La mostra Alchemy in Blue - a dialogue around the form pensata per gli spazi di Officina 15 mette in relazione l’operato del designer bolognese Matteo Giannerini (1977) con l’artista reggiano Matteo Messori (1992) - entrambe le ricerche: gli oggetti d’arredo Mine del primo e le tele pittoriche Antiforme del secondo - riflettono, seppur in maniera antitetica come le rispettive discipline comportano, su un tema profondo, complesso ed eternamente attuale come la forma.
Il titolo stesso Alchemy in blue oltre ad omaggiare, citandola, la celeberrima Rhapsody in blue (1924), una delle composizioni musicali più famose dello statunitense George Gershwin, contiene in sé i germogli costitutivi dei due progetti in mostra: la parola alchemy, alchimia, riprende il titolo Alkemia, il percorso espositivo proposto nell’ultima edizione di Bologna Design Week e la parola blue per il colore utilizzato dall’artista reggiano Matteo Messori.
Alkemia è un itinerario artistico che ha visto la luce presso gli spazi di Adiacenze con il team di Digital Detox Design, del quale Matteo Giannerini fa parte. Un progetto possibile grazie alla collaborazione tra mondo manifatturiero, designer e artisti, in cui la materia si dissolve, si purifica e si ricompone e in cui l’oggetto di design diviene segno tangibile di una trasmutazione, di processi creativi che affondano le proprie origini nell’alchimia. In un’epoca di completa estraniazione percettiva indotta dall’utilizzo massivo proprio del mondo digitale, Digital Detox Design “invita a depurarsi dal sovraccarico informativo attraverso la creazione di spazi in cui respirare e poter interagire con la materia e le persone. L’idea è quella di elevare il design a un livello superiore, oltre la progettazione di complementi di arredo. Un design sensibile alla nostra esigenza più profonda: essere umani.” - come afferma Alessio Conti, ideatore di Digital Detox Design e curatore della mostra.
La dicitura in blue invece sta a sottolineare la forte presenza cromatica blu con la quale l’artista Matteo Messori sceglie di riportare il proprio concetto di antiforma in pittura, una ricerca che prosegue dall’anno precedente con una prima serie esposta alla Galleria Ramo di Como e che ho avuto modo di curare personalmente.
Il design e la pittura sono due linguaggi che hanno una storia lunga (seppur in tempi diversi) e costellata di grandi nomi (artisti e innovatori), simili per quanto riguarda l’immaginare un mondo diverso dal reale si allontanano in maniera definitiva per quanto concerne lo scopo: se l’arte per sua natura esiste senza una finalità precisa, un’utilità, il design lavora su un’esigenza opposta.
Tuttavia, in Alchemy in blue - le Mine e le Antiforme si incontrano su un terreno comune fatto di rime e rimandi: cromatici (dal grigio al blu), formali (sinuose rotondità) - sia negli oggetti d’arredo che nella pittura avvertiamo una similitudine: le tulipaniere, le lampade e i soggetti pittorici assumono le sembianze metaforiche di tante ampolle alchemiche.
Il percorso attorno alla forma è dunque di tipo laboratoriale (che sia esso artistico o di design), di cambiamento, di miglioramento, di messa in discussione, di sovvertimento o annientamento - tra chimica e immaginazione.
In Mine le forme degli oggetti si ispirano alle omonime mine utilizzate nelle guerre navali moderne che venivano fissate in profondità tramite delle catene e rimanevano sospese in attesa di collisioni. La serie Mine attraverso il processo creativo diviene poi una linea di complementi d’arredo che, rifacendosi a forme precise, ne sovverte l’utilizzo, proponendo una riflessione sulla cultura acquisita e un invito a spingersi oltre le proprie conoscenze e ciò che la società impone. Come afferma Giannerini: "L’espressione estetica dell’oggetto di design permette di evitare una rappresentazione ideologica e propagandistica del messaggio intrinseco all’oggetto stesso.” Inoltre Mine si pone totalmente contro la forma standardizzata e così fortemente imposta dal consumo capitalista, gli oggetti di arredo sono stati infatti realizzati attraverso lavorazioni ceramiche quali la forgiatura dell’argilla e la smaltatura artigianale che rendono unico ogni pezzo della serie; le imperfezioni formali e superficiali divengono così tratti distintivi di un valore assoluto.
Le Mine di Giannerini sono splendide poetiche riconversioni di senso, dalla visione di un documentario sull’utilizzo delle mine come storicamente intendiamo, simboli di morte, guerra e difesa, il designer bolognese pensa, ricrea e declina una determinata forma in esplosioni floreali e di luce, Eros e Thanatos vengono messi in dialogo, in opposizione, con la vittoria assoluta dello slancio vitale. La forma vive, illumina e profuma, cambiando l’ambiente ma anzitutto se stessa. La forma proposta dalle Mine esplode di positività, unicità, migliora, e come nella parabola dell’eroe riesce a glorificarsi nella propria narrazione.
Come scrissi nel testo della mostra alla Galleria Ramo di Como: “con il titolo Antiforma l’artista Matteo Messori già bene introduce la volontà di indagare la forma nell’attualità dell’oggi; la necessità di lottare contro una precondizione che l’uomo stesso sembri essersi creato. Le pitture ci accompagnano in una riflessione profonda dai toni prevalentemente blu - un colore che per sua natura ha accompagnato l’arte da sempre - dal naturalismo di Giotto fino all’immaterialità voluta da Yves Klein”.
E ancora: “Vi sono altri due fattori importanti nella ricerca dell’antiforma - una forma in contrasto son se stessa: l’ispirazione di Messori verso un capolavoro come Il Trionfo della morte il dipinto olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1562 circa e attualmente conservato nel Museo del Prado di Madrid - dove alcuni dettagli come sistemi punitivi di forca ci riportano alle antiforme dell’artista reggiano in procinto di un imminente giudizio - come fossero colpevoli della dipendenza da un vizio. L’altro fattore è appunto riconducibile ad un dato biografico e intimo dell’artista afflitto dal deficit congenito del recettore per la leptina - il quale, sostanzialmente impedisce la percezione di sazietà da parte del soggetto affetto. L’impossibilità di sentirsi saturi diviene quindi un’urgenza espressiva che si traduce in un’espiazione di colpe derivanti da un vizio inconsapevole - una gola insaziabile- fagocitante.
Nelle antiforme pittoriche, ritorna il tema del flusso, dell’acqua, della trasparenza, dell’ampolla - del contenitore che interroga e indaga il suo contenuto. Le atmosfere metafisiche accentuate da profondità accennate e da plasticità volumetriche ci introducono ad una dimensione di riflessione più intima dove l’artista ci accompagna in silenzio tra le sue ossessioni, tra le sue domande, nei suoi incubi più profondi. L’antiforma però pone già dinanzi a se stessa l’andare contro, l’essere “anti” a soluzioni precostituite e a dogmi già preconfezionati - nella sua solitudine (tant’è che i soggetti pittorici o gli elementi scultorei non sono mai più di due o tre elementi) ci lascia un messaggio di ribellione - che la morte questa volta può non trionfare.”
In queste nuove tele Messori rende ancora più teatrale l’atmosfera ponendo sempre più al centro le antiforme divenute sempre più simili a organi umani, cala la trasparenza, aumenta la fisicità della forma stessa che abbandona una rigidità formale per rendersi il più molle possibile, si passa da uno stato di compostezza metafisica ad una decomposizione progressiva che ricorda gli orologi liquefatti e surrealisti di Salvador Dalì.
Attorno alla forma dunque si accende questo dialogo tra differenti modalità espressive, il design e pittura, tra utilità e possibilità, proprio lì dove l’immaginazione feconda.