Il 20 luglio 1983 fu inaugurato a Lisbona il Centro de Arte Moderna della Fundação Calouste Gulbenkian con dipinti, sculture e altri lavori della cultura portoghese e internazionale del Novecento frutto, in particolare, delle ricerche di agenti di fiducia della fondazione che per anni avevano setacciato gallerie e collezioni private in giro per il mondo.
Oggi la collezione, che s’è arricchita fino a inglobare produzioni artistiche dal 1910 ai giorni nostri, conta più di diecimila opere, di cui trecentocinquanta saranno in mostra fino al 19 gennaio nell’ambito di Sob o Signo de Amadeo. Um Século de Arte, omaggio a Amadeo de Souza-Cardoso, pioniere del modernismo portoghese amico di Amedeo Modigliani, e a quegli artisti, sia portoghesi che stranieri, le cui opere sono un vanto delle collezioni della “casa dei modernisti”.
Così la chiamò John Darnton del New York Times nella sua corrispondenza del 17 agosto 1983 da Lisbona, ricordando quel “nuovo museo” progettato come una splendida struttura, innovativa senza essere invadente, a tre piani, pannelli mobili, vasta galleria a stanza singola composta da piani comunicanti. Casa dei modernisti in particolare portoghesi e tuttavia con una discreta campionatura di artisti stranieri come David Hockney, John Hoyland, Robyn Denny e un raffinato Henry Moore collocato in giardino. Così, ai tempi.
E oggi che a Lisbona, trent’anni dopo, si celebra la nascita del Centro de Arte Moderna, il visitatore curioso potrà ammirare Volution, la spirale verde vivo in fibra di vetro di Isaac Witkin, assistente di Moore, scultura del 1964 che integra l’importante nucleo di collezioni di opere d’arte britannica degli anni Sessanta, di cui fa ad esempio parte Love Wall del 1961 di Peter Blake, esponente della pop art. Anche se il visitatore curioso rimarrà sorpreso nel trovare i fotogrammi di Hypnotic Suggestion 505 del 1993 di Jane e Louise Wilson, le due gemelle inglesi famose in particolare per la video installazione Stasi City del 1997, o la figura umana del 1993 riversa sul pavimento di Close II dello scultore inglese Antony Gormley.
Quando Darnton visitò il Centro de Arte Moderna, trovò cinquecento fra pitture, sculture e altri lavori e, nel mezzanino, gli arazzi di José de Almada Negreiros, amico di Fernando Pessoa e Amadeo de Souza-Cardoso, ispirati ai suoi murales con scene portuali e marittime della sala d’attesa della stazione marittima di Alcântara costruita negli anni Quaranta in stile modernista con decorazioni secondo i canoni del realismo portoghese. E c’era, sempre di José de Almada Negreiros, il ritratto di Fernando Pessoa con il poeta portoghese mentre fuma, seduto a un tavolo del Café Martinho da Arcada di Lisbona, davanti a fogli di carta, penna, una tazzina di caffè e una copia di Orpheu, la rivista dei modernisti portoghesi.
José de Almada Negreiros, l’artista dello Auto-Retrato num Grupo, con due coppie al tavolo di un caffè, e dell’elegante As banhistas, con le due donne in riva al mare, entrambi del 1925 e che andarono a decorare le pareti del Café Brasileira, sorto nel 1905 in Rua Garrett, nel quartiere Chiado, a Lisbona, e che nella ristrutturazione degli anni Venti l’architetto, grafico e pittore portoghese José Pacheco, che amava firmarsi José Pacheko, decise di trasformare nel “museo di arte moderna che Lisbona non ha ancora”. José de Almada Negreiros, autore della coreografia e dei figurini del balletto A Princesa dos Sapatos de Ferro, rappresentato nel 1918 con musica di Ruy Coelho e scenografia di José Pacheko al Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona tempo dopo i Ballets Russes del coreografo russo Sergei Diaghilev e il loro annuncio nel 1917 su Portugal Futurista.
Il centro di arte moderna era il sogno di José de Azeredo Perdigão, presidente della Fundação Calouste Gulbenkian e vecchio avvocato di Calouste Sarkis Gulbenkian, il petroliere e mecenate delle arti di origine amena nato nel 1869 a Scutari, vicino Istanbul, studi d’ingegneria al King’s College di Londra, arricchitosi con il petrolio ottomano e quello iracheno. Era invece il 18 giugno 1953 quando Gulbenkian convocò nella sua casa al numero 3 di Rua Latino Coelho a Lisbona il notaio Fernando Tavares de Carvalho, gli avvocati Manuel Antunes Ribeiro e Ernesto Pereira de Almeida e Pedro Batalha Reis della Academia Portugesa de História sancendo con un testamento la nascita di una fondazione di “natura caritatevole, artistica, educativa e scientifica” con sede a Lisbona, la Fundação Calouste Gulbenkian, il cui statuto, scomparso nel 1955 Gulbenkian, fu approvato nel 1956.
Nel 1957 la fondazione acquistò dai conti di Vilalva il Parque de Santa Gertrudes, nel centro di Lisbona, vicino Praça de Espanha, dove edificò su progetto degli architetti Ruy Athouguia, Pedro Cid e Alberto Pessoa, la sua sede, dal 1991, con il grande parco, patrimonio nazionale, e il Museu Calouste Gulbenkian, entrambi inaugurati nel 1969, quindi, nel 1983, su progetto di Leslie Martin, il Centro de Arte Moderna, dal 1993, in omaggio al primo presidente della fondazione, Centro de Arte Moderna José de Azeredo Perdigão.
Nel museo, dove si trova anche una Biblioteca de Arte, furono riunite le collezioni d’arte di Gulbenkian, tappeti turchi e persiani, manoscritti armeni e arabi, monete greche e romane, antichità egizie, armene, mesopotamiche, manoscritti miniati, rilegature di libri francesi, lacche giapponesi, i vetri e gli oggetti d’orificeria di René Lalique, le opere di pittori come Bouts, Van der Weyden, Lochner, Cima da Conegliano, Carpaccio, Hals, Rommney, Guardi, Lawrence, Fregonard, Rubens, Rembrandt, Van Dyck, Degas, Gainsborough, Corot, Nattier, Boucher, Turner, Manet, Monet, Degas, Renoir, un capolavoro di scultura come la Diana di Houdon appartenuta a Caterina di Russia e che Gulbenkian aveva acquistato nel 1930 dallo Hermitage di San Pietroburgo.
Originale la storia di queste collezioni. Gulbenkian, preoccupato per l’incolumità del suo patrimonio, inviò parte della collezione parigina a Londra. Nel 1936 la collezione di arte egizia fu affidata al British Museum e i dipinti più pregiati alla National Gallery, dove egli avrebbe voluto istituire un Istituto Gulbenkian, progetto miseramente naufragato nel 1937 dopo alcuni colloqui con Kenneth Clark, direttore della National Gallery. Fra il 1948 e il 1950 i dipinti furono pertanto trasferiti alla National Gallery of Art di Washington. Gulbenkian, cui sogno era quello di vedere la sua collezione riunita “sotto uno stesso tetto”, morì senza lasciare disposizioni in merito. Dopo la sua scomparsa e alcuni negoziati con il governo francese e trattative con la National Gallery of Art di Washington, cui erano andati in prestito i dipinti, nel 1960 l’intera collezione rientrò in Portogallo, dove fu esposta fra il 1965 e il 1969 nel Palácio dos Marqueses de Pombal, a Oeiras. Ma fu solo nel 1969, quattordici anni dopo la sua morte, che il suo ultimo desiderio si concretizzò allorquando, a Lisbona, il Museu Calouste Gulbenkian aprì i battenti.
Quello che ancora mancava a Lisbona e al Portogallo era un centro di arte moderna e contemporanea e che oggi festeggia il suo trentennale eleggendo a simbolo dell’esposizione il Clown, Cavalo, Salamandra di Amadeo de Souza-Cardoso, con la figura del cavallo che ricorda la pergamena giapponese del XII secolo di Fujiwara Takanobu, oggi nel British Museum di Londra, con il primo esposto nel 1911 nell’atelier parigino al numero 3 di rue Colonel Combes dell’artista portoghese durante la mostra organizzata con Modigliani, ospiti Apollinaire, Brancusi, Derain, Max Jacob e Picasso.
Il visitatore curioso troverà a Lisbona l’intera collezione delle opere di Amadeo de Souza-Cardoso, cui nell’estate del 1983, con inaugurazione il 20 luglio di quell’anno, era stata dedicata a cura di Paulo Ferreira la retrospettiva Amadeo de Souza-Cardoso. A Primeira Descoberta de Portugal na Europa do Século XX e il cui ricordo viene ora celebrato attraverso Sob o Signo de Amadeo. Um Século de Arte.
E troverà, il visitatore curioso, manifestazioni di arte viva, dedicate al corpo umano, e arte performativa, opere della pop art britannica, opere cubiste, futuriste, neo-realiste, surrealiste, neo-avanguardiste, fino a quelle più recenti provenienti dal mondo della pittura, del disegno, della scultura, della fotografia. E ancora le collezioni di film e video, come il video in cui Gabriel Abrantes spiega il processo di creazione di Olympia I & II ispiratagli dal celebre quadro di Manet, opere sull’idea di palcoscenico e teatralità nell’età moderna, installazioni come AIROTIV di Andrè Guedes, i pannelli colorati di Sem Degraus à Sombra di Rodrigo Oliveira sulla facciata dell’edificio e lo schermo digitale di Euroblood di Carlos No nella hall all’entrata.
Un evento, quello di Lisbona, arricchito da letture, come quella, per la voce dell’attore Diogo Dória, della A Lenda de São Julião Hospitaleiro di Gustave Flaubert illustrata da Amadeo de Souza-Cardoso, concerti, come quello della cantante jazz Maria João, dalle performance di Alberto Pimenta, Pedro Tudela, Ramiro Guerreiro, Joana Bastos, Eduardo Guerra, Miguel Ferrão, Martinha Maia, Isabel Carvalho. E dal Colóquio Internacional su Amadeo de Souza-Cardoso, in programma a novembre, organizzato dallo Instituto de História da Arte e dal Centro de Estudos de Comunicação e Linguagem della Universidade Nova di Lisbona, nonché, allestita nella Biblioteca de Arte, dall’esposizione CAM – 30 Anos de Catálogos e Posters.