Se tu mi avessi ucciso ora saresti un cacciatore
ma tu hai rinunciato, così io ora ti posso aiutare.(La Storia Infinita, Libro III)
Franco Picchio, eminente studioso dell’Orlando Furioso, ci ricorda come “tutte le fiabe sono storie di trasformazioni”, e questo approccio ci aiuta a penetrare la Storia Infinita quale capolavoro epico ed eroico, quale itinerario di vero romanzo, cioè un racconto complesso, organico, profondo, fondato “sull’avventura” (da ad-ventus: attesa di qualcosa di decisivo e reattivo che deve accadere), come i romanzi medioevali arturiani, cioè fondato sull’esperienza di un viaggio dell’anima che porta alla sua maturazione e trasfigurazione.
Sotto il sottile velo di una narrazione meramente fantastica si cela una visione spirituale ampia che il genio di Ende dispiega attraverso un linguaggio coerente e classico e una struttura narrativa simbolica di meravigliosa e formante architettura. Non solo creazione di mondi alternativi, ma irradiazione di un Logos che di quei mondi è tensione creatrice. Già nelle prime pagine troviamo accenni di sapienza esoterica e corrispondenze di armonie che ci permettono di sublimare la lettera immergendoci nello Spirito.
Il bambino Bastiano inizia presentandosi come una persona insignificante, vile, patetica, colta nel corso di una piena crisi di crescita. Ma proprio questa “pietra vile” diventerà una Pietra preziosa. Subito inizia un processo di purificazione e di illuminazione ben preciso ricco di creatività come di ritualità. Bastiano ama visceralmente i libri e la lettura e il rifugiarsi nella bottega del Signor Coriandoli gli dona una tregua formativa che gli aprirà la strada del ritorno a se stesso e alle dimensioni più virili e spirituali dell’Essere.
Il librario sapiente lo sottopone a un esame di coscienza stringente e Bastiano non si sottrae a questo rito di denudazione e di riflessione. L’incontro con il Libro sacro, vivo e pulsante lo porta a fare una scelta di vita radicale: lasciare tutto e trovare un nuovo rifugio che sarà il solaio della scuola, proprio il luogo delle sue umiliazioni.
I colori non sono mai casuali e indicano una traccia significante utile. Il Libro presenta una copertina color rubino cupo luccicante, e presenta al suo interno due colori, doppi come lo stupendo emblema dell’Auryn che lo sigilla: i due serpenti, chiaro e scuro, del caduceo ermetico. Preso il Libro il suo cuore ricomincia a scaldarsi, a risvegliarsi. Il rifugio del solaio si rivela un vero e proprio antro ermetico e iniziatico. In penombra filtra dall’alto un lattiginoso raggio di luce, il tetto è di rame, come il Libro (che, quindi, unisce in sé il verde e il rubino), le travi sono nere e il solaio è animato da correnti d’aria. Unico essere vivente un topolino bianco, presenza allusiva, come il Bianconiglio di Alice o i tanti animali simbolici di Pinocchio.
Il solaio è ricco di oggetti che fanno ricordare l’alchimia: alambicchi, storte, flaconi e contiene anche tre animali impagliati: un gufo, un’aquila reale e una volpe. Questo trinomio manifesta sensi profondi e sottili. Il sapiente gufo richiama il Sale, l’aquila reale è segno di fuoco, quindi di Zolfo, e la sfuggente volpe potrebbe alludere al Mercurio. La terna per tradizione richiama anche parallelamente un'altra trinità: il corpo, lo Spirito e l’anima, cioè i componenti essenziali dell’essere umano. Altro fattore simbolico importante è lo scheletro umano appeso a un attaccapanni.
Ende, similmente a Buzzati, è maestro nell’evocare atmosfere e climi spirituali con pochi tocchi e accenni partendo da contesti apparentemente borghesi e prosaici. Qui un semplice scheletro da insegnamento scolastico assume un ruolo iniziatico preciso, sia per la sua vicinanza con i tre animali simbolici che per il fatto che Bastiano vi appende vicino i propri abiti bagnati, cioè si denuda dell’uomo vecchio attraverso una morte rituale e interiore. L’unica cosa che lo tiene legato alla vita è il mistico e misterioso Libro. Che il solaio sia un antro cosmico in cui avvengono le trasformazioni dell’Uomo è confermato anche narrativamente anche nel Capitolo XXI, Il Monastero delle stelle, dove Bastiano cerca la saggezza su di un alto e mistico monte e dove trova tre Esseri che guidano il Monastero e sembrano quasi divinità egizie: uno dalla testa di Gufo, Ushtu, o la Madre dell’Intuizione, uno dalla testa di Aquila, Scirkri, o il Padre della Visione, e uno dalla testa di Volpe, Ysipu, o il Figlio dell’Intelligenza. Bastiano, che cercava la saggezza, si trova paradossalmente a dover farsi oracolo per i tre Esseri che lo interrogano e usa la luce di Al’Tsahir, una pietra magica che ricorda il Graal nella sua versione persiana, per illuminare l’universo e così appare, nella luce sfolgorante e breve, la “soffitta della scuola” dove si trovava all’inizio del racconto/vita e dove si trova il Libro. Così gli Esseri vedono i loro talismani corrispondenti. Come in alto così in basso, insegna Ermete!
Il processo di disvelamento e di trasformazione è graduale. Nel corso della Storia, infatti, scopriremo che l’antro/soffitta di Bastiano, dove incuba come una larva in trance la sua rigenerazione, nasconde e rivela anche un candelabro a sette braccia che Bastiano accenderà e che ritroviamo poi come vessillo sulla sua tenda regale quando Bastiano inizierà a vivere in Fantàsia. La spiritualità mistica e simbolica di tipo ebraico e anticotestamentario, anche con venature apocalittiche, appare, infatti, una delle matrici culturali delle opere di Michael Ende, come ci coglie anche in altre sue stupende composizioni come Lo Specchio nello specchio.
Nella Storia Inifinita Xayde, la fanciulla assetata di potere il cui veleno spirituale corrompe l’animo di Bastiano, ricorda la figura ebraica di Lilith rispetto all’integrità di Adamo, e lo stesso culto dei Nomi che fa rivivere l’Infanta Imperatrice e regge Fantàsia ricorda la spiritualità ebraica, mistica e cabalistica, del Nome di Dio. Già il primo capitolo dell’epopea, Fantàsia in pericolo, rivela immediatamente i segni e le chiavi per una lettura più vera e più profonda, che unisce tradizioni antiche con un sempre nuovo spirito di ricerca. Quali sono i quattro messaggeri e ambasciatori che vanno verso la Torre d’Avorio dell’Imperatrice? Un Fuoco fatuo che viene dalla Terra di marcita, essere ambiguo ed ermetico, né maschio e né femmina, un Mordipietra che viene dal Monte Forato e che si nutre di pietra grigia digerendola lentamente, un Incubino, simile a un bruco nero e rosa e a cavallo di un pipistrello, infine, un Minuscolino con vestito variopinto, all’arlecchino, a cavallo di una lumaca da corsa, figura già collodiana.
Quattro figure trasformative, quasi essenze dell’etere, nel senso che appaiono legate ai processi metamorfici degli elementi, quasi allegorie delle fasi preparatorie dell’Opera alchemica. Persino le connotazioni metereologiche sono utilizzate da Ende per precise allusioni, come le nubi che parevano oro liquido sopra il Labirinto/Giardino della Torre d’Avorio. Giardino in cui compaiono unicorni e una Fenice, cioè il bianco e il vermiglio. L’arrivo dei messaggeri alla Torre imperiale viene siglato da un rito misterico appena accennato: il bere in silenzio da un calice d’avorio. Non ci sono personaggi nella Storia Infinita che non mostrino un’aura esoterica e un senso allegorico: come il centauro nero e bianco Cairone (dal greco: momento favorevole, propizio) e lo stesso Atreiu, cacciatore sciamanico di bufali purpurei, non solo prede, ma esseri viventi totemici che gli appaiono in sogno come oracoli guidandolo e insegnandogli vie di saggezza.
Il rapporto vivo e fraterno, in sogno, fra Atreiu e il Grande Bufalo purpureo rappresenta una preziosa pagina di grande interiorità e di intensa commozione. Atreiu è chiamato alla Ricerca per salvare il Regno e l’Infanta Imperatrice e deve partire senz’armi, come i pellegrini crociati, e non attaccare mai per primo ma solo per difendere, come i Templari. Una santa navigazione, senza meta né aiuti, come quella dei monaci irlandesi medioevali che si mettevano in viaggio su piccole barche senza timone né remi. I colori di Atreiu sono il verde e il porpora, simili ai colori del Libro. Nicolas Flamel parla del suo Libro alchemico ebraico come di un Libro la cui copertina era di corteccia verde. Atreiu, il pelleverde dal mantello porpora, è il fanciullo perenne, il cacciatore sacro, l’homo selvaticus dal cuore limpido e coraggioso, la cui audace semplicità gli permette di conquistare grandi tesori di vita, di gloria e di sapienza.
Anche il cristianesimo più mistico e sapienziale può utilizzarsi quale chiave di approfondimento delle ricchezze e armonie nascoste dell’opera. Non è la Torre d’avorio un titolo di lode della Vergine, non sembra Atreiu un San Giovanni Battista rispetto a Bastiano quale salvatore cristico? La battaglia della Torre d’avorio non richiama lo scontro dell’Armageddon dell’Apocalisse di Giovanni? Come ogni capolavoro così anche la Storia Infinita riecheggia, senza pur imitarli, altri capolavori, come il Signore degli anelli. Sia per uno dei nuclei centrali narrativi, qui invertito per cui Bastiano si lega morbosamente all’Auryn senza più rispettarne l’aura sacra, sia per la geografia magica e mitopoietica.
La Grande Ricerca di Atreiu è un viaggio cosmico che tocca i quattro punti cardinali e attraversa luoghi speciali come le Torri di vetro di Eribo, dove gli abitanti raccolgono la luce delle stelle, metafora alchemica, e l’antro ermetico dei due sapienti gnomi chiamati “Bisolitari”, immagine dell’Androgino, dell’Adamo reintegrato. Meravigliosa appare poi la descrizione delle due Sfingi dell’Oracolo del sud descritte come vive, anche se immobili, e viste come unione di Leone, Aquila, Toro e Uomo, cioè dei quattro Esseri viventi del Libro del profeta Daniele e dell’Apocalisse. L’Oracolo è una Voce/Suono sommesso ma potente, come il Verbo di Dio, che pulsa dentro un Palazzo misterico ed iniziatico ricco di colonne.
La Voce del Silenzio ricorda, nella sua congiunzione di opposti, i paradossi della Pietra di Bologna e la sapienza del sonetto alchemico del Cyliani. Ogni snodo della Storia ci insegna una saggezza sull’animo umano che solo uno spirito illuminato può aver vissuto prima ancora di testimoniarla nello scrivere. Il Paese della mala genìa (Cap. VIII) e La città dei fantasmi (Cap. IX) ricordano Dante come Collodi, e il Leone Graogramàn di Goab, il deserto colorato* (Cap XIV e XV), rinvia a Narnia e al Cristo che muore e risorge ogni giorno!
Dice il simbolico Leone: “la mia morte è portatrice di vita e la mia vita è portatrice di morte”. Ma c’è pure il Lupo tenebroso dell’epica del Nord che insegue i nostri eroi per distruggerli! La Storia Infinita quale ricapitolazione innovativa di tutte le fiabe e di tutti miti! Le prove rituali che deve vincere e che vince Atreiu sono le prove della vita per andar oltre la vita: superare le paludi della tristezza, dove vive la millenaria e crudele tartaruga Morla, immagine dell’indifferenza, del demone del livellamento e dell’aridità, dove lo spirito diventa pesante come il piombo, l’abisso dell’orrido del mostro Ygramul, lo specchio della Verità su se stessi, la Porta di “selenio fantàsico” che appare luccicante di rubino e di rame e viva, come il Libro, ma penetrabile solo da chi non vuole attraversarla e sa rinunciare alla propria volontà, il fascino terribile del Nulla a cui bisogna resistere…
Analogo è il percorso di ritorno alla vita vera e piena di Bastiano. Mentre Atreiu ricerca e lotta per trovare Bastiano, che dando un nuovo nome all’Infanta può salvare Fantàsia (la fede evoca il Nome, cioè genera la vera realtà) Bastiano avrà un percorso di sviluppo interiore simile ma opposto, cioè un percorso prima di irradiazione della luce conquistata con la fede e poi di purificazione dalla corruzione del possesso e dell’egoismo in cui era sceso.
È la seconda parte del romanzo, purtroppo mai resa filmicamente, ma altrettanto importante e affascinante, anzi decisiva e predominante. Bastiano realizza il “fa ciò che vuoi” del Gargantuà di Rabelais in quanto, come nuovo Adamo, dà i nomi e fa crescere Perelun, il bosco notturno (Cap. XIII) e attraverso una serie di esperienze forti e trasfiguranti giunge al suo culmine, quale nuovo Lancillotto, in Amarganta, la Città d’argento (Cap.XVI), metafora dell’armonia dell’Opera alchemica. La Città, rotonda e concentrica, è circondata da un lago di acqua violette, salate e amare, corrosive. Fucur, il Drago della Fortuna, bianco e dagli occhi rubino, per la prima volta canta con voce bronzea mentre vola felice e in cerchio sopra la città a conclusione del torneo. È il momento della massima gloria e unità fra Atreiu e Bastiano. Qui Bastiano trova una pietra magica che viene dal corno di un unicorno e ha l’aspetto di un vetro incolore. Questi tratti ricordano la pasta vitrea degli alchimisti o Vitriol. Il suo percorso di purificazione, dopo la caduta, inizia nel Mare delle nebbie, dove tutto è fatto di giunco (Cap. XXIII), dopo aver dormito, come Elia, sotto un ginepro. Qui Bastiano impara il silenzio e la vera umiltà per poi essere ri-formato e rigenerato, come se crescesse una seconda volta, da Donna Aiuola nella “Casa che muta” (Cap. XXIV).
La terza fase di “ritorno” Bastiano la trova nella platonica ed ermetica Miniera delle immagini (Cap. XXV) dove il saggio Yor gli insegna a scavare e a vivere nel profondo e lì scoprirà le immagini dimenticate che gli ricorderanno chi deve amare. Solo ricordando il padre da amare Bastiano potrà trovare le Fonti della Vita, una fontana sacra circondata da due serpenti che si mordono la coda, un Auryn vivo, che rappresenta la Porta fra i mondi da attraversare per entrare nel mondo una seconda volta, ristabilito e rinnovato! Che questo vero romanzo di formazione, prezioso da leggere e da meditare più per gli uomini che cercano lo Spirito che per bambini, non sia dimenticato dall’oblio che opprime il nostro tempo, come il Nulla che minacciava il Regno di Fantàsia! Un romanzo che sembra pensato per chi vuole iniziare a partire, o ripartire, alla ricerca del Mistero.