Colophon. È parola antica assai familiare ai bibliofili e a chi s’interessa di libri; il greco Κολοφῶν in italiano corrisponde a: “termine/conclusione”. Occupa l’ultima pagina dei manoscritti e dei primi libri a stampa e contiene le annotazioni bibliografiche e tipografiche, il nome del luogo e la data di stampa, talvolta il nome del mecenate editore, l’insegna commerciale dello stampatore o del libraio, non di rado impreziosito da espressioni di encomio. Rimane in uso corrente fino al definitivo affermarsi del frontespizio nel XVI secolo1.
Il colophon vive ancora e convive col frontespizio, soprattutto nelle edizioni pregiate, riportando spesso anche informazioni sul carattere tipografico, sulle modalità di stampa, sul tipo di carta, sulla tiratura: quasi una sintetica storia, insomma, della nascita dell’edizione.
Oggi con l’affermarsi della scrittura elettronica, dell’e-book, dei quotidiani on line e del web, il libro si avvia a perdere copertina, pagina, legatura e, in una parola, corpo fisico, per smaterializzarsi nella rete.
Avviene qualcosa di paragonabile a quanto successe alla nascita della stampa a caratteri mobili con la disputa tra i neofiti dell’invenzione di Gutenberg e gli eruditi bibliofili; gli uni entusiasti della grande diffusione del sapere che il nuovo libro consentiva; gli altri fieri osteggiatori della novità, che non avrebbero mai rinunciato alla bellezza di manoscritti miniati e non si sarebbero mai rassegnati al nuovo libro, prodotto in serie. Per non parlare degli amanuensi e delle copisterie che perdevano il lavoro.
Ma proprio col nascere e col rapido diffondersi del libro stampato, il manoscritto, bello, miniato e unico ebbe una vera e propria impennata di orgoglio, raggiungendo altissimi livelli artistici in manufatti che abbinavano alla bellezza del segno scritto quella, altrettanto, se non più intensa, dell’illustrazione, spesso col pregio aggiunto di legature raffinatissime.
Oggi c’è chi giura che i tablet, i computer e i cellulari sostituiranno poco alla volta, ma definitivamente, il libro cartaceo, chi, come Ian Sansom, sostiene che stiamo entrando in un’era post-cartacea che ridurrà peraltro la distruzione degli alberi che la sua produzione provoca2, e chi invece è sicurissimo, come Armando Torno, che il libro cartaceo non sarà mai sconfitto dal computer3. L’odierno progresso tecnologico, sviluppato in nome della velocità, smaterializza la scrittura su algidi schermi, costringendoci a “portare il segno”, come si diceva ai tempi delle elementari di noi settantenni, non più con l’indice come facevamo da bambini, ma col mouse.
C’è, ancora, chi ancora crede nel libro, nelle sue pagine, nella sua forma., nella bellezza del suo corpo fisico prescindente dal suo contenuto scritto. Così Bruno Munari, per celebrarne la forma materiale ha voluto realizzare un suo Libro illeggibile, per “vedere – come scrive – se è possibile usare il materiale col quale si fa un libro (escluso il testo) come linguaggio visivo” 4.
Legatura, carta, carattere tipografico, tipo di stampa, dunque, sono le componenti che hanno sempre costituito il corpo fisico del libro. Libro che in un particolare momento storico, ai primi del secolo scorso, si presenta, per le sue caratteristiche, ai rivoluzionari innovatori dei linguaggi artistici, compresi i nostri Futuristi, come l’ideale multiplo nel quale realizzare finalmente l’abbattimento delle distinzioni tra i generi in cui per secoli le arti sono state suddivise e catalogate.
Nasce proprio allora il libro d’artista, nel quale al segno scritto del testo da affidare agli occhi e alla lettura si abbina l’opera artistica da indirizzare a tutti i cinque i sensi. Immagini realizzate in xilografia, litografia, serigrafia, linoleografia, ma anche collage, o estroflessioni tattili, non commentano più o illustrano la parola ma le si affiancano a suscitare quella “vibrazione interiore”, che, per dirla con Kandinskij, è propria dall’arte. Il libro d’artista diventa allora multiplo d’arte da godere oltre la leggibilità delle sue parole.
La Colophonarte di Belluno, ormai da trenta anni, guidata dal suo appassionato e infaticabile fondatore Egidio Fiorin, è attiva nel raffinato e fascinoso cosmo dei libri d’artista, proponendo testi classici e scritti moderni, liriche, racconti e frammenti di teatro, racchiudendoli in multipli nei quali la suggestione della lettura è tutt’uno con le sensazioni visive e tattili dell’arte. Così Boccaccio e Dante, Petrarca e l’Aretino, Shakespeare e De Filippo, Luzi e Castellaneta sono affiancati da artisti di grande livello, che si esprimono con la massima e assoluta libertà di forma e di mezzi, come, solo per citarne qualcuno, Nespolo, Baj, Pomodoro, Paladino, Del Pezzo, Adami.
Bellissimo il primo nato nel 1989: una raccolta di quattro canti di Giacomo Leopardi accompagnati da altrettante grafiche di Walter Valentini, impressi, canti e grafiche, al torchio dallo stampatore Alessandro Zanella su raffinatissima carta Hahnemüle.
Già il 1992 i libri d’artista della Colophonarte erano pronti a uscire dai confini di Belluno per andare al MOMA di New York e poi in tutto il mondo, raggiungendo anche Stoccolma, Budapest, Montpellier, e poi in Italia, Milano, Venezia, Firenze, Bologna.
Ultimo approdo, in ordine di tempo, Napoli, il 18 settembre scorso, al MANN, il Museo Nazionale Archeologico. Nella grande Sala della Meridiana del Museo, fino all’11 novembre, potrà essere ammirata questa rassegna dal titolo assai affascinante ed emozionante Vola alta, parola. Che è lo stesso dell’incipit di una lirica di Mario Luzi, delle dodici pubblicate nel 1994, affiancate da grafiche originali di diversi artisti, chiuse in un cofanetto con un altorilievo di Giuseppe Maraniello: un vero e proprio gioiello per bibliofili.
In mostra una sessantina di opere delle centoventidue che ormai sono nel catalogo della Colophonarte, per un percorso dalle emozioni forti tra gli autori che abbiamo adorato fin da studenti e tra artisti di grande richiamo. Un’occasione davvero da non perdere.
Chi ama questi libri e non può portarsi al MANN, può almeno rifarsi ricorrendo al bellissimo Colophon, quadrimestrale di libri d’artista e di bei libri, elegantissima rivista, che ormai da venti anni Egidio Fiorin, con la collaborazione della figlia Camilla, manda avanti e diffonde dalla grande fucina di idee e di bellezze che è sempre lì, a Belluno.
È da lì, dalle montagne del Bellunese, che tanto incantarono Dino Buzzati, che la parola continua a volare alta, come ha sempre fatto, da quando è nata, prima dando voce agli aedi e agli antichi maestri che affidavano l’insegnamento solo al dialogo, e poi forse con più energia da quando è finita sui libri. E dai libri, come scrisse Victor Hugo, nel 1831, in un passo di Notre-Dame de Paris, “il pensiero si trasforma in uno stormo di uccelli, si disperde ai quattro venti e occupa, al tempo stesso, tutti i punti dell’aria e dello spazio” 5.
La parola, insomma, continua a volare sulle pagine dei libri e dalle pagine dei libri, finendo sotto i nostri sensi con una forza di coinvolgimento emotivo che nessun computer, pur meritevole e utilissimo ma refrattario all’emozione, potrà mai dare.
E il colophon rimane elegante segno distintivo di quei libri nei quali arte e artigianato, piacere della vista e del tatto, pregio della carta e cura tipografica convivono, e che non saranno mai preda della virtualità e dell’elettronica.
1 Cfr Il Manuzio, dizionario del libro, a cura di Antonio Strepparola. Milano, Edizioni Silvestre Bonnard, 2005, pagg.79 e 122.
2 Ian Samson, L’odore della carta. Una celebrazione, una storia, un’elegia. Milano, TEA, 2013, pag. 16 e ss.
3 Armando Torno in: Vola alta, parola, i libri d’artista delle Edizioni Colophon. Belluno, Colophonarte, 2015, pag. 133.
4 Bruno Munari, Da cosa nasce cosa. Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 216-226.
5 Victor Hugo, citato da: Giorgio Montecchi, Storia del libro e della lettura dalle origini ad Aldo Manuzio. Milano/Udine, Mimesis, 2015, pag. 16.