L’Esquilino è un rione di Roma che attualmente sviluppa una superficie di 3 km2 con la presenza di 37.000 abitanti. È il più alto ed esteso dei sette colli dell’Urbe, e la sua etimologia deriva probabilmente dal nome latino Esquilinus che trae le origini dalla parola Aexculi, gli arbusti di leccio cari a Giove che ricoprivano il colle.
In epoca romana l’area era occupata da abitazioni lussuose, come gli Horti di Mecenate con il Ninfeo-Auditorio tuttora conservato e gli enormi giardini annoverabili tra i più belli del mondo antico. Vi erano ancora gli Horti Lamiani, dove è stata rinvenuta la straordinaria Venere Esquilina attualmente ai Musei Capitolini, e ancora i Maiani, i Pallantiani, i Torquatiani, i Tauriani e i Liciniani, che con Caligola e Nerone entrarono a far parte del patrimonio imperiale, sommandosi alle costruzioni palatine. Nel giardino di piazza Manfredo Fanti è tuttora conservato un tratto dell’Agger Tulliano (prima metà del IV sec a.C.), mentre in piazza Vittorio Emanuele II il Ninfeo di Alessandro (Trofei di Mario, II-III sec), ma anche la curiosa Porta Magica di accesso alla villa dell’alchimista Massimiliano Palombara.
Con l’avvento del cristianesimo in diverse case della zona di proprietà di nobili convertiti vennero realizzate dapprima Domus Ecclesiae (case private adattate alle necessità del culto) e poi Titulus (strutture architettoniche in cui si svolgevano i riti religiosi); tra questi quello di Prassede (Praxedis).
Prassede e la sorella Pudenziana erano figlie del senatore Pudente (di cui parla San Paolo nella seconda lettera a Timoteo) che avrebbe fondato un titulus. Alla morte del padre le giovani sorelle costruiscono un battistero nel citato titulus per battezzare con l’approvazione di papa Pio I (142 -155) coloro che si convertivano al cristianesimo.
Morta in giovanissima età anche la sorella, Prassede eredita i beni di famiglia e costruisce una chiesa intitolata al suo nome sub titulo Praxedis. In essa la ragazza nasconde molti cristiani perseguitati dall’imperatore Antonino Pio (138-161), che scoperti vengono messi a morte. Prassede raccoglie i loro corpi seppellendoli nelle catacombe di Priscilla poste sulla via Salaria. Ben presto la giovane Prassede muore e anch’essa viene sepolta nel cimitero di Priscilla.
Per salvaguardare dalle invasioni dei Longobardi le reliquie dei martiri conservate nelle catacombe, nell’817 Pasquale I (817-824) fece costruire la chiesa di Santa Prassede (la basilica odierna) sopra l’antico titolo, facendovi trasferire 2.300 corpi di martiri. Tra questi anche i corpi di Prassede e Pudenziana. Pasquale I chiamò i migliori mosaicisti per decorare l’abside e un nuovo sacello dedicato a San Zenone, tanto da far chiamare la chiesa Hortus Paradisi.
Catino absidale
Al centro del catino absidale i mosaici raffigurano Cristo in piedi con il braccio destro alzato nell’atto di mostrare il palmo della mano con i segni della crocifissione, mentre con la mano sinistra stringe il rotolo. A sinistra, si trovano San Paolo, Prassede, Pasquale I con il modellino della chiesa. A destra, si trovano San Pietro, Pudenziana, San Zenone. Sull’albero di palma di sinistra si trova una Fenice, emblema del sorgere e risorgere del Sole, della nascita e rinascita degli esseri.
Sotto scorre il fiume Giordano, con l’Agnello Pasquale, i quattro fiumi del Paradiso e dodici agnelli (Apostoli). A sinistra, si trova la città di Betlemme, mentre a destra quella di Gerusalemme. Le mura di queste due città sono gemmate, senza torri e con le porte senza battenti; dall’architrave vi pendono tre perle. Ancora sotto una lunga iscrizione su tre righe in sintesi afferma: “Questa dimora in onore della pia Prassede, amata dal Signore, risplende per le premure di Pasquale alunno della sede apostolica, egli pone sotto queste mura i corpi di numerosi martiri con la fiducia di meritare l’accesso alla dimora celeste”.
Arco absidale
Al centro dell’arco absidale, all’interno di un medaglione blu troviamo l’Agnello seduto sul trono gemmato, sotto il quale si trova il libro dei sette sigilli. L’Agnello, cioè Cristo Risorto, è l’unico in grado di sciogliere i sigilli e di rilevare il progetto salvifico di Dio. Ai suoi lati sono collocati 7 candelabri o lampade, cioè le “sette chiese”, ovvero tutte le comunità cristiane di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Seguono quattro angeli, e i quattro Evangelisti identificati con l’Aquila (Giovanni); il Toro (Luca); il Viso d’uomo (Matteo); il Leone (Marco). Sotto si trovano i ventiquettro vegliardi vestiti di bisso bianco che con le mani velate offrono a Gesù corone d’oro che simboleggiano la sapienza. Al centro dell’intradosso dell’arco absidale si trova il monogramma di Pasquale I.
Arco trionfale
La rappresentazione si svolge sopra un suolo verde cosparso di fiori immagine del Paradiso e sotto un cielo scuro solcato da piccole nuvole bianche. Dietro un recinto gemmato con torri che idealizza la Gerusalemme celeste, al centro è collocato Gesù vestito con tunica lumeggiata di rosso; con la mano destra benedice, mentre con la sinistra porta il rotolo. Ai suoi lati sono posti due angeli con nimbo blu, a significare che sono creature celesti; mentre nel registro inferiore troviamo a destra Santa Prassede e a sinistra Maria e Giovanni Battista. Al loro fianco una fila santi e apostoli con il nimbo dorato offrono la corona a Cristo. All’estremità destra troviamo il profeta Elia, all’estremità sinistra Mosè con la tavola delle leggi. Accanto al profeta Elia troviamo un angelo molto particolare con tunica rossa e in mano un libro e una canna che serve per la misurazione della città, potremmo per questo individuarlo come l’Angelo Architetto di Dio. Le porte della città non hanno chiusure, sono aperte e custodite da due angeli. Al di fuori delle mura si accalca la folla degli eletti che vogliono essere ammessi alla città celeste, sono i 144.000 salvati, si tratta di un numero sacro, il quadrato di 12, ovvero tutti i fedeli, tutto il popolo di Dio.
Sacello di San Zenone
Fatto costruire da Pasquale I come sacello funerario per la madre Teodora e dedicato a San Zenone, rappresenta un rarissimo esempio nell’alto medioevo di oratorio annesso a una chiesa. Tutto il sacello, sia nel prospetto interno che nell’interno è decorato con mosaici di inestimabile valore e bellezza databili all’817.
Il Prospetto esterno del sacello annovera una finestra che inquadra antica Urna cineraria ansata e strigilata sopra l’architrave del portale. Sopra troviamo due serie di clipei: nella prima al centro la Madonna con il Bambino fra due santi (San Zenone e San Valentino), a seguire quattro sante per lato. Nel registro superiore al centro Cristo in un clipeo serrato dai dodici apostoli; negli angoli superiori sempre entro clipei si trovano Mosè ed Elia. Nei riquadri in basso si trovano invece i ritratti ottocenteschi di Pasquale I e del suo successore Eugenio II.
L’interno del sacello a pianta quadrata vede negli angoli quattro colonne marmoree con capitelli dorati senza funzione portante, costituiscono, infatti, ipotetici piedistalli per gli angeli della volta che sostengono un clipeo con Cristo Pantocrator.
Sulla parete dell’altare, nella parte alta, vi è rappresentata una Deesis, con le figure della Vergine e San Giovanni Battista come intercessori per l’umanità verso Cristo qui simboleggiato dalla luce che entra dalla finestra. Nel fondo della nicchia l’episodio della Trasfigurazione con Gesù, Mosè ed Elia nella mandorla e Pietro e Giovanni.
Sopra la mensa mosaico realizzato nel 1265-1285 con la Vergine e il Bambino che benedice con a fianco Prassede (a sinistra) e Pudenziana.
Nella parete di controfacciata è rappresentata l’Etimasia, la croce aurea che appare sul trono gemmato simboleggia l’attesa di Cristo per la seconda Parusia. Ai lati Pietro e Paolo.
Nella parete di sinistra troviamo figure intere di Sant’Agnese e Santa Pudenziana e, dopo la finestra, di Santa Prassede. Nella nicchia, nel registro superiore è rappresentato l’Agnello sul monte con i cervi che si dissetano ai quattro fiumi paradisiaci. Nel registro inferiore a mezzo busto la Madonna, Prassede, Pudenziana e Teodora madre di Pasquale I definita nell’epigrafe “episcopa” con nimbo quadrato.
Nella parete di destra troviamo Giovanni con il Vangelo separato da una finestra cieca da Andrea e Giacomo che con le mani coperte portano i “rotoli”. Nella nicchia Cristo tra San Valentino e San Zenone.
Le trasformazioni e le cappelle
Dal 1198 la custodia della Basilica di Santa Prassede è affidata ai monaci Vallombrosani.
Dall’alto medioevo ad oggi la chiesa ha naturalmente subito trasformazioni e integrazioni. Il Presbiterio, ad esempio, è stato modificato nel 1728-1734 per volere del cardinale Ludovico Pico della Mirandola su progetto di Francesco Ferrari. In quell’occasione, in particolare, è stato realizzato il ciborio con angeli in stucco di Giuseppe Rusconi recanti i simboli del martirio. Il quadro dell’abside è di Domenico Maria Muratori e rappresenta Santa Prassede intenta a raccoglier e conservare il sangue dei martiri in un pozzo. Anche la cripta con le reliquie di Prassede e numerosi altri martiri è stata modificata.
Fra il 1594 e il 1596 le pareti della navata principale sono state decorate con colori festosi ed esuberanti da un gruppo di artisti controriformisti (Paris Nogari, Agostino Ciampelli, Girolamo Massei, ecc) con un ciclo di affreschi raffiguranti le Storie della Passione di Cristo.
La Cappella Cesi è stata realizzata nel 1595 e presenta la volta dipinta dal Borgognone con al centro il Padre benedicente con gloria e angeli.
La Cappella Olgiati è stata edificata fra il 1583 e il 1586 su progetto dell’architetto Martino Longhi il Vecchio, presenta una volta affrescata dal Cavalier d’Arpino che rappresenta l’Ascensione di Cristo.