Nel gennaio dello scorso anno ricevetti un invito da parte dell'Ambasciatore cileno in Italia Señor Fernando Ayala per presenziare, presso la Sua ambasciata a Roma, al riconoscimento da parte della Presidente della Repubblica del Cile Michelle Bachelet all'amico Roberto Savio per la sua incessante attività di democratizzazione non solo del Cile ma di tutta l'America Latina.
Entrai in Ambasciata il 23 gennaio e riconobbi nel giro scale le gigantografie fotografiche di tutti i grandi e le grandi personalità che hanno fatto grande il Cile: da Isabel Allende al Nobel Gabriela Mistral; da Luis Sepúlveda a Pablo Neruda; da Violeta Parra a Roberto Bolano.
V'era un certo entusiasmo tra gli invitati che non mancarono di complimentarsi con l'Ambasciatore e la gentil signora Anke Kessler per i ragguardevoli risultati raggiunti in campo economico dal Cile sia nel processo di democratizzazione che ci allontanava dagli anni bui di Augusto Pinochet (non riposi in pace) che di crescita economica. Era, solo, un paio d'anni fa ma, politicamente, sembra una generazione.
Oggi alcuni analisti tendono a descrivere il Cile come il paese del paradosso: continua crescita e malcontento popolare. Vorrei, dati alla mano, smontare questa tesi in quanto l'ascensore s'è rotto proprio nel marzo 2018 con il passaggio tra la presidente Bachelet e Sebastián Piñera. Il PIL, secondo Oxford Economics, era del 4% nel 2018 risalendo da un modesto 1,6% dell'anno precedente. Poi è ridisceso al 3% nel 2019 e 2,9 in proiezione dell'anno prossimo (se l'export di rame tiene e se le multinazionali non fuggono).
Gli investimenti fissi reali sono crollati da un 6,1% nel 2018 quando la coalizione di centro sinistra era al Palacio de La Moneda ad un esiguo attuale 2,8% da parte della coalizione di centro destra a dimostrazione che l'intervento statuale in economia va ridotto se non annullato. Piñera ha un profilo che assomiglia molto ad un politico italiano. Trattasi, infatti, dell'uomo più ricco del Cile che deteneva parte dell'informazione pubblica essendo stato proprietario del canale televisivo Chilevisiòn. Riuscì, nonostante dati oggettivi di crescita e benessere della Bachelet, a narrare un paese che non c'era. La sua popolarità crebbe a dismisura quando i minatori rimasero intrappolati nel 2010 nelle viscere della terra e lui si recò da Primo Ministro, con tanto di televisioni al seguito, ad “incoraggiare” i malcapitati. La cosa ebbe un'eco mediatica importante per lui medesimo… anche se ha rallentato i soccorsi.
Ma qual e il suo anello debole ora che è Presidente della Repubblica? I Chicago boys!
In macroeconomia vi sono due scuole che si affrontano: Keynes e Chicago. La prima vorrebbe l'intervento dello Stato come soggetto regolatore con misure di bilancio e monetarie e la seconda lo esclude o ridurrebbe al minimo. Quest'ultima, infatti, s'ispira alla scuola monetarista di Milton Friedman. Sebastián Piñera sta seguendo la seconda scuola sui passi del fratello noto economista Josè Piñera che fu Ministro del Lavoro e delle miniere durante la dittatura di Augusto Pinochet e che arruolò, nella terra della sperimentazione del socialismo di Allende, i Chicago boys, un gruppo di economisti cileni formati alla scuola neoliberista di Chicago.
Purtroppo Piñera non sta solo seguendo la via economica ma anche quella repressiva di Augusto Pinochet.
Le attuali proteste non sono riconducibili al solo aumento del biglietto che potrebbe essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso ma ad un Paese che rischia, in un sol biennio, di perdere stabilità democratica e ascesa economica che aveva garantito la Bachelet. Sebastián Piñera aveva creato ad arte una narrazione all'incontrario diffondendo rabbia e malcontento nelle classi meno agiate. La sua politica, nell'ultimo biennio, ha scelto la via di Chicago che tende non solo a concentrare la ricchezza in poche mani ma ad intraprendere la via della decrescita infelice e forzata.
Gli scontri tra protestanti e forza pubblica danno un primo bilancio di almeno 17 morti, centinaia di feriti e migliaia di arrestati. L'opposizione denuncia con insistenza i gravi abusi da parte della forza pubblica. La stampa ed i social network documentano ogni giorno l'esistenza di gravi episodi di sopraffazione da parte dell'autorità, che per reprimere le proteste divenne capace di perpetrare violenze fisiche.
Il direttore dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos, Sergio Micco: “L’Istituto ha registrato testimonianze di denudamenti, torture, spari contri i civili, maltrattamento fisico e verbale, botte e ritardi della polizia nel condurre le persone detenute al commissariato, mantenendole nei furgoni, ammassate e con cattiva ventilazione, per ore”.
Il 9 novembre 2019 un organismo indipendente di esperti, nominato dall'ONU intervenne affermando: “L’alto numero di feriti e il modo in cui sono state utilizzate le armi sembrano indicare che l’uso della forza è stato eccessivo e ha violato il requisito di necessità e proporzionalità. Siamo profondamente preoccupati per le notizie che ci arrivano circa gli abusi contro ragazzine e ragazzini; maltrattamenti e percosse che possono costituire fattispecie di tortura. Sono giunte altresì notizie di violenze sessuali subite da donne, uomini e adolescenti.”