La cosa più brutta dei terremoti è il dopo. Perché non è il mostro che si è scatenato dal ventre della terra annunciato da un rombo che nulla aveva di umano, non sono i muri sbriciolati e accantonati sul ciglio della strada. Non è nemmeno l'alternarsi dei giorni, delle settimane e dei mesi, scandito dal passare delle stagioni. No, nei paesi spazzati come birilli dal sisma, a vincere è il silenzio, non quello percepito e violato dal rumore magari di un'automobile che passa o da un camion che sposta da qui a là le macerie. È il silenzio, avvilente, che avvolge le anime e che, insieme alla solitudine della mente, impedisce alle persone di sentirsi essere umani e non più o solo numeri da mettere su pagine di uno schermo, con accanto nomi che nessuno, che non siano gli amici o i parenti, pronuncia più. Nascono così i “silenti del terremoto”, coloro che oramai hanno riposto le speranze in soffitta, immaginaria perché anche quella non c'è più ma io andrò da ognuno di loro a dire: riprenditi la speranza, riprenditi questa terra.
Maria Teresa Nori, marchigiana di Vallestretta frazione di Ussita, uno dei paesi del maceratese più colpiti dal sisma del 2016, quello di ottobre, quello della “grande botta”, è stata portavoce dei terremotati ora segretario di Federcontribuenti Marche ma sempre in prima fila a combattere la burocrazia che tiene sotto scacco i paesi colpiti dal sisma, la burocrazia anzi, come la chiama lei la “vetocrazia” dove a ogni ordinanza, ogni deliberazione viene più delle volte messo un “veto”. E tutto ricomincia da capo. Mi parla con un misto di rabbia e combattività di chi non si arrende anche se ammette che spesso “è il trascorrere lento delle giornate, sperando e non più credendo che qualcuno tenda la mano, che ti aiuta, come si fa con chi cade nelle sabbie mobili, a tirarsi fuori dal gorgo limaccioso che è la burocrazia. Un buco nero che inghiotte non solo pratiche ed istanze, richieste e diffide, ma soprattutto l'anima di tante persone che per sentirsi vive si aggrappano all'unica cosa che è rimasta per loro e che nessuno - forse purtroppo - riuscirà a cancellare: i ricordi”.
Quali sono per lei gli istanti che mai cancellerà dai suoi ricordi e che il sisma ha spazzato via.
Sono i volti di chi non c'è, voci che prima si udivano per le strade e nei vicoli, come nelle botteghe, e che, dopo anni, cominciano a sbiadire. Come fotografie che ritraggono momenti felici e che il sole cancella, lentamente, lasciando intatti i contorni delle persone, ma divorandone i tratti del volto.
Cosa vede chi vive in questi territori?
Chi abita nel cratere del sisma ancora oggi cerca di tirarsi fuori da una situazione che appare troppo compromessa per alimentare anche solo un briciolo di speranza. Per queste persone, per me, le stesse trasmissioni televisive sembrano essere una beffa perché mostrano un Paese che non è più il loro. Vedono come l'Italia si spende per la solidarietà e abbia accantonato i suoi “disperati” di ieri.
Poi il volto si fa scuro e mi dice: “Mi perdoni ma questa cosa la devo dire: le politiche dell'accoglienza, a chi vede ancora la sua casa ridotta ad un mucchio indistinto di mattoni e calcinacci, sembrano non un'offesa (perché ad Amatrice, Visso, Ussita, Arquata, Castelsantangelo sul Nera come negli altri centri spazzati dal terremoto lo spirito solidale è forte e consolidato), ma una ulteriore conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che la memoria del Paese evapora troppo velocemente e i disperati di oggi non lo saranno domani perché ad essi se ne sostituiranno degli altri. Non si può fare una graduatoria del dolore, ma ai sopravvissuti del terremoto del 2016 ogni volta che giunge notizia di una nuova catastrofe naturale o causata dall'uomo appare chiaro che scaleranno di un posto nella lista delle priorità. Il dolore del ponte Morandi di Genova nei centri distrutti dal sisma è stato avvertito come se fosse accaduto ai nostri paesi, perché la sofferenza è avvertita di più da chi ci convive ogni giorno, da tanti giorni. L'eco delle promesse, delle parole, delle dichiarazioni è ormai lontana. Oggi si cercano fatti”.
E mi fa l'esempio proprio del Ponte di Genova: “Per il crollo del ponte Morandi a Genova si è proceduto con decreto-legge alla nomina di un Commissario Straordinario per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario. Questa persona opera in deroga ad ogni disposizione di legge extra penale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea. Perché non si è proceduto ugualmente anche per il terremoto con un commissario che doveva avere poteri straordinari come il sindaco di Genova anche in un cratere ristretto ai comuni che hanno avuto il 50 per cento più 1 di edifici dichiarati inagibili? Nel 1976 in Friuli tutti i sindaci furono nominati commissari straordinari con pieni poteri per i loro paesi e a sovrintenderli c'era il grande Giuseppe Zamberletti. In poco tempo Gemona, Venzone e altri gioielli sono rinati. Mi viene rabbia a vedere macerie su macerie nel 2020”.
Cosa si aspetta?
Mi aspetto consapevolezza da chi ci governa che se non si pone rimedio con poteri speciali e attuare subito la ricostruzione, questi paesi, queste montagne moriranno nel silenzio perché lo spopolamento è dietro l'angolo.