Intervallo

Scena 5. Sierra Maestra, 1956-58

L’intervallo fu reale: un’autentica rottura ‘epistemologica’ si potrebbe dire con una vena d’ironia althusseriana, giacché tra la partenza per la spedizione del Granma e la conclusione vittoriosa della campagna di Las Villas - che Guevara terminò con la battaglia di Santa Clara da cui ebbe inizio la sua ‘leggenda’ - s’interruppe la riflessione filosofica su testi di marxismo e la lettura stessa dei testi. L’interruzione durò un po’ più di un biennio, iniziando con la partenza da Tuxpan (quando l’unico dotato di una precedente esperienza militare era l’italiano Gino Doné [1924-2008] per il fatto di aver partecipato alla Resistenza in Veneto), passando attraverso l’occupazione delle due principali roccaforti militari all’Avana - sotto la guida del Che e di Camilo Cienfuegos (1932-1959) - e concludendosi con l’instaurazione del nuovo regime diretto da Fidel Castro. Furono tempi di guerriglia sui monti e attentati nelle città, di scioperi, di riforma agraria, di espropri e nazionalizzazioni, di creazione di una nuova struttura statale. Non certo tempi di riflessione teorica, di studio o di approfondimento del messaggio marxiano.

Dai Passaggi della guerra rivoluzionaria e dalle memorie di vari combattenti si ricava la percezione di un profondo disinteresse verso i problemi di teoria politica da parte della direzione castrista - in questo molto diversamente da quanto era accaduto nel primo periodo della Rivoluzione russa - e si ha l’impressione che il Che fosse chiuso in una sorta di autoisolamento teorico. Lo ammise egli stesso scrivendo alla figura politica che personalmente ho sempre considerato la più rappresentativa della rivoluzione cubana (il comandante René Ramos Latour ['Daniel', 1932-1958]), morto in combattimento, ma solo dopo aver tenuto testa al Che in una polemica che meriterebbe la massima attenzione e, invece, per ipocrisia politica, viene quasi sempre ignorata o comunque sminuita.

Il 14 dicembre 1957 il Che gli scrisse una lunga lettera, molto critica delle posizioni del llano (il M26-7 nelle città di cui Daniel era stato il principale dirigente dopo la morte di Frank País [1934-1957]), affermando:

Pertenezco, por mi preparación ideológica, a aquellos que creen que la solución de los problemas del mundo está tras el llamado telón de acero y considero este movimiento como uno de los tantos provocados por el afán de la burguesía de liberarse de las cadenas económicas del imperialismo.
Siempre he considerado a Fidel como un auténtico líder de la burguesía de izquierda, aunque su personalidad está caracterizada por cualidades personales de extraordinario valor, que lo ponen muy por encima de su clase.
Con aquel espíritu inicié la lucha: honestidad sin la esperanza de ir más allá de la liberación del país, dispuesto a irme cuando las siguientes condiciones de lucha hicieran girar hacia la derecha (hacia lo que ustedes representan) toda la acción del Movimiento.
(Appartengo, per la mia preparazione ideologica, a quelli che credono che la soluzione dei problemi nel mondo si trovi dietro la cosiddetta cortina di ferro e considero questo movimento come uno dei tanti provocati dall’affanno della borghesia di liberarsi dalle catene economiche dell’imperialismo.
Ho sempre considerato Fidel come un autentico leader della borghesia di sinistra, anche se la sua personalità è caratterizzata da qualità personali di straordinario valore, che lo pongono molto al di sopra della sua classe.
Con questo spirito ho iniziato la lotta: onestamente senza la speranza di andare al di là della liberazione del paese, disposto ad andarmene quando le condizioni della lotta successiva facessero girare a destra (verso quello che voi rappresentate) tutta l’azione del Movimento).

Sarebbe lungo qui spiegare l’oggetto della polemica che è del massimo interesse per capire la dinamica della rivoluzione cubana, e comunque l’ho già fatto dettagliatamente in altre occasioni. Ma vanno tenuti a mente almeno due aspetti:

a) Guevara era arrivato a considerarsi definitivamente parte del campo comunista (sovietico) e come marxista si considerava un militante isolato all’interno di un movimento democratico-borghese come il M26-7 e, benché questo fosse impegnato in una lotta armata, era disposto a riporvi fiducia solo fino a un certo punto (era evidente l’insegnamento di Hilda Gadea).

b) Già nel 1957 riteneva di non poter esaurire la propria azione rivoluzionaria all’interno del movimento cubano e annunciava, con autentico spirito profetico, l’intenzione di partire per “altre terre del mondo”, come accadrà meno di dieci anni dopo, se la sua formazione ideologica fosse diventata incompatibile col processo rivoluzionario in atto. Era una prova inequivocabile dello spirito internazionalistico che animava la sua recente adesione al comunismo, benché per il momento essa coincidesse con l’orientamento sovietico.

Era molto, ma era anche tutto. Non c’è altro d’interesse per la nostra riflessione sull’evoluzione del suo marxismo che si possa ricavare dagli anni sulla Sierra Maestra e della prima formazione del nuovo regime cubano.

Secondo tempo

Scena 6 (dall’Avana a Mosca, 1959-63)

Orthodoxy story

Come è noto, il governo rivoluzionario assegnò al comandante Guevara compiti di grande rilievo, ma tutti interni alla sfera economica come presidente del Banco Nacional de Cuba, in una prima fase, e poi come ministro dell’Industria (all’epoca unificata in un solo dicastero) fino al giorno delle sue dimissioni divenute operative tra la fine del 1964 e la primavera del 1965.

Gli furono anche affidate importanti missioni all’estero che egli assolse quasi nelle vesti di un vero e proprio ministro degli Esteri - presso l’Onu, l’Oea (Organizzazione degli Stati americani), i paesi del Comecon, le nuove nazioni africane, vari movimenti di liberazione nazionale - diventando una sorta di “ambasciatore ambulante” della rivoluzione cubana. Questa parte importantissima della sua attività governativa esula dalla nostra riflessione. Ne parlano praticamente tutte le biografie, ma per averne un quadro d’insieme e una testimonianza diretta, consiglio in particolare il libro Caminos del Che, del comandante ‘Papito’ Jorge Serguera (1932-2009) che, proprio grazie alla sua totale identificazione con le direttive segrete del governo cubano, si trovò ad assolvere un ruolo di primo piano in operazioni molto ‘delicate’: per esempio, come ambasciatore ad Algeri all’epoca di Ben Bella o incaricato dei rapporti con Juan Domingo Perón (1895-1974) nell’esilio spagnolo.

Gli anni del Che ministro dell’Industria sono anni di grande ripresa dei suoi studi di marxismo, oltre che delle varie altre materie necessarie per la gestione del suo Ministero: un campo in cui dovette imparare tutto partendo da zero, dimostrando però delle capacità di apprendimento veramente eccezionali. È ovvio che la natura particolare dell’incarico lo portò ad approfondire lo studio di Marx e degli epigoni soprattutto nel campo della critica dell’economia politica. Ma come vedremo nella prossima scena ciò non produsse in lui derive di tipo economicistico. Tutt’altro.

E anche la sua frequentazione assidua e iperattiva delle fabbriche e di altri centri produttivi non fece di lui un operaista. Da questo punto di vista la sua formazione marxista antidogmatica e originariamente non ortodossa costituì un efficace vaccino contro deformazioni che sarebbero state ‘naturali’ in un neofita dello statalismo comunista, ammiratore per tutta una prima fase del modello sovietico e delle opere dei suoi ideologi in campo economico; queste a Cuba cominciarono a circolare in spagnolo molto prima che il paese entrasse ufficialmente nel Came (Comecon, 1972). Questa parte dell’azione e formazione economica guevariana è stata ricostruita ampiamente dal suo ex viceministro, Orlando Borrego (n. 1936) nel libro Che, el camino del fuego del 2001 (in particolare nei primi cinque capitoli).

La migliore antologia di testi del Che dedicati a questioni economiche fu invece pubblicata in occasione del ventennale della morte, a cura dello storico Juan José Soto Valdespino (Temas económicos, 1988). Essa non poteva contenere ovviamente i testi guevariani dedicati alla polemica con le concezioni economiche sovietiche la cui pubblicazione fu ritardata dal governo cubano sino al 2006, quando l’Urss non esisteva più da circa quindici anni (ne parlo più avanti). Per uno studio più aggiornato delle idee economiche del Che si può ricorrere alla Introducción al pensamiento marxista curata da Néstor Kohan per la Cátedra Ernesto Che Guevara delle Madres de la Plaza de Mayo.

Al di fuori dell’impegno in campo economico, il Che continuò a leggere quanto più possibile di Marx e del marxismo ufficiale, essendo totalmente identificato per questa fase nella politica di avvicinamento ai sovietici che Fidel Castro intraprese nell’Isola a partire dai primi mesi dopo la vittoria rivoluzionaria. Su questa strada Guevara ebbe un ruolo trascinatore innanzitutto nel proporre all’editoria di Stato la pubblicazione di testi teorici prodotti oltre la 'cortina di ferro', ma soprattutto nel difficile compito di ‘riabilitare’ il locale Partito comunista (il Partido socialista popular [Psp]). Oltre all’originaria ostilità verso il M26-7 e l’assenza come gruppo dirigente (ma non come militanti di base) dal processo rivoluzionario, questo partito doveva farsi perdonare anche il sostegno dato nel 1940-44 al primo governo di Fulgencio Batista (1901-1973) - del quale aveva fatto parte con due ministri - e i successivi rapporti di ambigua collaborazione intrattenuti col secondo governo (dopo il golpe batistiano del 1952), giungendo persino a contrastare i tentativi di abbatterlo, come per es. l’assalto al Cuartel Moncada.

Conosceva Guevara questi trascorsi collaborazionistici del Psp? È difficile dire in che misura e fino a che punto, anche perché dopo la vittoria del 1959 erano stati fatti scomparire dalle biblioteche tutti i possibili documenti compromettenti sul Psp di Blas Roca (1908-1987), come potei verificare di persona nel 1968. Ma all’indomani della presa del potere era così forte l’identificazione di Guevara con il modello sovietico da spingerlo a sottovalutare questi trascorsi dello stalinismo cubano. Se ne pentirà amaramente in seguito, quando proprio dagli ex Psp verranno gli attacchi più duri alla sua gestione dell’industria, mentre l’apparato di propaganda sovietico internazionale avvierà dopo la sua scomparsa una campagna di calunnie riguardo a una sua presunta perdita della ragione, tanto da essere diventato... trotskista.

Ma nei primi anni ‘60 tutto ciò non sembra nemmeno delinearsi all’orizzonte per il ministro Guevara. Sono infatti gli anni in cui il suo marxismo si omologa agli standard dogmatici e scolastici del ‘materialismo dialettico’ di marca sovietica - il famigerato Diamat - spingendolo a formulazioni intrise di evoluzionismo volgare e meccanicismo che solo in seguito egli rigetterà.

Il testo base e più celebre per questa riduzione 'scientistica' del marxismo è Note per lo studio dell’ideologia della Rivoluzione cubana (in Verde Olivo, ottobre 1960) in cui l’adesione al marxismo nell’àmbito delle scienze sociali viene equiparata alla definizione che si autoattribuisce lo scienziato nel campo delle scienze naturali, fisiche o matematiche. I paragoni che fornisce Guevara sono molto significativi, quando egli afferma che a un fisico nessuno chiederà se sia ‘newtoniano’ o a un biologo se sia ‘pasteuriano’ perché tali essi sono per definizione e per impulso naturale. E anche se nuove ricerche e nuovi fatti porteranno a cambiare le posizioni iniziali, resterà sempre un sottofondo di verità negli strumenti impiegati per giungere a delle presunte certezze scientifiche. E questo è quanto accade a chi si considera marxista e lo è effettivamente. Il paragone ‘scientifico-naturalistico’ con il marxismo continua citando Einstein con la relatività e Planck con la teoria dei quanti che secondo Guevara nulla hanno tolto alla grandezza di Newton: lo hanno superato ma solo nel senso che “el sabio inglés es el escalón necesario” per questo ulteriore sviluppo (Escritos y discursos, IV, p. 203) “lo scienziato inglese rappresenta il passaggio necessario” per questo ulteriore sviluppo (Scritti scelti, II, p. 402).

Guevara non sfugge a una conclusione definibile come deterministica ed evoluzionistica allo stesso tempo quando afferma che vi sono “verdades tan evidentes, tan incorporadas al conocimiento de los pueblos que ya es inútil discutirlas. Se debe ser ‘marxista’ con la misma naturalidad con que se es ‘newtoniano’ en física, o ‘pasteuriano’ en biología (pp. 202-3)”. (Ci sono “delle verità così evidenti, così connaturate alla coscienza dei popoli, che è inutile discuterle. Si deve essere marxisti con la stessa naturalezza con la quale si è ‘newtoniani’ in fisica o ‘pasteuriani’ in biologia (p. 401)”). Che è un modo nemmeno tanto raffinato di affermare una concezione dogmatica della scienza sociale, vale a dire nella fattispecie del marxismo.

Proseguendo l’analogia con la matematica in cui si è avuto “un Pitagora greco, un Galileo italiano, un Newton inglese, un Gauss tedesco, un Lobačevskij russo, un Einstein ecc.”, Guevara afferma che anche nel campo delle scienze sociali si potrebbe tracciare l’itinerario di un grande processo di accumulazione del sapere da Democrito fino a Marx - ma questo, aggiungo io, in totale spregio della discontinuità che il marxismo attribuisce alla dialettica storica contrassegnata da rotture, salti, ricomposizioni e sintesi. Ma ormai per il Che Marx è diventato non solo lo studioso che “interpreta la storia e ne comprende la dinamica”, ma anche colui che “prevede gli eventi futuri”, che ‘profetizza’ (più avanti si parla addirittura di “previsioni del Marx scienziato”), che è “artefice del proprio destino” e oltre a interpretare la natura dispone ormai degli strumenti per ‘trasformarla’. Di qui l’ovvio riferimento alla necessità dell’azione rivoluzionaria come logica conseguenza di tanta scientifica conoscenza della natura, della storia e del mondo resa possibile dal marxismo, ormai considerato alla stregua di una scienza.

Questa visione piattamente materialistica era stata ricavata certamente da interpretazioni molto semplicistiche di opere di Engels (Anti-Dühring, Dialettica della natura, Il socialismo dall’utopia alla scienza) e di Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo) che qui non vengono citate, ma che Ernesto aveva letto in Guatemala e in Messico. L’equiparazione del marxismo alle scienze matematiche, fisiche o biologiche - che era stata moneta corrente per la marxologia di epoca staliniana - sfocia ora nel più grossolano evoluzionismo filosofico quando Guevara traccia una linea di continuità tra “Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao Tse-tung”, arrivando addirittura a includere i “nuovi governanti sovietici e cinesi” in questa catena di Sant’Antonio del pensiero presuntamente marxista (Escritos y discursos, p. 204 [Scritti scelti, p. 403]): di tutti costoro, secondo il Che, si sarebbe dovuto seguire “il corpo di dottrina” e addirittura “l’esempio” (ma su Chruščëv avrebbe cambiato idea di lì a poco...).

Sarebbe ingeneroso proseguire con altre citazioni da questa ingenua elencazione dei presunti meriti scientifico-naturalistici del marxismo - che però stranamente qui non viene mai chiamato “materialismo dialettico”, secondo quanto invece avrebbe prescritto la tradizione staliniana - e casomai bisognerebbe prendersela con quanti (molti, troppi) hanno indicato in questo articolo uno dei vertici sommi raggiunti da Guevara nella sua rielaborazione del marxismo. Tra questi purtroppo rientra Ch. Wrigth Mills (1916-1962) che incluse questo unico testo del Che nella sua celebre antologia The Marxists (1962). (Guevara ricambierà includendo tra i propri Apuntes del 1966 - di cui parleremo - vari brani tratti da The Marxists.)

Riguardo al ‘marxismo’ di Marx non vi è molto di più, perché il resto dell’articolo si lancia in un’analisi molto fantasiosa dello svolgimento della rivoluzione cubana che qui tralascio senza rimorsi. A suo tempo però dedicai una certa attenzione alla maniera sbrigativa con cui in quel testo il Che aveva liquidato alcune affermazioni dei due padri fondatori riferite al Messico e a Bolívar. Qui mi limito a riportare il brano di Guevara, ma per il mio commento rinvio all’analisi dettagliata che ne feci in Che Guevara. Pensamiento y política de la utopía, pp. 54-9; in Che Guevara. Pensiero e politica dell’utopia, pp. 57-63). Con un’avvertenza: per quanto incredibile possa sembrare, il brano di critica a Marx che sto per citare fu soppresso, con evidente intento censorio, dai curatori degli Escritos y discursos in 9 volumi dell’Editorial de Ciencias Sociales (che è la raccolta che normalmente s’impiega per le opere del Che dopo il 1957): vedere per credere il vol. IV a p. 203. Del resto, nel passato la Fondazione Guevara ha individuato varie altre censure in questa raccolta ‘ufficiale’ e in altre edizioni cubane delle Opere del Che, rendendo poi pubblica la denuncia di una tale scandalosa e ridicola situazione (vedi CGQF n. 6/2006, pp. 73-84).

Ma poiché la mano destra della burocrazia ignora spesso ciò che fa la sinistra, il brano lo si può trovare integralmente riprodotto nella raccolta delle Obras 1957-1967, curata non a caso dalla Casa de las Américas nel 1970, quando la dirigeva una donna intelligente e anticonformista come Haydée Santamaría. Di lì lo riporto per intero, sia perché è un brano bello del Che (cosa che sembra non aver intenerito affatto l’animo dei censori), sia come umile omaggio per Marx in occasione del suo 200° compleanno:

A Marx, como pensador, como investigador de las doctrinas sociales y del sistema capitalista que le tocó vivir, puede, evidentemente, objetársele ciertas incorrecciones. Nosotros, los latinoamericanos, podemos, por ejemplo, no estar de acuerdo con su interpretación de Bolívar o con el análisis que hicieran Engels y él de los mexicanos, dando per sentadas incluso ciertas teorías de las razas o las nacionalidades inadmisibles hoy. Pero los grandes hombres descubridores de verdades luminosas, viven a pesar de sus pequeñas faltas, y éstas sirven solamente para demostrarnos que son humanos, es decir, seres que pueden incurrir en errores, aun con la clara conciencia de la altura alcanzada por estos gigantes del pensamiento. Es por ello que reconocemos las verdades esenciales del marxismo como incorporadas al acervo cultural que nos da algo que ya no necesita discusión (pp. 93-4).
A Marx come pensatore, come studioso delle scienze sociali e del sistema capitalistico in cui visse, si possono evidentemente addebitare alcune inesattezze. Noi latinoaemricani, per esempio, possiamo non essere d’accordo con il suo giudizio su Bolívar e con l’analisi che, insieme a Engels, Marx fece dei messicani, dando per scontate certe teorie sulla razza o la nazionalità, oggi inammissibili. Ma i grandi uomini, scopritori di luminose verità, sopravvivono nonostante i loro piccoli errori, che servono a renderli più umani: essi possono incorrere nell’errore senza che ciò incrini la nostra chiara consapevolezza del livello raggiunto da questi giganti del pensiero. E per questo diciamo che le verità essenziali del marxismo sono parte integrante della comunità culturale e scientifica dei popoli e le accettiamo con la naturalezza che ci deriva da qualcosa che non ha bisogno di ulteriori discussioni (Scritti scelti, II, p.402).

Le critiche che Guevara rivolgeva a testi marxengelsiani sull’America latina potevano far riferimento ad alcune entries e voci compilate da Marx ed Engels per la New American Cyclopaedia (pubblicata a New York in 16 voll, tra il 1858 e il 1863, sotto la direzione di Charles Anderson Dana [1819-1897], direttore per un ventennio anche del New York Daily Tribune), ma soprattutto a una lettera di Marx a Engels del 2 dicembre 1854 (in Opere complete, XXXIX, p. 434).

Dopo aver ricostruito la complicata vicenda, nel mio commento davo apertamente ragione ai due grandi amici e torto a Guevara. Ma aggiungevo una considerazione molto più grave riguardo al fatto che, nel saggio dedicato dal Che all’analisi dell’ideologia della rivoluzione cubana, non compariva nessuno dei grandi libertadores, nessun pensatore o scrittore latinoamericano impegnato nella lotta ideologica antispagnola, addirittura nemmeno lo stesso José Martí (1853-1895). Vi si citavano filosofi greci, fisici e matematici di varie epoche, oltre ovviamente a molto Marx, ma niente di autoctono in senso cubano o latinoamericano. Una insensatezza prodotta certamente dall’ansia del neofita che voleva dimostrarsi più marxista di Marx, ostentando un’acquisita familiarità con l’opera sua, ma che non può che lasciare interdetti. Più della concezione materialista volgare del marxismo ivi esposta, è l’assenza di riferimenti a ideologie o a concezioni politiche latinoamericane che costituisce la carenza più grave di quel testo infelice, che tanto piacque a suo tempo e magari continua ancora a piacere.

Non si trattava comunque di un caso isolato perché in altri testi dell’epoca comparivano analoghe visioni riduttive e distorte del metodo dell’analisi marxista, accompagnate a una palese ignoranza della grande tradizione di dibattito che nel corso di tutto il Novecento si era sviluppata a partire dall’originario lascito marxiano.

Si veda, per esempio, l’intervista più interessante che sia mai stata fatta a Guevara. Mi riferisco ovviamente al mio amico Maurice Zeitlin (n. 1935) che intervistò il Che il 14 settembre 1961 e pubblicò subito l’intervista in Root and Branch (copia fotostatica in CGQF n. 9/2014, pp. 219-26), una rivista con base all’università di Berkeley in California, da dove fu variamente ripresa (v. Cuba, an American tragedy). Per l’occasione, pur avendo toccato temi politici di grande attualità teorica, Guevara ripeté in sintesi la vulgata materialistica precedente, ivi compreso il paragone con la biologia, al quale in quanto medico era evidentemente affezionato:

We regard Marxism as a science in development, just as, say, biology is a science. One biologist adds to what others have done, while working in his own special field. Our specialty is Cuba.
Noi guardiamo al marxismo come a una scienza in via di sviluppo, come è una scienza, diciamo, la biologia. Un biologo aggiunge il proprio contributo a ciò che altri hanno fatto, mentre lavora nel proprio campo specifico. La nostra specialità è Cuba.

Nella risposta successiva, a rendere ancora più chiaro (e più grave) il paragone con la biologia, Guevara lo estese anche a Lenin: un ‘elogio’ di cui dovrà pentirsi in seguito (nel 1964) quando prenderà nettamente le distanze da aspetti fondamentali della vulgata leninista:

The value of Lenin is enormous - in the same sense in which a major biologist’s work is valuable to other biologists. He is probably the leader who has brought the most to the theory of revolution. He was able to apply Marxism in a given moment to the problems of the State, and to emerge with laws of universal validity.
(Il valore di Lenin è enorme - nello stesso senso in cui il lavoro di un grande biologo ha valore per altri biologi. Fu probabilmente il leader che più ha contribuito alla teoria della rivoluzione. A un determinato momento fu capace di applicare il marxismo ai problemi dello Stato e di emergerne con leggi di validità universale).

È questa l’intervista in cui Guevara, incalzato da Zeitlin (che nella circostanza offrì un modello esemplare di comportamento per un autentico ‘intervistatore’ che non voglia restare passivo e supino davanti alle risposte dell’intervistato), dovette riconoscere di non avere familiarità con grandi figure del socialismo come Eugene Debs (1855-1926) o Rosa Luxemburg (1871-1919). Riguardo a quest’ultima formulò solo una sorta di epitaffio ingeneroso dicendo che: “She was a great revolutionary and she died a revolutionary, as a consequence of her political mistakes (Fu una grande rivoluzionaria e morì da rivoluzionaria come conseguenza dei suoi errori politici). Sei anni dopo, le stesse parole si sarebbero potuto applicare al Guevara boliviano, altrettanto ingenerosamente.

L’impiego della formula ‘materialismo dialettico’ ricorre ampiamente in un discorso fatto da Guevara in una consegna di premi al ministero dell’Industria, il 31 gennaio 1962 (Escritos y discursos, VI, pp. 79-90). Dopo aver elogiato entusiasticamente un libro di Blas Roca, il Che presenta una sorta di sintesi del grado di comprensione del marxismo da lui raggiunto in quella fase, totalmente sbilanciato dalla parte dell’ultimo Engels, come era ormai acquisito nella marxologia sovietica.

Nel brano che segue (p. 81) si colgano:
a) la teoria ingenuamente materialistica (e comunque infondata) dell’esistenza di due scienze, la borghese e la proletaria;
b) l’attribuzione a Engels addirittura di una sua teoria per l’origine della vita sulla terra;
c) l’applicabilità del metodo materialista dialettico a tutti gli aspetti della realtà (con Stalin si era arrivati sino alla linguistica e alla genetica);
d) la sua identificazione di fatto con la scienza non capitalistica, quindi con quella ‘proletaria’, anche se non viene ulteriormente specificato.

Insomma, si verifica da parte di Guevara un’adesione integrale alla teoria del Diamat e alle sue pretese di egemonia culturale su ogni aspetto della vita individuale e sociale.

El concepto de la vida que da el materialismo dialéctico es diferente al concepto de la vida que da el idealismo; el concepto de las ciencias del materialismo dialéctico es también diferente. Desde hace muchos años Engels se había planteado que la vida era el modo de ser de la materia albuminoide; es una nueva concepción, es algo que en aquella época revolucionaba las ideas [...]. Por eso debemos ir buscando estas bases, ir aprendiendo a pensar con propiedad con el método del materialismo dialéctico en todo, no para una discusión política, no para un momento determinado, sino para aplicarlo como método en cada una de las tareas científicas o prácticas que tengamos que realizar. Todas las interpretaciones de la técnica, y por sobre todas las cosas la interpretación de la economía, tienen un cambio enorme, si se los ve a la luz del materialismo dialéctico o bajo las falsas luces de los conceptos capitalistas.
(Il concetto della vita che ci offre il materialismo dialettico è diverso dal concetto della vita che ci offre il capitalismo: anche il concetto delle scienze del materialismo dialettico è diverso. Molti anni fa Engels aveva definito la vita come un modo d’essere della materia albuminoide; era una nuova concezione, qualcosa che all’epoca rivoluzionava le idee [...]. Per questo dobbiamo cercare tali basi, imparare a pensare con proprietà grazie al metodo del materialismo dialettico in ogni campo, non solo nelle discussioni politiche o in occasioni determinate, ma per applicarlo come metodo in ogni compito scientifico o pratico che dobbiamo assolvere. Tutte le interpretazioni della tecnica, e soprattutto l’interpretazione dell’economia cambiano enormemente, se si esaminano alla luce del materialismo dialettico o sotto le false luci delle concezioni capitalistiche).

Del resto, se il Che ministro dell’Industria manifestò nei primi anni della rivoluzione un’adesione acritica alle concezioni del marxismo sovietico, ciò si dovette anche al fatto che quelle concezioni furono importate e accettate ingenuamente in tutto il loro grezzo e brutale meccanicismo dall’intero gruppo dirigente cubano. Da alcuni passivamente, da altri attivamente: tra questi e in primis Guevara e Raúl Castro (n. 1931), considerato fin dagli inizi l’unico altro ‘comunista’ presente nella direzione del M26-7. A loro si aggiungerà poi Osmany Cienfuegos (n. 1931), subito dopo la morte del fratello Camilo, proveniente dal Psp e futuro dirigente della Ospaaal (Organización de solidaridad de los pueblos de África, Asia y América Latina).

Sono anche gli anni in cui il lavoro ideologico (di propaganda, scuole quadri e pubblicazione delle principali riviste) finì in mano ai dirigenti formatisi nel vecchio Psp che nel frattempo erano stati chiamati a far parte della nuova direzione cubana. A loro fu affidata praticamente e per alcuni anni cruciali la gestione dell’attività propriamente ‘culturale’ del partito in considerazione di un fatto vero: e cioè che erano gli unici ad avere una qualche forma di preparazione teorica.

Ma anche questa è una pagina che il Che riscriverà radicalmente nel suo testamento ideale del marzo 1965 (Il socialismo e l’uomo a Cuba, si veda l’edizione curata dall’argentino José ‘Pancho’ Aricó [1931-1991]), denunciando il ‘realismo socialista’ e la cultura ufficiale che, col pretesto di essere “lo que entiende todo el mundo”, “alla portata di tutti”, era in realtà “lo que entienden los funcionarios”, “alla portata dei funzionari”, cioè della burocrazia. In quel testo criticherà aspramente anche “el escolasticismo que ha frenado el desarrollo de la filosofía marxista (lo scolasticismo che ha frenato lo sviluppo della filosofia marxista)” e il fatto che “una representación formalmente exacta de la naturaleza” si sia convertita in “una representación mecánica de la realidad social que se quería hacer ver” (una “rappresentazione formalmente esatta della natura” si sia convertita in “una rappresentazione meccanica della realtà sociale che si voleva mostrare”).

Il 30 maggio 1963 Guevara aveva scritto una prefazione elogiativa, al limite tra l’ingenuità e l’intento apologetico, per un libro pubblicato a Cuba a cura del Partido unido de la revolución socialista de Cuba [Pursc]. Questo fu il nome del partito intermedio esistito praticamente quasi solo sulla carta - da marzo 1962 a ottobre 1965 - nella fase in cui Fidel Castro impose l’unificazione all’interno di un’unica organizzazione delle tre principali correnti politiche sopravvissute a Cuba: i comunisti prosovietci del Psp, il Directorio revolucionario 13 de Marzo e il M26-7. Chi non condivise quella scelta (il caso più celebre fu Carlos Franqui [1921-2010], l’autore del Libro de lo Doce) fu escluso o emigrò all’estero.

Il titolo era altisononante (El Partido Marxista-leninista), ma in realtà si trattava di alcuni discorsi di Fidel Castro aggiunti a uno dei testi liturgici più ‘celebri’ nel mondo sovietico e cioè il Manuale di Marxismo-leninismo di Otto Wilhelm Kuusinen (1881-1964). Questi era stato il leader storico dello stalinismo finlandese sfuggito indenne a decenni di purghe e giravolte politiche, ‘celebre’ per esser stato posto a capo del governo fantoccio creato dai sovietici quando avevano tentato vanamente di occupare la Finlandia (1939-40) in accordo alle clausole del Protocollo segreto che aveva accompagnato il Patto siglato da Stalin (Molotov) con Hitler (von Ribbentrop).

La Prefazione di Guevara a quel libello può essere considerato come il punto più basso da lui raggiunto nell’esaltazione del 'materialismo naturalistico', cioè del marxismo-leninismo di tipo sovietico. Una data che segna il limite nel degrado teorico del suo marxismo e dopo la quale comincerà a riemergere affannosamente il marxista anticonformista, lucido e antidogmatico che anni prima aveva ammirato il mariateguiano Hugo Pesce e aveva dato ascolto, ma non abbastanza, ai consigli teorici della giovane aprista di sinistra Hilda Gadea.

L’impegno profuso da Guevara per avvicinare Cuba all’Urss e per identificare le finalità ideologiche della rivoluzione cubana con la vulgata marxista diffusa dall’apparato di propaganda sovietica fu entusiasticamente ricostruito (e in larga parte inventato) in un libro di ‘paleontologia guevarologico-marxista’, pubblicato in russo nel 1972 e in spagnolo (Editorial Progreso di Mosca) nel 1975. Il titolo era semplice - Årn∂sto C∂ G∂vara (Ernesto Če Gevara [Ernesto Che Guevara]) - ma meno semplice era la traiettoria dell’autore, Iosif P. Lavretskij, trattandosi dello pseudonimo di un agente della polizia segreta sovietica, celato anche dietro un altro nome come avemmo modo di dimostrare in CGQF n. 4/20011. Le pagine in cui l’emissario del Kgb celebrava maggiormente l’impegno prosovietico del Che sono 183-205 dell’edizione russa e 178-98 dell’edizione in lingua spagnola.

1 Per qualche tempo si era creduto che Iosif P. Lavretskij fosse uno studioso sovietico, pur permanendo il sospetto di poterlo identificare con un lituano-russo, autore di opere su Guevara: Iosif Romual’dovič Grigulevič (1913-1988). A un certo punto fu chiaro che Grigulevič e Lavretskij erano due diversi nomi e cognomi di un solo autore: il primo era una persona fisica, agente del Nkvd e poi del Kgb (col nome di Teodoro Castro Bonnefil), coinvolto in vari assassinii importanti (Nin, Trotsky ecc.) e incaricato a un certo punto di uccidere anche il presidente della Jugoslavia Tito; il secondo era un suo pseudonimo. I cataloghi della biblioteca della Harvard University (statunitense) segnalano che i due nomi identificano lo stesso autore. A p. 427 del suo libro Compañero (Mondadori, 1997) Jorge Castañeda (n. 1953) scrisse che ‘Lavretskij’ era lo pseudonimo dietro cui si celava Josef Grigulevič, storico sovietico e agente del Kgb. Zbigniew M. Kowalewski (n. 1943), principale studioso polacco del Che, confermò a giugno del 2001, in un intervento al convegno della Fondazione Guevara ad Acquapendente, che ‘Lavretskij’ era lo pseudonimo di Grigulevič, ex funzionario della polizia segreta sovietica. Nel medesimo incontro lo studioso ceco Vladimír Klofáč (n. 1952) riferí che Miloslav Ransdorf (1953-2016), vicepresidente del Partito comunista di Boemia e Moravia, aveva indicato il nome Lavretskij/Grigulevič (associando così i due nomi) nella nota di p. 50 del libro Muž Svědomí (Uomo di coscienza). Ernesto Che Guevara, Nakladatelství Futura, Praha 2000. Tutte queste ipotesi furono definitivamente confermate dalla pubblicazione dell’Archivio di Vasilij Nikitič) Mitrochin (1922-2004), avvenuta nel 1999-2000 e, postuma, nel 2005. Aggiungo una piccola curiosità: nel Piano di letture in Bolivia, il Che incluse tra i libri elencati a novembre del 1966, il Pancho Villa dello stesso I. Lavretski.