Sai padre, l’antica Atene ha costruito i suoi fasti culturali sulla schiavitù. Intellettuali e artisti ateniesi ci hanno potuto tramandare il frutto del proprio spirito (uno fra i prodotti più evoluti della storia umana) solo in virtù dell’ozio rimediato grazie al sangue e al sudore degli schiavi che li sgravavano da impegni noiosi e indispensabili come quelli di cui tu sei responsabile.
In un senso meramente storico e sociale questo fa di te lo schiavo d’un artista più che discreto, ma possiamo osservare l’evidenza dei fatti sotto la prospettiva della psicologia evolutiva. In questo senso ti consiglio di considerare le mie opere come oggetti palpabili della riconoscenza smodata che nutro nei tuoi confronti.
Ricordi quando ti proposi il ragionamento in maniera molto ironica e provocatoria? Avevo circa sedici anni e frequentavo il liceo classico invece dell’istituto d’arte perché lo avevi voluto tu. Non sai quanto te ne sia grato. Purtroppo la smania smodata di lanciare tuo figlio oltre il limite sociale invalicabile in cui eri costretto mi ha condotto a rimproverarti oggi di non avermi prestato attenzione. L’istituto d’arte e l’accademia di belle arti avrebbero fatto di me un ottimo artigiano, oggi scolpirei santi e madonne, evaderei qualche commissione di trompe l’oeil e camperei d’ignoranza e fatica.
Invece sono un poeta di talento, un pensatore, un intellettuale raffinato e per mestiere ti rubo la magia dei numeri. La buona notizia è che non mi sento più in colpa come quando da adolescente mangiavo di nascosto perché mi sembrava di rubarti il pane.
So quanto sei generoso e limitato, riconosco il tuo amore nei confronti nostri e della madre, la tua incapacità d’esprimere o riconoscere i sentimenti. So la tua frustrazione, quella pandemia che inconsapevole hai scatenato sotto il tuo tetto. So l’ansia, la mania di controllo, il disturbo ossessivo-compulsivo, la patologica impossibilità di riporre fiducia nel prossimo, l’incapacità di delegare che ne segue come postulato.
So queste cose per essermi laureato in filosofia con due tesi d’argomento psichiatrico, dal momento che hai fatto gli elettroshock a mamma che aveva appena vent’anni e le so soprattutto perché ho discusso la prima delle due tesi sotto antipsicotici. Ti perdono, dopotutto sei cresciuto in una famiglia cattolica, che puoi saperne tu di Dio.
Sono avvezzo alla tua indifferenza nei confronti del mio talento e bada, non parlo di quello artistico, non ti compete. Ogni uomo è libero di coltivare gli interessi che più gli si confanno e tu sei uno schiavo che attende i ludi della domenica, mica un uomo libero. Parlo delle capacità professionali che ho sviluppato, dei segreti che ti ho rubato con attenzione e voracità di spugna quando ancora pensavo che mettersi al riparo dalla povertà e dal disastro economico fosse davvero obbligatorio, un valore assoluto, una conditio sine qua non dell’esistenza.
Frequentare persone che non reputi degne della mia amicizia mi ha aperto gli occhi sul fatto che non si sceglie di nascere privilegiato, ma si può fuggire dagli agi borghesi e codardi quando vedi distintamente che piegare la testa d’innanzi al volere del Circo dei Clan ruba la dignità, giorno dopo giorno la gioia e con essa l’amore. Ti riconosco però di sapere il Circo dei Clan e di avermi trasferito il valore dell’odio cieco nei suoi confronti e quel senso di giustizia che credevo innato, come so che sai che non puoi chiedermi di vivere senza amore.
Non ti ho mai sentito chiedere scusa o dire grazie a nessuno, forse per questo ti senti virile ma non solo non è mascolino, è animale.
Dove vai? Con chi esci? Ieri sera cosa hai fatto? Non fare cazzate! Sputtanateli tutti subito eh! Toh! Non fai un cazzo, non ti pago! Porco dio fermati un attimo e lasciami lavorare, togli il chiodo superomista dalla tua fronte, riposa dopo l’infarto: mentre ti spanavano l’arteria ho diretto tutto come un piccolo Kubrick dell’amministrazione condominiale.
Non mi sono preoccupato padre. Non perché non ti ami. Avevo troppo da fare. Dovevo portare il pane a casa dalle tue bocche da sfamare, compresa la mia.
Ti ho sentito parlare per anni di un viaggio nel tempo, di una mansarda, di vita da scapolo. Non avresti saputo che cosa fartene della tua libertà padre, per trovare un senso dovevi sfamare bocche in cambio d’amore.
Fai caso al fatto che a trentasette anni io non ho figli, sono un uomo libero, amo mio padre senza sopportarlo, in attesa di una nostalgica rivalutazione postuma: a quanto pare è un topos. Almeno questo te lo devo.