È stato l’incontro fortuito con l’avvocato cinese Raymond Szetu, sull’aereo dal Brunei al Sabah, ad orientare il mio viaggio in barca a vela nell’arcipelago di Tunku Abdul Rahman (TAR Park), parco marittimo dedicato allo storico Primo Ministro della Malaysia. Raymond, proprietario di uno sloop ancorato poco a sud di Kota Kinabalu, mi ha fatto apprezzare le bellezze naturalistiche di questo incantevole arcipelago, che raduna decine di siti marini in acque poco profonde e con poca corrente, ideali per i sub alle prime esperienze, e decine di spiagge, alcune particolarmente prese di mira dai turisti nei fine settimana.
Salta all’occhio subito la motivazione per cui gli appassionati del mare e delle sue creature acquatiche e non solo, sono tanto attratti da queste cinque isole componenti il TAR Park: un piccolo paradiso alla portata di tutti, con una vasta scelta di corsi certificati PADI, distante appena tre chilometri da Kota Kinabalu, capitale dello stato malese del Sabah.
Gaya, Sapi, Manukan, Mamutik e Sulug, avvolte da una splendida barriera corallina, sono state dichiarate territorio protetto nel 1974 e i loro fondali rappresentano un polo di attrazione per gli appassionati dell’immersione e della vita subacquea. Le isole sono attraversate da una fitta rete di sentieri che si spingono nella foresta, ricca di flora e di fauna esotica o conducono a spiagge deserte ornate da palme e vegetazione tropicale. Qui è possibile osservare da vicino grossi varani ed il raro megapode, detto Burung Tambun, un uccello delle dimensioni di una gallina che emette un miagolio simile a quello di un gatto. Poco al largo si possono invece incontrare sia razze che tartarughe embricate. Anche squali balena, ma solo nei mesi invernali, da novembre a febbraio.
Nelle diverse isole mi sono documentato conversando con altri velisti, turisti e guardie forestali, interessato a raccogliere più informazioni possibili utili ai nostri spostamenti e a scopo divulgativo. Un efficiente servizio di barche fa la spola a ogni ora nel piccolo arcipelago, dove eventualmente è possibile alloggiare sia in tenda che in albergo. All’arrivo, in ogni isola si paga l’ingresso al campo base, dove un cartello avvisa i turisti sulla regola d’oro del parco: “Non prendete niente, ma scattate solo fotografie, non lasciate niente, ma solo le vostre impronte”.
Per visitare le isole coi mezzi pubblici, dal terminal dei traghetti di Jesselton Point di Kota Kinabali, di fronte all’isola di Gaya, nei periodi con maggiore affluenza di visitatori, un servizio di cabinati a motore fa il giro delle isole del TAR Park ogni ora dalle 8 alle 17, con capolinea a Manukan. Dal molo del Sabah Park, chiamato Koktas jetty, si può andare direttamente a Manukan, il viaggio dura appena 15 minuti.
Tutte le agenzie che organizzano le escursioni sulle isole sono collocate all’interno del medesimo edificio che si affaccia direttamente sul molo del porto marittimo, da dove partono tutte le imbarcazioni dirette alle isole. Per la visita di una singola isola il trasporto di andata e ritorno in giornata costa l’equivalente di 5 euro, mentre per la sosta in tre isole, quali Gaya, Sapi e Manukan, il prezzo sale a 7 euro circa.
Pure dalla marina di Tanjung Aru, il capo poco a Sud della capitale, funziona un servizio identico con gli stessi orari.
Pulau Gaya
In venti minuti di mare si giunge all’interminabile pontile del campo base di Gaya, l’isola più estesa dell’arcipelago, che fu un’importante sede della North Borneo Chartered Company. Qui, nel 1897 l’eroe ribelle Mat Salleh attaccò l’insediamento britannico per protesta contro le tasse troppo alte. Dal gruppo di costruzioni affacciate sulla baia (ex quartier generale del parco), partono i venti chilometri di sentieri ben tracciati nelle foreste di mangrovie e di dipterocarpacee, abitate perlopiù da macachi, pangolini, maiali selvatici e svariate specie d’uccelli. Superando la collina centrale, in un’ora di cammino siamo arrivati alla baia di Bulijong sulla costa Nord, che racchiude la stupenda Police Beach, così chiamata perché in passato era utilizzata per le esercitazioni militari. In questa conca dalle sabbie dorate, deliziose capanne per i picnic si affacciano su acque limpide che conducono alla barriera corallina, a pochi metri dalla riva.
Nella parte orientale dell’isola, fuori dal perimetro del parco, sorge sul mare Kampong Pondo Gaya, un grande e ordinato villaggio su palafitte, con moschea inclusa, abitato da immigrati filippini. Qui l’acqua non è così limpida, probabilmente a causa della vicinanza alla costa. Molto meglio nella vicina baia di Malohom, dove è stato costruito il Guyana Resort Bay, una struttura alberghiera gestita da privati. Il complesso comprende alcuni bungalow forniti di ogni comfort moderno, un dormitorio, un ristorante ed il magazzino, dove affittare corredi da sub e da pesca, motoscafi per le escursioni e barche col fondo in vetro trasparente per osservare i fondali marini. I pareri della maggior parte dei visitatori sono concordi nel definire questa isola ricca di suggestioni che vanno dalla natura lussureggiate allo snorkelling sul reef popolato perlopiù da fishpipe, mandarin, seppie e simpatici pesci clown. Il tutto vissuto in un contesto in cui il servizio è decisamente impeccabile.
Pulau Sapi
Sulla punta occidentale, oltre il canale, sorge la piccola Pulau Sapi (“Isola delle mucche”), la più visitata del parco per le belle spiagge, i fondali e le attrezzature per sub. Affollata di turisti, troppi per le dimensioni dell’isola, perlopiù formate da famiglie di chiassosi cinesi non sempre rispettosi dell’ambiente. È consentito campeggiare, ma gli ospiti devono giungervi con tenda e provviste alimentari. Sulla sabbia del campo base sono stati costruiti alcuni luoghi di ristoro per i visitatori, forni in mattone per barbecue, tavoli all’ombra di ombrelloni in paglia, gazebo e bagni. Il lungo pontile raggiunge la formazione corallina, parallela alla costa fino alle rocce ai lati delle due lagune. Un paio di ampi sentieri seguono il bordo dell’isola, mentre comodi scalini in terra e rami salgono sul promontorio del View Shelters Point con vista sul panorama circostante. Può capitare di vedere scimmie che nuotano in cerca di granchi, ma gli abitanti più illustri di Sapi sono le aquile marine dal petto bianco (Haliaectus leucogaster), che vivono in coppia e spesso sorvolano la baia in cerca di cibo. All’ora di pranzo vengono allestiti alcuni banchetti con piatti al buffet e a prezzi convenienti. Nelle serate di fine settimana sono frequenti le tavolate con gente in allegria che canta al suono di una chitarra fino a notte fonda. Per chi ama pace e solitudine, questa è l’isola del parco da evitare.
Pulau Manukan
Le altre tre isole del parco sono raggruppate 2 km a Sud di Sapi e il quartiere generale del TAR Park si trova oggi nel litorale sud-orientale di Manukan, l’isola a maggiore sviluppo turistico. La sua lunga lingua di sabbia bianca finissima ne ha decretato il successo, assieme ai fondali che scendono dolcemente verso una spettacolare barriera corallina ricca di fauna ittica e alla costruzione del Manukan Island Resort, con 20 chalet, ristorante, piscina, campi da tennis e da squash, oltre a un molo d’attracco più consistente. Ogni chalet ha due camere doppie, un bagno e un frigo, senza uso-cucina. Le prenotazioni per l’alloggio vanno fatte presso il Sutera Sanctuary Resorts. Purtroppo, alcune zone sottomarine nei dintorni di Manukan risentono ancora della devastante pesca praticata con esplosivo fino agli anni ’70, motivo che indusse le autorità a proteggere l’arcipelago con la creazione di un parco. Le zone migliori sotto il profilo paesaggistico le abbiamo trovate nelle due estremità dell’isola. Merita una sosta il piccolo e rustico ristorante che offre piatti di pesce davvero gustosi.
Pulau Mamutik e Pulau Sulong
Oltre il canale, a Sud di Manukan, si approda all’imbarcadero di Mamutik, l’isola più piccola del parco, circondata da belle spiagge selvagge, spesso deserte, e acque cristalline. Il simbolo dell’isola è molto probabilmente la casa dell’ex proprietario, sulla costa di Sud-Est, prima che il governo acquistasse l’isola per inserirla nel parco. Oggi è trasformata in una resthouse con quattro camere doppie, dotate di bagno e cucina in comune. Ha una bella veranda per bere o mangiare qualcosa, molto gradevole e rilassante.
Il perimetro dell’isola si gira in circa mezz’ora, mentre il reef migliore è nella parte Nord-Est (quella di fronte a Tanjung Aru), dove in genere buttano l’ancora le barche a vela. Nel litorale opposto invece, bisogna fare un po’ d’attenzione poiché la spiaggia scende ripidamente nel mare, qui particolarmente profondo. Inoltre, la stessa area è piena di ricci per cui è consigliabile e opportuno usare scarpe o ciabatte anche in acqua.
Poco a Ovest, quasi attaccata a Manukan, troviamo infine Sulong, la più lontana dalla città e la meno visitata delle cinque. La natura è selvaggia e non esistono alloggi o facilitazioni, pertanto può essere il luogo adatto per sperimentare qualche giorno in totale solitudine. Per pernottare in tenda sull’isola occorre ritirare prima il permesso al Sabah Parks Office. Occorre anche procurarsi cibo e bevande e assicurarsi, anche in questo caso, che qualcuno venga a riprendervi. Sulong è formata da un promontorio, possiede alcune magnifiche formazioni di coralli ricche di pesci nella parte meridionale e ha un’unica spiaggia verso Est.
Questa esplorazione dell’arcipelago da velisti, alternata ad un allegro viavai di imbarcazioni e da oasi di pace e di silenzio, ci ha regalato momenti di grande energia vissuta in una dimensione di libertà.
Tanjung Aru e Penampang
Attracchiamo fuori dal parco, alla marina del Kinabalu Yacht Club, nel quartiere di Tanjung Aru che prende il nome da capo Aru, occupato dal lussuoso Shangri-La Resort, completo di attrezzature per sport acquatici, come tavole da windsurf e sci nautico, dai campi del Kinabalu Golf Club, dai prati del Prince Philip Park (Parco Principe Filippo) e dalla Tanjung Aru Beach, dove ci rilassiamo al sole in una cornice di tranquillità. La spiaggia in sé è forse un po’ limitata ma il mare è pulito, tranquillo (tranne durante il periodo dei monsoni) con tramonti infuocati da cartolina, il tutto a pochi chilometri dal centro di Kota Kinabalu. Inoltre, i racconti dei velisti occidentali che qui ormeggiano sulla via del Pacifico a volte rendono l’atmosfera davvero stimolante. Ci sono alcune bancarelle per ristorarsi e lungo la via principale un paio di “restoran” specializzati in pesce. Nei giorni feriali non è molto frequentata, probabilmente per le bellezze dell’arcipelago a un tiro di sasso. Dalla posta centrale è possibile raggiungere la spiaggia di Aru con il bus rosso della Luen Thung Co. con la scritta “Beach”.
Da qui, in pochi minuti di bus, abbiamo visitato Penampang, un piacevole paese abitato da Kadazan, il gruppo etnico più numeroso del Sabah, una meta sempre interessante per chi ha tempi ristretti. Le donne della tribù sono molto belle, con lunghissimi capelli neri, ma in generale tutto il popolo Kadazan ha tratti gentili e un carattere ospitale. Dato che la loro economia verte sullo sfruttamento delle risaie, per il raccolto si fanno feste sfrenate con interminabili danze chiamate sumazau e tanto tapai, un liquore piuttosto forte che viene distillato dal riso e bevuto con lunghe cannucce direttamente dalle giare. Consiglio uno dei ristoranti del centro con specialità tipiche della cucina locale.
Da non perdere il cimitero, la “casa del teschio” contenente 36 crani di antichi nemici, e sulla collina, a pochi minuti di strada, la chiesa cattolica di St. Michael (1897), la prima eretta nel Sabah. Nelle vicinanze è stato allestito un piccolo museo con esposta la storia dei leggendari guerrieri Kadazan, ex tagliatori di teste, alcune giare funerarie e gli oggetti di artigianato che tuttora si producono nella regione.