Algeri. Alla fine Abdelaziz Bouteflika non ce la farà a ricandidarsi, per la quarta volta, a dispetto della Costituzione, alla presidenza della Repubblica algerina. E non certo, per come pure sarebbe lecito pensare, per le proteste di piazza ripetutesi nelle ultime settimane contro la sua (ma era veramente sua?) manifestata volontà di un altro mandato presidenziale.
Le manifestazioni, con decine e decine migliaia di giovani scesi per strada e reclamare il cambiamento, hanno avuto un peso, ma a sparigliare le intenzioni di Bouteflika e del suo spregiudicato e avido clan (politico e familiare) è stato il potentissimo capo di Stato Maggiore, Ahmed Gaid Salah, che è anche ministro della Difesa, secondo il quale il presidente: ''Non è più in grado di guidare il Paese a causa delle sue gravi condizioni di salute''.
Una sorta di stringato epitaffio che mette fine a vent'anni di potere, esercitato grazie anche all'appoggio delle forze armate algerine, da sempre uno dei pilastri dello Stato, oltre ad averne rappresentato la genesi durante la guerra per l'Indipendenza, ma anche la strenua difesa, nel decennio di lotta al sanguinario terrorismo islamico.
I generali algerini sono, quindi, il cosiddetto ago della bilancia della situazione interna nel Paese che, diventato ricco per le ricadute delle sue immense riserve energetiche (petrolio e gas), si è rinchiuso in una miopia politica ed economica, rivelando per intero l'inadeguatezza di coloro che tali ricchezze dovevano mettere a reddito anche per le generazioni future, e non solo per quelle di oggi.
Abdelaziz Bouteflika, dopo il grave problema neurologico che lo ha colpito negli anni scorsi, non è mai tornato alla piena operatività, costretto su una sedia a rotelle divenuta in un certo senso il simbolo di un regime che non si muoveva più di forza propria, ma doveva essere spinto di volta in volta, con l'aiuto decisivo delle forze armate.
D'altra parte, a eccezione di Ben Bella, tutti i presidenti della repubblica sono stati espressione dell'esercito che negli anni, anche in conseguenza della sanguinosa guerra al fondamentalismo islamico, soprattutto nel sud del Paese, s'è visto ricoprire d'oro, in termini di stanziamenti per rafforzare gli armamenti e ingraziarsi, con consistenti aumenti dei salari, la casta con le stellette. Anche se Abdelaziz Bouteflika rivendicava un passato militare che forse non gli apparteneva, dal momento che il suo ruolo in seno alle forze armate era più politico che altro.
Le dichiarazioni del generale Salah sono state il detonatore per la decisione del Consiglio costituzionale che, riunitosi in sessione straordinaria nei giorni scorsi, ha deliberato che la presidenza della Repubblica è ufficialmente vacante, aprendo di fatto alla successione di Bouteflika, ma dando il via anche a una delicatissima fase politica in un Paese che, pur reclamandola a gran voce, non era forse pronto a una così repentina caduta del regime.
Le parole del generale Salah e la determinazione del Consiglio costituzionale, con la presidenza Bouteflika, hanno anche messo all'angolo il chiacchieratissimo inner circle che lo circondava, proteggeva, blandiva, sino a guidarne le mosse e isolandolo rispetto al resto del mondo che non fossero i medici che si alternano da anni ai capezzali nei vari ospedali europei in cui viene ricoverato.
Dando per scontato che chi in Algeria non ha l'appoggio dell'esercito non conta nulla, bisognerà attendere le mosse dei sodali di Bouteflika, a cominciare dal fratello minore Said, dipinto dai suoi detrattori (che sono tantissimi) come un ircocervo della politica e del potere. Da anni è lui che ha vegliato sul fratello, condizionandolo in tutto, a partire dalle uscite ufficiali che si sono andate rarefacendo con l'aggravarsi della salute del presidente. Tanto che in occasione di qualche visita di Stato era evidente la agghiacciante fissità del presidente, che riusciva a muovere a stento solo gli occhi e che la Televisione di Stato riprendeva di sbieco in modo da non farne cogliere l'immobilità.
Attenzione, quindi, all'Algeria, che è il Paese militarmente più forte della regione, garantendo, a cannonate, ad oggi, che la peste dell'estremismo islamico non guardasse con rapace interesse al Mediterraneo. Che resti forte e unita non è solo interesse degli algerini.