La Rua Catalana nasce nel 2009 a Napoli, fondata da studenti beneventani fuorisede. Dopo numerose esibizioni in contest e festival, nel 2011 la band pubblica il suo primo EP La Rua Catalana, caratterizzato da sonorità mediterranee miste a progressive napoletano. Grazie a questo lavoro, La Rua Catalana sarà citata nel libro di Massimo Salari Rock Progressivo Italiano (1980 – 2013), pubblicato da Arcana Edizioni.
Ma scopriamo di più su di loro in questa intervista…
A volte dietro un nome si cela una intera filosofia, o perlomeno un'intenzione artistica forte. Fonexénos la dice lunga: perché questo titolo?
Alcuni di noi hanno frequentato il liceo classico, lo studio della civiltà greca fa parte della nostra formazione e ci ha influenzato molto, soprattutto per quel che riguarda l’idea di società multiculturale, la Grecia anche attraverso le sue colonie ha dato vita a un modello culturale basato sulla fusione di elementi culturali diversi, Fonexénos è un tentativo di riunire diverse realtà culturali e musicali che secondo noi possono benissimo coesistere.
Questa svolta della Rua Catalana colpisce per la sintesi tra rock contemporaneo, ricerca elettronica ed elaborazione di materiale tradizionale. È il vostro lavoro più rappresentativo?
Sicuramente è quello che sentiamo più nostro perché lo abbiamo prodotto pezzo per pezzo da noi nel luogo dove abbiamo trascorso più tempo insieme: il nostro studio, proprio quello dove tutto è iniziato.
Nonostante la qualità della produzione e la ricercatezza delle sonorità, vi sta a cuore l'elemento ‘umano’, ovvero alcune voci assorbite nelle tessiture sonore. Pensiamo alla voce arcaica di Giovannina, registrata durante i riti penitenziali di Guardia Sanframondi...
La cultura orale sannita è straordinaria perché molto eterogenea e ricca, cambia radicalmente nelle diverse zone del Sannio pur essendo una provincia tra le più piccole dell'Italia. Ci incuriosiva la possibilità di colorare la nostra musica con sonorità assolutamente originali, volevamo un suono personale che avesse a che fare con le nostre tradizioni più antiche.
Un'altra partecipazione significativa è quella di Encen Manaky, richiedente asilo della Guinea Bissau. Se quel porto fosse stato chiuso, avremmo perso un'occasione di confronto e di scoperta, sembra voler comunicare la vostra musica.
Il nostro paese sta conoscendo il multiculturalismo che ha effetti ovviamente anche sulla musica, abbiamo immaginato come queste persone che vengono da posti lontani potessero entrare in contatto con la nostra cultura musicale e magari rinnovarla. Basti pensare alla musica, e più in generale alla cultura dell'ultimo secolo che ha dominato lo scenario mondiale, quella anglo-americana, dietro al cui successo c'è sicuramente la molteplicità di riferimenti culturali propri delle società multietniche. Comunque ne riparliamo fra trent'anni quando tutto ciò avrà attecchito anche in Italia…
Facciamo un piccolo salto nel passato per capire chi eravate e chi siete. Nel 2011 avete debuttato con un EP omonimo molto diverso dalla Rua Catalana attuale, all'insegna di un prog-folk mediterraneo. L’anno dopo con Something New una svolta ‘british’. Cosa c'è ancora di quell'impostazione nel gruppo attuale?
L'attitudine verso la musica strumentale è rimasta, ovviamente ha avuto una evoluzione, nel 2009 eravamo quattro ventenni, studenti fuorisede, giravamo per Napoli ascoltando con i primi lettori mp3 Pino Daniele, Osanna, Napoli Centrale… Amavamo e amiamo quel sound, ci emozionava l'idea che quella musica fosse nata nei luoghi che abitavamo! Fu un periodo bellissimo, eravamo giovani ma sognavamo tanto, qualcuno ci sussurrava di lasciar perdere perché il prog non esisteva più soprattutto il neapolitan power ma noi ce ne fregavamo, e pensate a quello che sta succedendo oggi con band come i Nu Guinea....
Durante le registrazioni di La Rua Catalana ci rendemmo conto che il sound stava cambiando, in particolare con il brano Sunshine, che fu registrato nelle stesse sedute, ma finì in Something New.
Alla fine del 2015 esce Island Tales, il vostro primo vero album, con tanto di produzione (Giuseppe Fontanella), etichetta (Octopus) e tour. Che differenze ci sono tra quello e Fonexénos?
Island Tales è un po' la summa di quello che avevamo fatto nei primi anni e inevitabilmente ha chiuso un ciclo. È quasi un concept, anche la formazione è cambiata, Fonexénos, invece, è un modo diverso di fare musica per un gruppo di persone che da dieci anni lo fa insieme, è voglia di provare a vedere la musica diversamente dal passato, è energia nuova.
Quanto conta nella vostra musica la provenienza territoriale?
Ci consideriamo campani o comunque ragazzi del Sud – molto fieri di esserlo – e non ci piace fare distinzioni, ma siamo consapevoli di venire dalla Campania più recondita e forse meno esplorata. Questo forse può essere un vantaggio...
Come sottolinea Ernesto Razzano di Bia Dischi: “Fonexénos chiede all’ascoltatore di riappropriarsi del tempo di ascolto”. Una bella sfida: il vostro pubblico è pronto?
Chi conosce la nostra idea della musica sa bene che pubblichiamo solo quando ci sentiamo di dover dire qualcosa, la sfida è sempre alla base del nostro lavoro, non è un caso che dopo molti anni siamo ancora qui. Qualcuno ci aveva dato per morti, nessuno si aspettava che potessimo pubblicare: oggi la bravura di un gruppo si misura sui like e sul numero di date, tutto questo a noi non importa, non abbiamo nulla da perdere, chi ama la nostra musica lo sa. È stata una fase, adesso ne é cominciata un'altra, tanti ci hanno scritto facendoci sentire importanti, non pensavamo potessero ricordarsi di noi!
La Rua Catalana
Leonardo De Stasio: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica
Corrado Ciervo: voce, violino, viola, batteria, percussioni, drum machine, pianoforte, chitarra classica, chitarra elettrica, synth
Carlo Ciervo: basso elettrico, voce, synth, drum machine
Vittorio Coviello: flauto
Giuseppe Tomaciello: drum machine