Al MAST di Bologna fino al 5 gennaio 2020 in anteprima europea la mostra Anthropocene che indaga l’impatto dell’uomo sul pianeta attraverso le immagini spettacolari di Edward Burtynsky, artista e fotografo tra i più conosciuti e apprezzati nel mondo con otto lauree honoris causa e tra i tanti premi ricevuti, il Master of Photography a Photo London nel 2018.
La mostra multidisciplinare, a cura di Urs Stahel, è il frutto della collaborazione quadriennale tra il fotografo e i registi pluripremiati Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier e si compone di diversi elementi tra i quali 35 fotografie, quattro giganteschi murales ad altissima risoluzione per osservare i minimi dettagli raffigurati nei grandi scenari, i filmati e le videoinstallazioni, un modo per comprendere a fondo l’intervento dell’uomo a danno della natura, tre installazioni di realtà aumentata per vivere un’esperienza immersiva grazie a un’immagine 3D a grandezza quasi naturale e il film *Anthropocene: The Human Epoc, co-diretto dai tre artisti a testimoniare questo momento critico nella storia geologica del pianeta, con la voce narrante del premio oscar Alicia Vikander (il film sarà distribuito in Italia a settembre).
Anthropocene presenta un’esplorazione mondiale che documenta l’impronta umana sulla terra, dalle miniere di potassio nei monti Urali in Russia alla devastazione della Grande barriera corallina australiana, dalle più grandi discariche del mondo a Dandora in Kenya alle surreali vasche di evaporazione del litio nel deserto di Atacama.
Da cosa nasce questo progetto che mette in luce con scenari di immensa suggestione lo stato odierno della nostra Terra?
Ho sempre amato stare in mezzo alla natura ed è stato grazie a questa mia passione che ho iniziato a capire il tempo profondo e il rapporto che abbiamo con la storia geologica del nostro pianeta. Ma il nostro pianeta è stato testimone di cinque grandi estinzioni di massa provocate da cause diverse: un tremendo impatto con una meteora, enormi eruzioni vulcaniche e attività dei cianobatteri marini che rilasciarono tossine mortali nell’atmosfera. Si trattavano di fenomeni che accadevano naturalmente e che determinavano il flusso della vita.
E ora?
Ora sta diventando sempre più evidente come il genere umano con la sua esplosione demografica, l’industria, la tecnologia, sia diventato in brevissimo tempo la causa di enormi cambiamenti globali. Si potrebbe dire che siamo sul punto di diventare (se non lo siamo già) i responsabili della sesta estinzione di massa.
L’Antropocene determina i segni indelebili lasciati dal genere umano sugli strati geologici del nostro pianeta e come si evince nel progetto esposto al MAST di Bologna?
Considero la mia attenzione verso l’Antropocene come un’estensione concettuale di quelli che sono i miei interessi primari e fondamentali di fotografo. Mi sono sempre preoccupato di mostrare l’impatto che abbiamo sul pianeta, in un modo che non passa inosservato. A questo scopo cerco e fotografo enormi e complessi interventi umani che lasciano segni permanenti sul nostro pianeta. Il punto focale della mia sfida è stato la ricerca di punti di vista che mi permettessero di rappresentare al meglio la relazione esistente tra queste immense realtà create dall’uomo e la terra”.
Quanto conta la tecnologia nel suo progetto?
Negli ultimi anni la tecnologia fotografica digitale è diventata il mio principale strumento di lavoro e mi ha permesso di esplorare tecniche fotografiche più complesse. Per il progetto Anthropocene possiamo ora realizzare ad alta risoluzione grandi immagini di circa tre metri per sette scattando prima diversi fotogrammi e cuocendoli poi insieme usando un software per creare degli enormi file da stampare. Questo è il metodo che ho utilizzato per documentare con grandi immagini dei luoghi straordinari. Il mio lavoro è una sfida continua e non solo apprendo la tecnica, ma conosco anche il mondo che mi circonda; imparo cose sconosciute e sviluppo nuovi modi per percepirle.
Sono solo fotografie che denunciano la catastrofe della Terra?
Alcune foto del Progetto Anthropocene mostrano alcuni tra i luoghi più verdeggianti e belli in cui mi sia imbattuto. Ritornando alle origini, a livello terra e alla mia venerazione adolescenziale per la natura selvaggia e incontaminata, ho visitato ciò che rimane delle antiche sequoie della Columbia Britannica. Era importante che questo progetto mettesse in evidenza alcuni dei meravigliosi ecosistemi che sono in via d’estinzione, la bellezza e la biodiversità che stiamo rischiando di perdere.