E’ di questi giorni la scoperta del libro Miscellany di Ben Schott, un piccolo compendio di quel che un uomo ben inserito nel suo contesto sociale ed esistenziale non può non sapere, un’incitazione alla conversazione mediante semplificazioni geniali e definizioni sarcastiche: come descrivere l’etichetta vigente all’università di Cambridge? (Cit.) Un iscritto cammina e vede un suo collega affogare, Che peccato, esclama, Se solo me lo avessero presentato mi sarei gettato a salvarlo.
Aprire questo libro e pensare di avere perso troppo tempo attorno a contenuti rigonfi è un tutt'uno: così come quando si vede per la prima volta la donna nuda sdraiata nel ritratto di Freud e allora diventa impossibile rivederne il puro profilo, altrettanto qui diviene impossibile fare finta di nulla quando scopriamo che un insieme di corvi è certo “a flock” ma anche “a murder”: ecco l’iconografia Hitchcockiana, la metafora, il tutto.
Se questo signore sa ricordarci con precisione come misurare i nostri guanti in Inghilterra rispetto al Continente (pagina 59), considerando quindi lo scarto di misura effettivo, cosa mai può non spiegarci o non sapere? Queste sono le cose che conta sapere nella vita: che la colla quando applicata ti concede ancora due secondi di mobilità mentre lo scotch biadesivo è incorreggibile e che le uova si tengono fuori dal frigorifero, ad esempio.
Non leggo molti libri per due motivi: il primo è che la stragrande maggioranza di quello che viene pubblicato è fieno per vacche. Il secondo è che quelli che leggono molto tendono a parlare di quanto leggono e sospirano davanti ai titoli come io solo nella cella sotteranea dell’enoteca Marcucci - divergenze di visione, incompatibilità, matrimonio che non deve iniziare per differenze inconciliabili.
La verità è che nessuno in grazia di Dio e del suo cervello vuole trovarsi a discutere Ágota Kristóf' con una lettrice avida che abbia spaziato dal Corano a Melissa Panarello. Detto questo, quando il libro giusto mi atterra in grembo per circostanze fortuite o generosa intercessione dei miei fidati amici, l’epifania è di quelle integrali: deve essere qualcosa che mi fa cambiare direzione, metodo, o almeno prospettiva. E così Ben Schott.
Inizia la settimana della moda a Londra, un evento caratteristico come un carnevale ed evocativo come una messa in alta montagna alle quattro del mattino: guarda questa grande città spruzzata di colore, guarda l’appiattimento delle caste sociali modaiole ora abbracciate e vicine - venti anni fa c’erano cancelli, gente vestita di nero, addetti e non addetti.
Oggi pubblico e designer condividono il chirurgo estetico e i panini farciti della Somerset House, le blogger cinesi vestite come bambini ritardati siedono in prima fila vezzeggiate dai giornali e Terry Richardson, fotografatore talentuoso ma anche fortunato di donnine spontanee, impazza sdoganato con gente del calibro di Daphne Guinness. Mi metto in fila per diventare giornalista e avere accesso a tutte le aree, accompagnata dalla fidata Michelle - “io, da grande, farò il pompiere” diceva il mio eroe Draghetto. Così io.
Arrivo senza niente al bancone delle signorine che ti fanno entrare col pass o rimandano a Settembre - no carta intestata, no lettera, no pre-registrazione, no tesserino, no iscrizione all’ordine. Ben Schott, il mio nuovo Sherpa, mi spinge invisibile. “Mi gùgoli” dico. “No, non mi sono preregistrata, non ho niente”. Il pass arriva senza che io faccia o pontifichi nulla. Io credo che questa signorina anche lei abbia letto la Miscellanea, lo leggo nei di lei occhi cerulei e furbi: siamo nella stessa casta, noi due, ed è giusto che io passi.
Nel giorno numero uno si contempla il mio accesso agli accessori.
Cerco riferimenti: è possibile creare partendo da sè o bisogna sempre avere adorato e distrutto un totem prima di costruire una torre? La domanda è pressante davanti agli incrociatini sessometallici di Fannie Schiavoni, ovvero la tipica veste femminea nello Yor di Zanotto e Collins: catene che non imprigionano le donne ma lasciano che i loro seni dritti e giovani sorridano sottolineati a tutto un mondo che si cura sempre meno della nudità, a parte me che sfuggo lo specchio uscendo dalla doccia. Donne futuristiche, che combattono guerre sottili, con maglie sottili, vestali sensuali e solide: dove sono finiti gli uomini?
Donna guerriero, riferimenti tribali, saghe nord-europee, ritorno al ‘baar-baar’ mountain: dopo avere vestito i figli, pulito la casa a archiviato le mutande lerce del marito, la nostra eroina si gettava nel traffico esistenziale armata dalla testa ai piedi, pronta a caricarsi sulle spalle il compito di raddoppiare l’indotto interno lordo della sua tribù, difendere la propria prole e cacciare i viveri nella giungla dell’organico biologico - il tutto sicuramente indossando un anello di Maria Francesca Pepe. Dove era questa signora quando io mi compravo un anello? Perché non siamo state amiche di scuola o non abbiamo fatto il miliziano assieme in una vita passata? Questa è una donna suo malgrado traforata, pericolosa perché decisa, eppure attaccata all’avamposto della sua femminilità come un naufrago alla zattera. Questa sono io. E’ dura levarsi questo anello, che abbraccia il mio anulare grossolano come il ditino di Gretel palpato dalla strega.
Borse. Sciarpe. Occhiali. Borse. Sciarpe. Frou-frou.
La mia saga eroica si sta tramutando nell’agiografia di Postalmarket. La guerriera che è in me scàlpita, Ben Schott riecheggia ma le parole sono confuse e il tallone di Achille è ferito. Finchè trovo la mia Athena, la Madre delle Amazzoni: Eliza di Yunus e Eliza. E’ tempo di riporre la mia daga, tagliarmi i capelli a zero e fare la riverenza alla ragazza di alluminio nero, la scultrice che si declina anche nella gioielleria, quella accompagnata dal ragazzo più bello dell’esposizione modelli inclusi.
Per chi disegnate? “Io per lei, lei per me”. Dice. Mi gira la testa. Torre di controllo, per favore eliminare dal mio cervello la scena di questi due che si baciano appassionatamente e poi scolpiscono un Urano in pietra lunare, subito, prima che venga proiettata su un muro qualunque: tutte noi volevamo un destino romantico come questo, con un moro come questo - nessuna avrebbe osato pensare di poterci anche guadagnare.
Stare senza fiato davanti a dei monili pensando che la Guerra Totale non è una prospettiva da sottovalutare se con me posso portare un pacco di questa roba. Questa collezione mi spara nel banco della quarta ginnasio ma anche dentro la nave dell’Eternauta. Giò Pomodoro, è con piacere che ti presento gli emissari in terra del dio greco Mercurio. La macchina del tempo con le marce al contrario, gli alberi di metallo, l’oggetto potente, l’anello di Tolkien, tutto riunito nell’anima solida di questo duo creativo di ribelli.
Rimango quintessenziale, come mi ha insegnato il maestro Ben: non c’è nient'altro qui dentro che io debba o voglia vedere dopo il Rock Vault del padre spirituale di Yunus ed Eliza, Sua Creatività Stephen Webster.