Fuggire un giorno dalla rumorosa città per avventurarsi nel bosco di Andrate al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta. È un’esperienza che vi consiglio.
Lì, imboscato in cima alla collina, si annida segretamente una spartana trattoria chiamata “Il Sambuco”. La posizione poco comoda da raggiungere limita l’apertura ai soli periodi “caldi”, poiché la neve renderebbe assolutamente invalicabili i sentieri; mentre la vista che conquisterete una volta raggiunta l’accogliente terrazza vi renderà avidi di quei paesaggi per resto dell’anno.
Superato uno spartano ponticello nel bosco, arriverete di fronte ad una piccola casa che compare timidamente tra gli alberi facendosi largo alla vista con una deliziosa terrazza di pietra. Chiudete gli occhi, immaginate di sedervi intorno a una tavola celata dal verde degli alberi ed incorniciata da una rustica tettoia in legno che generosamente fa pendere sui vostri capi profumati grappoli d’uva; che, se scoperti nel giusto periodo dell’anno vi invoglieranno ad assaporare la dolcezza degli acini.
Intorno a voi nient’altro che il fruscio delle foglie accarezzate dal vento ed il canto degli uccelli. Quando pensate di essere totalmente rapiti dall’armonia di quel luogo, ecco che dalla porticina in legno esce Terry, proprietaria dell’osteria con il marito Silvano (chef), che con fare dolcemente materno accoglie i suoi ospiti.
Le semplici pietanze preparate dallo chef Silvano riportano alla tradizione contadina piemontese e valdostana. Tutto proviene dal bosco che li circonda e niente viene sprecato. Il menù non è fisso, fatta eccezione per gli antipasti la cui molteplicità si apre sulla tavola come una danza perfettamente armonica di colori e aromi: cremoso lardo con castagne ripassate al burro e zucchero (tipicamente valdostano), peperoni e cavolo in bagna cauda, San Carlino, un cremoso formaggio fresco d’alpeggio sapientemente lavorato e mescolato ad altri aromi tra cui aglio e paprica (da assaporare su fette di pane casereccio fresco o leggermente tostato); vassoi di affettati locali di vario genere, gustose frittatine di erbe spontanee e cipolline servite con aceto balsamico ed altro ancora sino a ricoprire la superficie della tavola.
Il resto del menù sempre imperniato sulle produzioni di stagione locali non è altrettanto ricco, ma sempre preparato impeccabilmente.
Zuppa di pane, formaggio ed erbette selvatiche servita in un caldo tegame di coccio con una generosa crosta a farle da presentazione; polenta concia (rigorosamente da farina taragna) finanziera, carbonada di manzo e coniglio in umido, polletto ruspante alla cacciatora e qualche contorno se richiesto.
Sporadicamente ad arricchire la tavola si presentano laboriose ricette di tradizione locale come il fritto italiano alla piemontese, servito nel totale rispetto della ricetta originale: generosi vassoi distinti tra carni (salsicce, rognoni, cervella, cotolette, palle di toro ecc) verdura e frutta pastellate (mele, prugne, cavoli, zucchine, melanzane ecc) e terminare infine con involtini prosciutto e toma d’alpeggio, amaretti e semolino dolce (anch’essi rigorosamente fritti).
I dolci non sono molti, anche loro seguono fedelmente le stagioni arricchendosi con castagne, panna noci, nocciole o altro sapientemente trasformato dalle mani abili della massaia, la quale si lascia ispirare dal tempo per la creazione di torte e creme al cucchiaio.
I sapori protagonisti sono in genere quelli più facilmente reperibili: erbe di sottobosco, piccoli frutti o tuberi, carne di cacciagione (nei periodi in cui è permesso) o conigli e pollame da loro allevati. Ogni piatto, dal pane ai dolci è preparato rigorosamente in casa secondo le ricette della storia piemontese/valdostana.
Questi piatti non hanno segreti, si aprono a voi come libri e come tali, raccontano la storia di una tradizione. Silvano è un grande narratore, e nel suo “nido” per coloro che desiderano ascoltare, la maestria delle sue mani racconta con tono più deciso di qualsiasi voce.