioso, che ne aveva proposto l’identificazione con il valenciano Juan Dò, accettata solo da una parte della critica.
Una sezione della mostra è caratterizzata dalle protagoniste femminili come soggetti dei dipinti, dalle martiri come Sant’Agata di Andrea Vaccaro a donne in ruoli diversi come la Samaritana al pozzo o le figlie di Loth, rappresentate rispettivamente nei quadri Cristo e la Samaritana di Antonio De Bellis (1645) e in Loth e le figlie di Francesco Fracanzano (1652).
La figura di Mattia Preti, protagonista della scena artistica partenopea e il pittore Nicola Malinconico, chiudono il percorso espositivo con opere già improntate al linguaggio barocco. “Arricchisce l’esposizione la presenza virtuale, attraverso un video e una scheda esplicativa, di una tela proveniente dai depositi del Museo, fino a ora ritenuta non restaurabile, che grazie all’impegno dell’Opificio delle Pietre Dure, tornerà invece fruibile” aggiungono le curatrici.
Dopo Caravaggio è un prezioso esempio di narrazione pittorica che incrocia la raccolta pubblica e quello privata ma è anche una storia di mecenatismo e di passione per l’arte del Seicento.