Arte e impresa, creatività al servizio del progresso e dell'evoluzione integrale della società, crescita socio-economica e rinnovamento culturale. Quando questo incontro si determina, quando questa intersezione virtuosa avviene, è segno che la rinascita è possibile. È accaduto in un tempo felice per l'Italia, quello del cosiddetto "boom economico", quel tratto della nostra vicenda nazionale che gli storici definiscono il "trentennio glorioso" (grosso modo 1946-1978), giunto a massima fioritura negli anni Sessanta. Tale da configurare un secondo Rinascimento italiano, dopo quello, a valenza universale, di Leonardo e Michelangelo.
Tuttavia, non si può dire che il piccolo Rinascimento del secolo scorso fosse solo una fortunata coincidenza, bensì un incontro voluto e cercato. Un connubio desiderato da un'imprenditoria “illuminata” che ancora necessitava dello sguardo immaginifico dei protagonisti dell'arte contemporanea dell'epoca. Un sodalizio che si è concretizzato nell'opera straordinaria e poliedrica di Bruno Munari. Artista, designer, scrittore, poeta, divulgatore dal profilo leonardesco ed eclettico, Munari ha segnato lo sviluppo del concetto di creatività artistica applicata all'innovazione industriale. Profondamente interessato alla crescita e allo sviluppo delle nuove generazioni, l'artista milanese ha scritto diversi libri dedicati ai bambini e alla loro geniale e genuina capacità di creare.
Milanese di nascita, Bruno Munari trascorse parte della sua vita, fino all'adolescenza a Badia Polesine. Rientrato, poi, nella sua città d'origine iniziò a lavorare in alcuni studi grafici. Frequentò il movimento Futurista di Marinetti a metà degli anni '20 e collaborò con alcuni suoi esponenti aprendo il suo primo studio di grafica e pubblicità. Conobbe André Breton e Louis d'Aragon e, dopo essersi lasciato alle spalle il Futurismo, fondò insieme ad alcuni colleghi tra cui Gillo Dorfles, il Movimento Arte Concreta.
Quello degli anni Cinquanta fu un periodo estremamente fertile per Munari. L'intuizione dei “negativi-positivi”, i quadri astratti in cui è possibile stabilire cosa stia in primo piano da cosa stia nello sfondo, anticipa l'arrivo delle “macchine aritmiche”, dei famosissimi “libri illeggibili”, dove le lettere del testo appaiono e scompaiono, fino agli esperimenti di scomposizione della luce con i “polariscopi”.
Munari è un autentico precursore. Anticipa le odierne installazioni, quando nel 1953 recupera gli oggetti del mare nel progetto Il mare come artigiano, la sua capacità di creare, disgregare, decrittare e generare significati è infinita. Lo fa nel 1958 con i rebbi delle forchette definendo una sorta di linguaggio appunto quello delle “forchette parlanti”, per poi indirizzare la sua arte alle “sculture da viaggio” per rendere più umane le stanze degli alberghi di chi è costretto a viaggiare continuamente per lavoro.
Munari è un fiume in piena, capta il cambiamento in atto nella voglia di sperimentare da parte della classe dirigente, sente che l'Italia può essere punto di riferimento nella ricerca e nello stile a livello internazionale. Affronta molti viaggi, è affascinato dall'Oriente, dal Giappone della cultura zen, dalle asimmetrie che creano dissidi ma generano improvvisi salti in avanti. Proprio a Tokyo realizzerà una fontana a 5 gocce. La caduta casuale delle gocce in punti definiti va infatti a generare un'intersezione di onde, i suoni che ne emergono vengono poi registrati da microfoni subacquei che vengono quindi amplificati nella piazza che ospita l'installazione.
L'arte di Munari è onnivora e giunge quasi naturalmente alla sperimentazione cinematografica. Un tassello che si aggiunge alla costruzione ragionata di una personalità antesignana nel vero senso del termine. A fare compagnia alle intuizioni di Munari ci sono musicisti del calibro di Luciano Berio, che firma le musiche del film I colori della luce, o Pietro Grossi con Tempo nel tempo o Scale mobili. A Cardina, quartiere generale dell'artista sulla collina di Monteolimpino al confine con la Svizzera, realizza numerosi progetti cinematografici di avanguardia insieme a Marcello Piccardo e ai suoi figli; da qui prenderà vita la “Cineteca di Monteolimpino – Centro internazionale del film di ricerca”.
Ma la voglia di affrontare ambiti diversi per elaborare ulteriormente la propria visione artistica, non abbandona mai Munari che negli anni Settanta inizia ad analizzare le possibilità offerte dai frattali appassionandosi alla curva di Giuseppe Peano, il matematico che la individuò all'interno di un quadrato. In questo caso l'intervento di Munari fu quello di colorare questa curva rendendola un'opera d'arte compiuta dall'indubbio fascino estetico.
L'attenzione per ogni aspetto del vivere sociale è sempre presente nell'opera dell'artista milanese. In particolare, Munari da sempre si concentra sul futuro, su quello che rappresenterà il mondo negli anni a venire. E, in questa accorata riflessione, non sono mancati i veri protagonisti, ossia i bambini. Sull''infanzia Munari amplifica il suo spettro di speculazione, analizza le modalità che consentano ai bambini di sviluppare al meglio le proprie capacità creative senza censure, senza perdere quella spontaneità e naturalezza che sono parte fondamentale dell'età infantile. Ecco che nel 1977, ancora una volta antesignano, crea il primo laboratorio per bambini in un museo presso la Pinacoteca di Brera a Milano.
Instancabile, febbrile e profondamente innamorato della vita, Munari creò fino alla fine. La sua ultima opera data pochi mesi prima di morire all'età 91 anni.