Laureata all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano) è docente di Teoria ed Estetica della Danza alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, dove, dal 1994, è responsabile delle attività del Corso Danzatori prossimo a diventare di primo livello universitario. È saggista e critico di danza e balletto dagli anni Ottanta per svariate testate anche straniere cartacee e online. Quasi ventennale la collaborazione a Il Sole 24ore-Domenica. È stata ospite, come “maître de conference” all’Université Paris III – La Sorbonne ove ha tenuto corsi di estetica della danza concernenti il teatrodanza (Licence e Maîtrise). Per molti anni ha tenuto corsi di Metodologia della critica di Danza al Dams dell’Università Alma Mater Studiorium di Bologna e di Scrittura critica presso l’Università Cattolica di Milano. Dal 1997, è curatrice dei programmi di sala di balletto del Teatro alla Scala dove tiene conferenze, qui come nei maggiori Teatri italiani. Consulente di varie case editrici, ha ideato mostre, tra cui, nel 2009-2010 per il Museo Teatrale alla Scala, Les Ballets Russes alla Scala- Milano anni Venti, diventata un sito dell’Università degli studi di Milano.
È autrice di svariate pubblicazioni saggistiche e di testi sulla danza. Dal 1990 al 1994 ha ideato e varato il Progetto Neoclassico per il Teatro A. Ponchielli di Cremona, mentre dal 2011 cura la direzione artistica del Progetto RIC.CI: Reconstruction Italian Choreography anni’ 80 e ‘90, un evento long-running in corso, sostenuto da un network di circuiti, teatri e festival. Dedicato alla memoria storica della coreografia contemporanea italiana, ovvero alla nostra “tradizione del nuovo”, RIC.CI è giunto alla sua nona tappa con Tango Glaciale Reloaded di Mario Martone (1982/2018).
Ho volutamente allungato, sperando di non appesantire il lettore, il mio curriculum poiché contiene molte delle mie gioie e dei miei progetti realizzati e in corso. “Se siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, come dice Shakespeare nella Tempesta, ebbene allora io sono una sognatrice. Felice e fortunata per aver realizzato molti progetti e aver visto concretizzate molte idee della mia mente inquieta. Vivo con passione anche nel privato e questa irruenza emotiva porta anche a delusioni che tuttavia incidono sino a un certo punto nel cammino, iniziato a zig-zag, ma ormai rettilineo, che vedo davanti a me. Sono quasi sempre sommersa dalla scrittura, dall’insegnamento; vorrei scrivere molti libri e realizzare progetti non ancora usciti dal cassetto. Deludenti i tempi che corrono, così poco attenti all’ambito culturale, ma combattere non mi spaventa. Anzi mi sprona.
Quali incontri, esperienze, l’hanno spinta ad appassionarsi alla danza?
Nell’ambito della mia formazione in Belle Arti, nel Corso di Scenografia, era abituale studiare e ricercare teatro, musica, danza, scenografia, ovviamente, estetica, cromatologia, eccetera; negli ultimi anni di Accademia, in particolare, mi sono occupata di ricerche sulla danza e sul teatro costituendo un gruppo con altri quattro studenti. Abbiamo realizzato mostre e progetti guidati dai nostri insegnanti tutor, miei indimenticabili maestri, come Francesco Leonetti, Luigi Veronesi, Alik Cavaliere, Guido Ballo, Tito Varisco e Luisa Spinatelli, con Luigi Pestalozza e Francesco Degrada. La mia consuetudine con la musica anche contemporanea mi ha consentito di allestire con una collega dell’Accademia uno spettacolo al Conservatorio di Milano con allievi di composizione di Giacomo Manzoni. In quell’occasione abbiamo richiesto la partecipazione di danzatori. Alla fine dell’Accademia ho creato, invece, da sola, come regista, uno spettacolo intitolato L’amore delle tre melarance da Carlo Gozzi e su musica di Sergej Prokof’ev, coinvolgendo tre danzatrici e un attore; ho vinto un Premio e lo spettacolo è stato inserito in una rassegna indetta dal critico Franco Quadri. Musica, danza, teatro erano, inoltre, materie di studio teorico, a cui per me si aggiunsero Semiotica del teatro, Filosofia della musica e, fra tanto altro, Etnomusicologia. Devo infatti aggiungere che ho frequentato anche l’Università La Sapienza di Roma, ma senza giungere alla laurea, poiché avrei dovuto sostenerla negli stessi anni dell’Accademia di Brera. In particolare, avrei dovuto laurearmi con Diego Carpitella, celebre etnomusicologo, da tempo scomparso.
Ho avuto, dunque, la fortuna di poter mettere in pratica certe mie idee sul teatro e sulla danza sin dagli anni dello studio: questo non ha fatto che rafforzare la mia passione per la scena performativa, grazie a tanti altri maestri come: Ferruccio Marotti, Filiberto Menna, Mario Spinella, Paolo Volponi, a cui devo aggiungere il più coraggioso organizzatore di eventi culturali milanesi della mia gioventù: Gianni Sassi. Sono simbolicamente grata ad Antonin Artaud, Friedrick Nietzsche e Giorgio Colli, a Roland Barthes, Gilles Deleuze, Jacques Deridda, Vladimir Jankélévitch, Joseph Campbell, Michel Serres, Maurice Blanchot, Samuel Beckett, James Joyce, Merce Cunningham, John Cage, eccetera, eccetera, senza dimenticare l’imprescindibile Rudolf Laban..
Estetica (aisthesis) della danza richiama la sensorialità in movimento; estetica e danza sono due parole ricche di vitalità, rendono l'idea del corpo che si vive nello spazio in maniera armonica. Si sente vibrare il benessere del bello. Ma che significato le attribuisce? Cosa significa insegnare estetica della danza?
Insegnare estetica della danza significa partire dall’origine dell’Homo sapiens e dal suo modo di muoversi per dare una risposta con il proprio corpo al mistero della vita e alla paura della morte, esorcizzata in riti di varia natura. In tutto il mondo la danza è stata, per l’uomo, il veicolo del proprio riconoscersi come individuo in una collettività bisognosa di crescere, svilupparsi, interrogarsi su come e perché essere su questa terra e sulle turbolenze di una natura non certo amica. È poi un lungo cammino che dai filosofi e tragici greci, pensiamo alle Baccanti, porta alla filosofia dell’arte odierna, intrecciata a quei teorici della danza in sé che contribuirono e contribuiscono, a mio avviso, a dare una percezione chiara di come la danza passata da un’intimità rituale e spirituale e poi al professionismo sia tornata ad essere una delle espressioni che più e meglio scavano nell’interiorità e ne restituiscono tutti i possibili sentimenti, le fantasie e le angosce. Attenzione, in questo viaggio bisogna escludere che vi siano solo armonia e bellezza, anzi.
La danza è sempre stata l’espressione ideologica e utopistica di una società: piramidale nella gerarchia dei suoi interpreti, aereo, tutto teso alla linearità di un corpo senza peso nel balletto accademico; al contrario attratto dalla terra, a piedi scalzi, attento al valore del peso e della zona pelvica e comunque obbligato entro regole precise nel balletto moderno, accademico-moderno o moderno-contemporaneo. Oggi, un oggi che risale agli anni Sessanta del secolo scorso, è tornata per il corpo danzante, una libertà che comunque, persino nella danza cosiddetta “sociale”, d’incontro e di autoanalisi per dilettanti e amatori, comporta sacrificio nel costante e necessario training del corpo che del danzatore è il peggior nemico.
Ogni corpo, ogni “persona danzante” come direbbe Pina Bausch, ha le proprie posture, i propri “difetti”, le proprie naturali caratteristiche, che tuttavia, se consapevoli, si possono trasformare in autentici pregi. Certo la libertà odierna è un traguardo e un ritorno al passato più lontano che rende diversa, necessaria, e coinvolgente anche la fatica e la sofferenza del corpo per chi intraprende questa via artistica, o per diletto. Vorrei tuttavia precisare, facendone solo un breve cenno, che occorre sempre distinguere tra danza e coreografia, arti sorelle, ma del tutto diverse.
Dalle sue origini sacrali, magiche e rituali, la danza ha subito un processo di “laicizzazione”: cos’è rimasto del suo spirito originario?
In parte ho già risposto a questa domanda. Lo spirito originario della danza, senza per forza attribuirgli un valore sacro, magico o rituale, si ritrova nella contemporaneità. Ossia nell’espressione di una libertà del corpo che senza per forza tradursi in preghiera, lo ha liberato dall’essere artificiale, costruito, e costretto entro regole che spesso ne hanno distorto la naturalezza fisica. Nella danza odierna confluiscono insegnamenti che riguardano la presenza scenica, lo sguardo e anche l’uso della voce; in un semplice gesto poetico è racchiuso un universo di bruttura espressiva ma tragica (la bellezza può essere ornamentale, superficiale, inespressiva e allora a che vale???, almeno in teatro), oppure di lirismo, evanescenza e fragilità, così consona, quest’ultima, ai nostri tempi bui.
Sembra che “danza”, derivi dal sanscrito “tan”/gioia …
Il termine “danzare” in italiano deriva dal francese antico danser, o dal franco dintjan. Nell'antica Grecia, il "coro" si esprimeva principalmente danzando nello spazio antistante l'edificio scenico (in greco σχηνέ, schené) denominato ορχήστρα, (orchḗstra). Il fatto che, in quello spazio, il coro danzasse, spiega l'etimologia della parola "orchestra", che deriva dal verbo ορχήομαι (orchḗomai, danzare), ma è anche il motivo per cui, in tutte le lingue i termini che si riferiscono alla danza (coreografia, coreutica; chorégraphie, choreutique; choreography, choreutic) portano in sé l'etimo greco χόρος, (chóros). In effetti, invece, in tedesco danza si dice Tanz e la sua radice tan deriva dal sanscrito, proprio come nel termine franco dintjan e con la stessa accezione anche di gioia.
Del resto, se c’è una civiltà che sin dai tempi più remoti ha amato la danza, questa è l’indiana. Si pensi che nella loro mitologia il cosmo è stato creato dal dio Shiva, sempre ritratto o scolpito in pose danzanti. Chi danza sa quel che accade, scrisse Nietzsche, e gioisce di questo sapere che è del corpo in movimento, del suo inconscio, del suo essere un corpo-mente, istinto, emozione e non solo razionalità.
Si può dire che il ballo sia una metamorfosi mondana della danza?
Ballo e danza designano da una parte l’espressione popolare e conviviale del danzare, e dall’altra, invece, la sua manifestazione meno spontaneistica e più colta, riservata all’inventiva artistica e coreografica. Tuttavia, anche il ballo ha avuto e conserva regole, in specie se si pensa al ballo popolare o al folklore che tra l’altro oggi ispira molta danza contemporanea. Quindi, risponderei di no. Si balla in discoteca e si balla il flamenco, per fare due svelti esempi: dunque, no il ballo non è la metamorfosi mondana della danza come si potrebbe credere.
Qual è l'approccio femminile e maschile alla danza?
Le distinzioni di genere tendono a scomparire, ma bisogna considerare fisicità e morfologia di donne e uomini, assai differenti come la loro psiche. Quanto all’approccio, direi che non cambia neppure nei portatori di handicap, oggi più che in passato protagonisti nella danza odierna. Se ancora esistono residue sacche di resistenza sociale nell’approccio maschile alla danza considerata “femminea”, direi che per fortuna stanno scomparendo. È il linguaggio che ci deve aiutare a non creare separazioni, categorie, confini, sistemi binari e pure nazionalismi. Credo sia giunto il momento di evitare la violenza sul corpo insita nella sua divisione in categorie di genere, visto che il genere in una persona può anche mutare, senza che questo implichi alcunché di penalizzante nel suo approccio alla danza.
Altra componente spesso intrinseca a danza e ballo è l’erotismo, implicito o esplicito, c’è un filo rosso che collega i riti dionisiaci alle discoteche?
Come forma liberatoria, necessità comunitaria, esplosione di istinti abitualmente repressi nel contegno a scuola e/o al lavoro, i giovani frequentatori delle discoteche si esprimono spesso in modo dionisiaco. Ma non bisogna confondersi con il passato più che remoto. Dioniso nell’antica Grecia era l’importantissimo dio che rinnovava il ciclo vegetale, tornava a far scorrere il vino e consentiva agli uomini un contatto più stretto con il divino; tuttavia i riti dionisiaci non coincidevano solo con la possessione impartita dal dio ed erano di vario tipo: urbani, campagnoli, con feste delle vendemmie. Ad Atene si tenevano rappresentazioni drammatiche, processioni, gare ditirambiche. Quando i riti dionisiaci sconfinarono in baccanali orgiastici furono vietati anche in Italia, anche se in forme più contenute ebbero sempre grande importanza sino all’età imperiale. Quanto all’erotismo il corpo scenico può scegliere di essere erotico oppure il suo contrario, anche nella nudità il corpo può non essere affatto erotico.
Al mondo “aristocratico” del balletto classico si è affiancato, nell’immaginario e nella realtà mediatica, una rappresentazione divistica e popolare di alcuni suoi protagonisti: occasione per avvicinare i profani o mistificazione?
Direi che il termine mistificazione sia errato. Molti divi del balletto, e non solo in Italia, hanno il merito di aver divulgato attraverso vari media, un’arte che buona parte della popolazione non conosce e/o non può permettersi di ammirare nelle grandi istituzioni pubbliche. Molti artisti, chiamiamoli “divulgatori”, sono divenuti degli autentici fenomeni sociali, magari in show televisivi di non grande raffinatezza e questo non è confortante ed è un neo difficilmente rimediabile almeno nella situazione attuale. Tuttavia, il vero problema riguarda i tanti e bravi danzatori contemporanei che non godono di altrettanta attenzione da parte dei sopra citati media. E quantunque credo che le occasioni per ammirare balletti e danze persino grazie ai canali della tv di Stato, non siano poche, ormai, direi che mancano ancora programmi in grado di avvicinare la danza odierna ma anche accademica o di ogni tipo, con una progettualità priva di fronzoli, di facile spettacolarità, ma non per questo meno avvincente. Al posto del logoro, e questo sì, mistificatorio Amici, si sono visti programmi intelligenti, come un serial che seguiva la vita dei danzatori del Balletto del Teatro di San Carlo, prodotto alcuni anni or sono. Per fortuna non esiste solo la tv di Stato; Sky offre occasioni egregie ma credo sempre e solo agli abbonati. Poi naturalmente c’è Internet e qui molta danza è a portata di clic.
Come avvicinare intelligentemente i giovani alla cultura della danza?
Evitando che siano dati in pasto a falsi maestri, a millantatori e ciò vale anche nelle Università, purtroppo. Sulla danza e la preparazione per insegnarla a tutti i livelli, pratico e teorico, c’è uno scarsissimo controllo. Inoltre, occorrerebbe avvicinare alla danza i piccoli in tenera età, così si costruisce una vera consapevolezza delle potenzialità del corpo, della sua enorme capacità espressiva. I licei coreutici non bastano; il processo è lungo e come ho detto guai a finire in mani svagate o incapaci. Ma c’è un elemento in più legato alla trasmissione della cultura di danza, ma non solo ai giovani, ed è l’erotismo. L’insegnamento deve essere “erotico”, attirare. Dei miei maestri ricordo la voce, la postura, i tic e la passione. Senza questi elementi nulla passa o meglio ben poco resta, e si perde in noia e dimenticanza.
Ha promosso il progetto RIC.CI, per una riscoperta della coreografia italiana anni ’80 ’90: è sempre esistita una poetica coreografica italiana?
Sul progetto RIC.CI ho già speso volutamente alcune parole nella mia autopresentazione e non voglio ripetermi. Tuttavia sì, è sempre esistita una poetica coreografica italiana, almeno dai tempi del proto-balletto nato in Italia in epoca rinascimentale. Purtroppo il nostro Paese non ha saputo creare solide istituzioni capaci di dare a questa poetica il suo giusto posto nell’ambito delle arti.
Come si pongono le istituzioni, i milanesi, e la cultura della città nei confronti della danza?
Mi pare che vi sia una crescente attenzione a questo settore. Molti teatri la programmano, indicono festival come Milano Oltre al Teatro Elfo Puccini o Danae all’Out Off. A Milano è anche nato un Centro Nazionale della Danza presso la Dance Haus diretta da Susanna Beltrami. E il Centro Aiep alla Fabbrica del Vapore, diretto da Ariella Vidach, è sempre propositivo. Molto attento alle novità del settore è il Teatro della Triennale di Milano, diretto da Umberto Angelini. Inoltre vi è lo spazio sempre assegnato all’interno della Fabbrica del Vapore a Fattoria Vittadini, un’intera classe di miei ex-studenti costituitisi in ensemble. Non vorrei dimenticare il Balletto della Scala sempre in prima fila, nell’ambito accademico, ma ormai non solo in questo ambito, e sempre molto seguito. Tuttavia a me pare che nel complesso non esista una vera regia degli avvenimenti coreutici, che spesso si accavallano e si disperdono. È un problema irrisolto da anni.
Ci può raccontare della sua esperienza all’interno della Fondazione Milano?
Come docente della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, insegno nei tre anni del Corso Danzatori, ma ormai anche a studenti del Corso di Regia e del Corso Autori; il processo della trasformazione della Scuola in Università che dispensa un Diploma di primo livello (triennale) è ormai avviato. Universitari sono già i corsi Attori e Regia, ora dovremmo passare noi, come Corso Danzatori e i drammaturghi del Corso Autori. Restano fuori per il momento gli organizzatori teatrali, dell’eponimo, prestigioso Corso, ma si troverà una soluzione. Dunque, il mio insegnamento teorico si è allargato. Inoltre, come coordinatrice delle attività del Corso Danzatori devo formulare i progetti artistici destinati agli studenti, le master class, i seminari di breve durata e le ore di lavoro giornaliere (otto). Anche il coordinamento di una quindicina di insegnanti è piuttosto faticoso, ma i risultati sono buoni e la fatica è premiata dal fatto che ormai in Italia la maggior parte dei danzatori contemporanei di un certo livello espressivo e tecnico sono usciti ed escono dal nostro Corso e parlo al plurale poiché sono affiancata da un ottimo staff di docenti, sostenuta dalla direzione della Scuola, affidata a Giampiero Solari, e dal team di lavoro che lo circonda. Non è vanagloria: sulla nostra supremazia parlano stime e fatti.
Se dovesse ambientare uno spettacolo di danza all’aperto, quali scenari milanesi privilegerebbe?
Gli spazi all’aperto di Milano sono tanti e spesso bellissimi: dal chiostro di Santa Maria delle Grazie alla Vigna di Leonardo; dalla Pirelli Hangar Bicocca allo Spazio della Fondazione Prada dove, nel 2016, ho fatto in modo che un artista poliedrico, come lo scozzese Billy Cowie, allestisse una particolarissima installazione, Attraverso i muri di bruma, disseminata in tutti gli spazi dell’enorme costruzione, con i diplomanti del Corso Danzatori della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi. Un successo durato tre sere, con oltre 6000/7000 presenze.