A cavallo tra l'estate e l'autunno di tre anni fa, (con una frase che è rimasta nelle menti di tanti italiani e non: ''Amatrice non c’è più!''), la Terra decise di rammentarci che l'Uomo non può dimenticarsi di Lei, non può continuare ad ignorare i segnali di sofferenza che ci lancia ormai da tempo.
Noi, che abitavamo cittadine e contrade con l' orgoglio di chi era cosciente del proprio passato e del suo valore, facendosene di esso testimone e insieme custode, vedemmo le nostre case, le nostre viuzze, la nostra storia – personale, ma anche collettiva, delle comunità - spazzate via nel giro di pochi secondi che, per paradossale che possa apparire, invertirono ogni logica perché furono lunghissimi, quanto un'agonia, rendendoci consapevoli che al ''prima'' sarebbe seguito un ''dopo'' di dolore, di angoscia, di tristezza''.
Inizia così un incontro con Sergio Pirozzi, ora consigliere regionale del Lazio e presidente della Commissione Terremoto e Protezione Civile, un colloquio misto di rabbia e di speranza che vede nella solidarietà un segno di vita, per ricominciare con chi ha da subito dato il suo tempo e il suo lavoro per aiutare queste popolazioni. Sono, dice Pirozzi ''sentimenti carichi di sofferenza che avrebbero dovuto affliggerci per chissà quanto tempo, ma che invece, man mano che passavano i giorni che comunque lasciavano intatto il senso di straniamento, sono stati attenuati da un solo pensiero, che era anche una speranza: che la solitudine del dolore sarebbe stata attenuata, pur se non sconfitta, dalla vicinanza di chi, a noi sconosciuto, era accorso per aiutarci, per ripeterci in continuazione che sarebbe finita''.
Chi erano? gli chiediamo. ''Uomini, donne, ma anche tantissimi ragazzi - ci spiega commosso Pirozzi - che spesso a mani nude, scavando tra le macerie e portando via pietre e con esse molti dei nostri ricordi che esse custodivano, ci hanno dato quel che oggi, purtroppo, non avvertiamo più accanto a noi. La speranza, una cosa che ti alimenta e dà forza, che ti sostiene e che ti convince che puoi farcela, che, quando vedi le ginocchia piegarsi, fa sì che tu possa trovare in te le ultime risorse per rialzarti''.
È importante la speranza? Chiediamo all'ex sindaco di Amatrice.''È stata la speranza che ha lenito il nostro dolore - dice Pirozzi - e che aveva volti, età, dialetti, mestieri che venivano da molte regioni che mai avremmo pensato potessero sentirsi coinvolte nel nostro dramma. Ancora oggi, pensiamo ai nostri soccorritori come ad angeli, ma erano e sono uomini e donne che credono nella solidarietà disinteressata e che non vogliono che un evento luttuoso quanto inatteso possa allontanare una frazione d'Italia dal resto del Paese''.
''La Firenze dell'alluvione - dice Pirozzi - ebbe i suoi angeli del fango; noi, colpiti, schiaffeggiati dal terremoto, abbiamo avuto solo angeli e basta. Angeli che ci hanno teso la mano e noi quella mano l'abbiamo presa, anzi stretta piangendo, come chi viene travolto dal mare e si avvinghia a quelle dita. Noi, la gente del terremoto, dal Lazio, all' Abruzzo, all' Umbria, alle Marche, non li abbiamo dimenticati, allo stesso modo con cui loro non ci hanno cancellato dalla loro memoria, pensando di avere esaurito la loro missione di solidarietà nelle settimane che seguirono il sisma. Come, invece, pare ci abbiano dimenticato altri, che hanno responsabilità ben più alte e che vengono tra le nostre macerie a dirci che sono accanto a noi e, a parata finita, se ne tornano a Roma a bordo dei loro macchinoni, degli elicotteri, tra sirene ululanti e il turbinio delle pale, che sollevano polveroni comunque meno fitti di quelli alzati dai discorsi di chi ha memoria corta''.
Bene, il tempo delle parole è passato, ma purtroppo tarda il tempo del fare, incalziamo Pirozzi. ''Noi - risponde con il sorriso - con le nostre forze, abbiamo cercato di fare. Ma è un prezzo troppo elevato perché noi, da soli, ce la si faccia a risollevarci. ma anche la nostra ribellione non sarà solo di protesta, mascherando il rancore, ma quel che abbiamo fatto e che faremo e come la nostra gente vuole vincere la sua guerra. La vittoria nelle battaglie la lasciamo a chi si nutre dell'effimero. Al contrario di chi, come noi, ha in cima alle sue priorità il bene comune. Spero ci sarà un momento in cui ci ritroveremo tutti insieme, noi e i nostri angeli, cui offriremo il nostro grazie, forte, fortissimo, la cui eco si senta sin dentro i palazzi di Roma, per ricordare a chi ci ha scordato che il terremoto ha colpito le nostre mura, ma non ha raso al suolo quel che nessuno ci può rubare, la dignità''.