Un uomo abituato a camminare tra i boschi, vestito comodo da tartufaro, con il vanghino sulle spalle e gli stivali alti per camminare anche nel fango; un bambino gli cammina a fianco, il cane è un po' più avanti, annusa, cerca, scodinzola, mentre il calpestio delle foglie si fa sempre più forte, tutto intorno i colori dell'autunno, il profumo dei boschi.
Sveglia all’alba, tra il freddo e l'umidità dell’autunno e inverno per la ricerca del tartufo bianco, ed essere presenti alle prime mostre di novembre, fino a tutto il Natale. Inizia così questa storia che si ripete da generazioni tra i monti dell’Appennino Umbro-Marchigiano, o quelli di Montefeltro, legati dalla storia del ‘500 e dal grande condottiero Federico da Montefeltro.
Cercare il tartufo è quasi sempre una tradizione di famiglia che si tramanda da generazioni, di padre in figlio, maschio. Sono tante le storie di tartufai, ma quella della famiglia Brancaleoni, è diversa, i loro tartufi sono i più ricercati e rinomati già dal secolo scorso, quando ancora era l’alba del tartufo e di un commercio più capillare; venduti nelle maggiori città italiane, fino alle tavole di New York, e alla cucina dell’Andrea Doria, quando il prezioso carico affondò con la famosa nave nel 1956.
Erano gli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento quando il capostipite della famiglia, Federico Brancaleoni, iniziò l'attività di vendita del pregiato tartufo, cercatore come da tradizione di famiglia, amplia la sua rete commerciale, e non resta chiuso tra le mura della medievale città di Gubbio. Fu uno dei primi ad intraprendere rapporti continuativi con importanti commercianti di tartufi del nord Italia, e ad entrare nelle più influenti città come Torino e Milano, ma anche Roma non ne restò fuori. Insomma, non più solo un semplice cercatore e cavatore. La piazza si ampliò al punto che i suoi tartufi venivano venduti ai migliori ristoranti del tempo, come alle famiglie, che conoscevano e si potevano permettere l'acquisto del pregiato fungo, in modo particolare, il bianco era quello maggiormente richiesto ed apprezzato soprattutto dai ristoratori, per cene lussuose.
Una famiglia intera di cavatori e commercianti: i suoi tre figli, Alfredo, Efraim ed Emanuele, si dedicavano soprattutto a cavare il tartufo, mentre era il padre che cercava i venditori e manteneva le piazze a cui vendere con il prezzo migliore. Un vero fiuto per il commercio, non solo per il tartufo. Sfortunatamente tanti documenti sono andati perduti, e non è facile ora conoscere i prezzi di vendita, anche per sola curiosità, sapere quali erano i margini di guadagno in quell'epoca così lontana, che fa ormai parte dello scorso secolo.
Insomma, una sinergia, quella della storica famiglia di Gubbio, che è andata avanti nel tempo, mantenendo sempre gli stessi clienti, trovandone di nuovi, cercando il meglio da proporre in zone così lontane dalla nostra città. Così fino alla fine degli anni Sessanta, con una pausa forzata durante la Seconda guerra mondiale. Ma lo sfarzo degli anni ‘20 ha visto piatti e ricette cucinate e impreziosite dai tartufi di Brancaleoni.
Emanuele, già nel 1935, all'età di dodici anni, ha iniziato a cercare i tartufi, imparando sempre meglio l'arte del cavatore, studiando i posti migliori, il ritmo delle stagioni che coi loro climi portano a maturazione il fungo ipogeo; ha continuato il lavoro del bisnonno, allevando i suoi cani, compagni inseparabili, ai quali insegna a fiutare, riconoscere e trovare sempre il meglio.
La sua passione era quella di cavare il tartufo, racconta il figlio Gabriele, l’emozione della ricerca, il cane che sa dove lo stai portando e nel bosco segue una traccia; scavare e portare il fungo prezioso alla luce.
“Si diventa parte del bosco, dei suoi silenzi, dei rumori secolari, con la pazienza antica che solo anni di esperienza ti possono dare. Ma poi, non se ne può più fare a meno. L'odore dei boschi ti invade, il profumo delle stagioni diventa necessario come l'aria che si respira. È per questo che un cercatore resta tale per tutta la vita. E quando non puoi più andare per i boschi, allora, diventi malinconico. Ti mancano le linee curve dell'orizzonte, scoperto su una cima e vedi altre colline e boschi e campi coltivati, a volte vedi muovere un trattore che ara il campo, senti distintamente i fruscii di animali che ti seguono senza essere visti. Il tartufaio, quello vero, diventa un custode del bosco, dei suoi ritmi, delle essenze di querce, noccioli, cerri, attento a non rovinare un habitat prezioso e ricco; dialoghi con il cane, conosci le sue andature, l’attimo in cui sente un primo odore lontano e poi ti abbassi a terra, segui i movimenti delle zampe fino all’attimo in cui affiora un primo lembo, attento a non rovinare il tartufo per lasciarlo integro e perfetto.
Cercare i tartufi è anche un'arte. Ci vuole calma e pazienza, ci vuole la voglia di camminare e di adattarsi, a tutto, anche alle intemperie che ti colgono di sorpresa.”
Brancaleoni dedicò gran parte della sua vita, andando alla ricerca di nuove zone, magari dove il prezioso tartufo non era ancora così tanto conosciuto e molto apprezzato, Emanuele si spostava tra l'Umbria, la Toscana e le Marche, arrivando fino nel Molise e in Abruzzo, in Piemonte ed in Istria, dove poteva esserci meno concorrenza. Poteva stare via anche molti giorni, dormendo nelle case dei contadini che lo ospitavano, oppure in ricoveri di fortuna. Fu uno dei primi eugubini a partecipare al mercato di Acqualagna; nel corso della sua lunga vita di cavatore di tartufi, ha avuto riconoscimenti e soddisfazioni degni di nota. Nel 1959 ha cavato un tartufo del peso di 1.200 grammi!
Rarità anche oggi e orgoglio di qualsiasi tartufaio. Ha vinto la medaglia d'oro all'ottava fiera del tartufo bianco di Gubbio e il vanghino d'argento nella gara dei cani. Tutte competizioni dedicate alla ricerca e raccolta del tartufo che negli anni hanno avuto la loro fortuna ed oggi sono manifestazioni di punta del settore.
Ma la cosa più bella, era la spedizione accurata dei tartufi presso i commercianti e rivenditori d'Italia. Venivano trattati come fossero veramente dei preziosi, messi in dei cestini di vimini, chiusi e cuciti con il panno di iuta che poi veniva piombato e sigillato, veniva apposto un cartellino con il peso lordo del prodotto. Il tutto veniva, poi, spedito per posta tramite le ferrovie. In genere accadeva che dal cestino traspariva il contenuto e si spandeva l'aroma, ma all'epoca nessuno toccava niente, forse anche perché il tartufo non era così conosciuto ed apprezzato, non se ne conosceva il valore, e il re della tavola poteva fare tranquillamente il suo viaggio in prima classe.
I tartufi venivano conservati in luoghi freschi, nelle cantine, nella stanza più fredda, è quanto racconta il pronipote di Federico, Gabriele, terza generazione, che è riuscito a mantenere quasi intatta tutta la tradizione di famiglia, non senza sforzi, ma con una grande passione. Dopo tutto è nato e cresciuto in questa attività, ed è il mestiere che meglio conosce: le tipologie, le caratteristiche dei diversi tartufi, le sensazioni organolettiche di ognuno e delle terre dove nascono, il piacere di abbinarlo; ma sopra tutto, il piacere di un ottimo prodotto, stando attento alla qualità.
Da una filiera tutta di famiglia, ad oggi, in cui la richiesta è fortemente cresciuta, Gabriele acquista i tartufi da diversi cavatori della zona del Montefeltro e nei dintorni, tra Umbria, Marche e Toscana. Conoscere perfettamente il prodotto è essenziale per non cadere in truffe e proporre sempre il meglio, in questo sono importanti anche i corsi di aggiornamento, e l’attenzione quando si parla di tartufo. Un mestiere che è un vero e proprio piacere della vita. I tempi ora sono cambiati, come anche le esigenze degli acquirenti e non si vende solo il tartufo fresco, ma lo si lavora, permettendone una più lunga conservazione, un minor costo alla portata di tutti.
I commercianti di tartufo oggi si affiancano ad aziende leader nel campo, riuscendo così a confezionare tutti i tipi di tartufi che produce la nostra zona: dal bianco al nero pregiato, dal bianchetto all'estivo. Vengono, quindi, confezionate ampolle di tartufi bianchi e neri interi, a quelle di tartufi a fettine e conservate nell'olio, ma non solo, la produzione spazia molto, fino ai salami e formaggi al tartufo, alla pasta ed anche il miele: scaglie di tartufo incastonate nell’oro liquido così aromatizzato. Insomma, una vasta gamma di prodotti con i quali cerca di soddisfare le molteplici esigenze dei clienti che riportano a casa un antico valore.
Ma il punto di forza resta sempre il tartufo fresco, il re della tavola che, come sempre viene venduto ai ristoratori e cultori del prodotto, in modo particolare nel nord Italia, in Lombardia e in Veneto, in tutto il mondo; ai migliori chef stellati; in modo particolare le grandi pezzature particolarmente apprezzate e vendute all’asta.
Il tartufo è sempre lui, ma la differenza sta nel fatto che oggi lo si conosce molto meglio e sono molto più numerose le persone che sanno apprezzarlo. Resta sempre una rarità!
Fin dal medioevo era conosciuto e offerto ad ospiti illustri, re, Papi, principi. I pizzicagnoli lo vendevano assieme ad altri prodotti come l'olio e i funghi. “Chissà, forse anche loro erano cercatori di tartufi e rivenditori, sicuramente. Ma la nostra storia, almeno fin dove la ricordo io, inizia con mio padre, il suo cane e il vanghino sulla spalla”.