È stato uno dei più grandi artisti del XX secolo, colui che ha cambiato il quadro della rappresentazione fotografica sul corpo femminile, con uno sguardo unico e particolare. È Man Ray (all’anagrafe Emmanuel Radnitzky, nato a Filadelfia nel 1890, scompare a Parigi nel 1976) a cui Camera, Centro Italiano per la Fotografia, che ha sede a Torino, dedica la mostra Wo | Man Ray. Le seduzioni della fotografia1. La rassegna, a cura di Walter Guadagnini e Giangavino Piazzolla, ruota attorno alla figura femminile, ed è costituita da 200 fotografie, realizzate a partire dagli anni Venti a Parigi, dove Man Ray fu protagonista assoluto delle stagioni dadaista prima e surrealista poi, fino alla sua morte.
Il percorso espositivo si apre con un ritratto di Man Ray realizzato da Andy Warhol nel 1975, pochi mesi prima della sua morte, e a seguire sono le fotografie degli anni Venti, con alcuni autoritratti dello stesso fotografo e un altro realizzato da Lee Miller. Sono così i ritratti di Berenice Abbott, Dora Maar, e Meret Oppenheim che rappresentano non sono solo le interpreti di una grande stagione artistica, ma anche le donne che sono state a fianco di Man Ray e che, a partire dagli anni Trenta, sono state le protagoniste della scena fotografica mondiale. Ma è con Models (1920-1940), che prende vita una sorta di diario di vita artistico e privato con foto di nudo scattate dal fotografo statunitense a Montparnasse durante il suo primo e straordinario soggiorno parigino. Così l’intero percorso espositivo risulta essere una continua sorpresa di un universo dai caratteri sempre più seducenti e affascinanti, di una capacità rappresentativa in cui coniugare forme e stili, ideazione e provocazione. Muovono in tal senso alcune immagini simbolo del Novecento quali i ritratti di Tristan Tzara, James Joyce, e Jean Cocteau immortalato da Berenice Abbott.
Ma non è solo Man Ray a calcare la scena espositiva, in quanto accanto vi sono coloro che hanno rappresentato i suoi percorsi, storici e personali, affettivi e professionali, come Lee Miller, Berenice Abbott, Dora Maar, Meret Oppenheim. E ancora Kiki de Montparnasse, Nusch Éluard, Juliet (l’ultima moglie), che non furono solo le artiste, le modelle, le amiche e le compagne dell’artista di origine statunitense ma anche le protagoniste della Parigi degli anni Venti e Trenta, accanto a Gertrude Stein, Nancy Cunard, Sylvia Beach e Youki Foujita Desnos. E tutte, in modi diversi, certamente furono legate a Man Ray, arrivato nella Ville Lumière nel 1921 con la fama di “dadaista newyorchese”, introdotto nell’entourage artistico da Marcel Duchamp, amico di Tristan Tzara - anche loro sono in mostra, il primo en travesti e il secondo affiancato da un’enorme figura femminile, naturalmente nuda - e subito proteso a mostrare quali magie potesse fare nella camera oscura.
In mostra di Man Ray sono presenti opere leggendarie come Le Violon d’Ingres (1924) che rappresenta la schiena di una donna con la chiave di violino. È una foto famosissima riprodotta in molte occasioni. Ma anche Noire et blanche (1926) e La prière (1930).
Ma Man Ray, il ritrattista prediletto della Parigi intellettuale e di quella della moda, è anche l’autore dei “rayographs” e delle solarizzazioni, due procedimenti tecnici che sono diventati gli emblemi dell’invenzione fotografica delle Avanguardie di inizio Novecento. E lo stesso Man Ray fu anche il mentore di due tra le maggiori fotografe del periodo, Berenice Abbott e Lee Miller, inizialmente sue assistenti, ma che furono in grado di liberarsi della sua ingombrante personalità per affermare il loro autonomo linguaggio. Come disse Sylvia Beach, editrice e proprietaria della “Shakespeare & Co.”: “Essere fotografati da Man Ray o da Berenice Abbott significava essere qualcuno”; e in mostra sfilano sotto i nostri occhi - ripresi dallo sguardo acuto della fotografa americana - James Joyce e Jean Cocteau, André Gide ed Eugène Atget, in una splendida carrellata che riporta a una stagione irripetibile della cultura europea. Mentre Lee Miller, bellissima modella che giunge dagli Stat Uniti, opera con Man Ray già a partire dal 1929, diventando la coautrice del portfolio Électricité (1931) – anch’esso in mostra – che è uno dei capolavori assoluti della fotografia del periodo; in seguito la Miller diventò una famosa protagonista della fotografia di moda e del fotoreportage negli anni Trenta e Quaranta.
Ed ecco Meret Oppenheim, con il suo corpo nudo per una delle serie più iconiche di Man Ray, Érotique-voilée (1933), a cui sembra far da contrappunto Dora Maar, di cui si va riscoprendo oggi l’inquietante genialità, Nusch Éluard, la compagna del poeta Paul Éluard (1895-1952), una vera icona del gruppo surrealista, della quale viene esposto un raro collage (oltre che gli splendidi ritratti e nudi realizzati da Man Ray, tra i quali la sensuale silhouette del libro del 1935 Facile, capolavoro dell’editoria del tempo). Ma nella rassegna torinese a risaltare nelle sue forme più pure è proprio il Surrealismo, che, grazie alle opere fotografiche dell’uomo “dalla testa di lanterna magica” - come lo definiva André Breton – vede un’intera sala dedicata alla documentazione dei manichini dell’Exposition International Surréaliste del 1938: Les mannequins. Résurrection des mannequins. Organizzato da André Breton e Paul Éluard e diviso in tre sezioni, il percorso espositivo era stato pensato per ospitare dipinti, oggetti, collages, fotografie e installazioni degli oltre sessanta artisti partecipanti. Il Taxi pluvieux (o la Cadillac pluvieuse, 1938) di Salvador Dalí, allestito nel giardino di ingresso, mentre nella sala centrale erano allestite più di 300 opere e la Ville surréaliste, dove era esposta Les plus belles rues de Paris. In quest’ultima venivano presentati una ventina di manichini della Maison P.L.E.M., ripensati nell’allestimento da Yves Tanguy, André Masson, Hans Arp, Óscar Domínguez, Léo Malet, Max Ernst, Marcel Duchamp, Joan Miró, Marcel Jean, Man Ray, Maurice Henry e Salvador Dalí. Un clima ironico ben sintetizzato anche dall’opera La carte Surréaliste del 1937, con 21 cartoline pubblicate l’anno prima dell’Expo da Georges Hugnet, in cui figura una raccolta composta dalle opere di Marcel Duchamp, André Breton, Pablo Picasso, Paul Eluard, Max Ernst, Yves Tanguy, Hans Bellmer, Oscar Dominguez, Roland Penrose, Joan Miró, Hans Arp, Salvador Dali, Marcel Jean, René Magritte, Jacqueline Breton e da quattro dei protagonisti della mostra odierna, Man Ray, Dora Maar, Meret Oppenheim e Nusch Eluard, quest’ultima in una delle sue rarissime prove d’artista. L’Exposition International Surréaliste, fu un evento epocale nella storia dell’arte del XX secolo, ma anche la testimonianza dell’intuizione poetica di Man Ray.
1 Wo | Man Ray. Le seduzioni della fotografia, Torino, Camera – Centro Italiano per la Fotografia fino al 2 febbraio 2020.